Consuelo Agnesi nasce e vive nelle Marche. Si laurea in Architettura all’Università di Camerino – Unicam (Macerata), nel 2007. Con una borsa di studio, nel 2008 partecipa al Progetto Leonardo, a Granada in Spagna. Tale Progetto mira ad incrementare la formazione nella "progettazione architettonica accessibile" attraverso tirocini transnazionali, considerati come un periodo di formazione professionale intrapresa da un beneficiario presso un’organizzazione partner in un altro paese partecipante. E’ obbligatorio imparare la nuova lingua "full immersion" e Consuelo supera brillantemente anche questa prova. Come architetto, libera professionista, continua poi il suo impegno nello sviluppo di progetti di accessibilità legati alla disabilità e non, e con il Progetto "Barriere architettoniche e barriere sensoriali" – nel 2009 vince, insieme ad una collega, il Premio di <sensoriABILIS> come Miglior Imprenditore 2009, Qui

Continua la sua strada verso l’Universal Design e la progettazine senza discriminazione, aprendo uno studio di architettura, Architettura STUDIOINMOVIMENTO, insieme a due socie. E’ la sua attuale sfida.
Dal novembre 2011 è membro dell’ Osservatorio sull’ Accessibilità (OSA) dell’ ENS (Ente
Nazionale Sordi).
E’ membro, come rappresentante della Provincia di Macerata, del Centro di
Documentazione Handicap (CDH) ed è stata Tutor specializzato per disabili all’UNICAM
(Università degli Studi di Camerino).
Nel 2005 è co – autrice del libro “Donne sorde: Nove storie di emarginazione e di riscatto“, a cura di Daniele Regolo, Collana dell’Istituto Tommaso Pendola – Siena, edizioni Cantagalli.
Nel 2009 è autrice, con Emanuela Zecchini, della pubblicazione scientifica “Barriere architettoniche e barriere sensoriali“, Edizioni UNICAM.
Nel 2010 é autrice di una pubblicazione scientifico – architettonica nel libro “ Progettare
per tutti. Dalle barriere architettoniche all’accessibilità “ a cura di Maria Cristina Azzolino
ed Angela Lacirignola.

Sommario

Il sapore dello yogurt magro
Lettera della mia logopedista
El viajo de una vida (in lingua spagnola)

Consuelo, con altri, racconta la sua esperienza di vita nel programma di RAI3 – Fuori dal silenzio – andato in onda in prima serata il 31 maggio 2006, programma condotto da Giovanni Anversa ed Alessandro Scalco, a cura di Patrizia Vacchio, con la regia di Andrea Dorigo.

IL SAPORE DELLO YOGURT MAGRO

Sto mangiando uno yogurt magro ed all’improvviso, viaggio indietro nel tempo. Torno ai miei occhi di bambina, occhi innocenti che avevano solo tre anni e non s’immaginavano cosa sarebbe accaduto. Occhi che ricordano solo uno sbiadito flash: io stesa a letto dal morbillo e da una febbre altissima. Il viso di mamma che s’avvicina ed io che la vedo così.. sfocata. Che cerco di capirla ma all’improvviso non ci riesco più. Annebbiata, stravolta, forse è la febbre troppo alta che mi confonde ma in quel momento ero nel più assoluto panico. Mamma era diventata incomprensibile. Più mi sforzavo, più andavo in confusione. E’ in quel momento che la mia vita fu avvolta dal silenzio. Così, in un semplice attimo, ero andata in un’altra dimensione. In un altro pianeta. Senza volerlo, senza capirlo. E continuavo a guardare mia madre con gli occhi sbarrati. E dopo, il buio. Non ricordo più nulla, a parte quel momento. Ricordo un ospedale, Cicciobello vicino a me. Ricordo città diverse, i treni presi con papà e mamma che mi tenevano la manina. Ricordo istantanee di attimi. Ricordo mamma e papà che all’improvviso erano diventati muti. Come tutto il mondo intorno. Neanche il mio amato peluche parlava più. Ma com’era possibile?
Danno cerebrale mi avevano diagnosticato. Semplicemente autistica. Ed i miei, non ci volevano credere. Nei miei occhi vedevano una bambina vispa, sana. E su e giù per tutta Italia, per ospedali, dottori fino al vero, unico e reale verdetto.
“ Vostra figlia è sorda.”
E tutto all’improvviso diventò chiaro. Non per i miei occhi di bambina che continuavano a non capire. Il mondo era ancora in silenzio. I miei genitori, invece, seppur frastornati dalla notizia, non si persero d’animo. Iniziarono a cercare la cura migliore, che a quei tempi, nel lontano 1978, non era facile da trovare. Parma, Milano, Mantova, Roma, Ferrara. Si fermarono a Milano, nella clinica di Del Bo e della De Filippis.
Stanze bianche,corridoi sconfinati, già avevo la vocazione di architetto, mentre guardavo i luoghi intorno a me.
Ed iniziò la prima riabilitazione. Mi facevano fare di tutto, persino sputare dei pezzi di carta ed utilizzare uno spazzolino. Alternavo le sedute nella strana stanza con i buchi, all’ elettrocenfalogramma, all’ impedenzometro alle sedute con la De Filippis che utilizzava le mani per farmi pronunciare i suoni. Una mano sulla gola, una sulla guancia ed imparare a capire cos’è la vibrazione. Io continuavo ad essere sotto shock.
A Milano misi le mie prime protesi acustiche ed il mondo intorno a me diventava all’improvviso rumoroso. Erano tanto ingombranti, avevo due chiocciole enormi, dei fili ed una scatolina di metallo davanti. Mia nonna iniziò a cucirmi delle custodie di stoffa da mettere sotto la maglia, per tenere la scatolina.
Era uno strazio. Una cosa insopportabile, mettere il mio primo “reggiseno” a 4 anni. Mi legava sia il collo che l’addome. Quelle chiocciole poi, mi impedivano il libero movimento. Come mi giravo, sovente la chiocciola si staccava dal filo. Dovevo fare attenzione, spiegatemi voi come si fa a tener ferma una bambina a soli quattro anni, irrequieta e mai ferma.
Tornata a casa, iniziai la riabilitazione alla parola in un istituto ma i miei genitori non si sentivano ancora soddisfatti, cercavano il meglio per me.
E grazie alla loro testardaggine ed alla loro instancabile perseveranza, un bel giorno arrivò  Maria Pia, la mia logopedista. Con lei, iniziò il mio viaggio verso il mondo dei suoni e delle parole. Verso un mondo sconfinato, inesplorato in cui entrai senza esitazioni. Un mondo in cui scoprivo pian piano che esistevo anche io e che ero nello stesso mondo degli altri, senza discriminazioni.
Maria Pia era un po’ come Mary Poppins, ogni giorno la vedevo arrivare con due borsoni. Dentro quei borsoni c’era l’universo. C’erano i libri, c’erano i quadernoni, c’erano le penne, c’erano le cartelline, c’era il das, il pongo e le tempere. C’erano le lettere rosse e blu sagomate, i cartoncini colorati, i disegni di ogni cosa, gli strumenti musicali e le percussioni, c’erano i fiori e gli animali. C’erano anche le parole dentro, c’era qualcosa di strano che trasformava il rumore in qualcosa. Il suono prendeva consistenza e finalmente trovava il suo nome. Ogni giorno con Mary Poppins ed i miei genitori tutto era una scoperta continua.

Da piccola, definirmi vivace è dir poco. Una peste, forse è più appropriato. Nonostante andassi in giro con queglii affari cinesi enormi, era molto difficile tenermi buona su una sedia. E Maria Pia lo sa e se lo ricorda benissimo.
Ero vivace, curiosa, instancabile, irrequieta. Di tenermi ferma non c’era proprio verso e spesso improvvisava la logopedia al di fuori dagli schemi. Mi portava al mercato e mi mandava a comprare la roba nelle bancarelle, in  spiaggia a giocare con la sabbia ed il mare, alla stazione a guardare i treni e per ogni cosa dovevo dire il suo nome. Ogni luogo era buono, sarà forse anche per questo motivo che adesso difficilmente sto sempre nello stesso posto. E mi sforzavo di dire le mie paroline e di dare un nome a quelle immagini che non riuscivo a vedere con i miei occhi, come sognare, creare, lievitare,sparire, infinito, immenso….

Il lavoro a casa di Maria Pia era impegnativo e facevamo sia allenamento acustico che verbale. Con gli strumenti musicali, con l’apprendimento prima dei suoni delle singole lettere attraverso le vibrazioni e dopo delle parole associate agli oggetti reali ed alle immagini che quotidianamente mi ritagliavano.
Il lavoro a casa era anche sinonimo di yogurt. Se riuscivo a fare tutto per bene, a merenda potevo mangiar lo yogurt dolce. Altrimenti, dovevo trangugiare lo yogurt magro, che per me era proprio schifoso.
Alcune letterine non ne volevano sapere di uscire dalla mia bocca, come la mia prima croce, la S. I pezzetti di carta sputati sul tavolo non bastavano, la scatola con la lucetta rossa che non si accendeva mai. Sibilavo tutto il giorno ma la s non scappava. Così diventai tristemente famosa per la “vacca” da bagno. Ma siccome lei era perseverante ed io testarda, alla fine ci siamo riuscite. Che gioia. Lo yogurt dolce!!
Oggi a volte dico ancora, “ Scusate per la mia esse” ma nessuno s’accorge che a volte mi scappa a stento, quando ci sono le consonanti di mezzo. La “copa”, la “trada”, la “pesa”…A volte perdo ancora gli accenti giusti per strada e mi vedo Maria Pia che mi richiama in testa per correggermi. Oscéno, utòpia. La butto sempre sul ridere ma quanto lavoro dietro, nella notte dei tempi.

Quando tornavo a casa mica la mia giornata era finita. C’erano gli esercizi da fare in continuo con mamma e papà. A turno o insieme, pazientemente, mi facevano ripetere le paroline imparate o cercavano sempre di farmi dialogare, in un modo o l’altro. E tutte le sere avanti così finché non andavo a nanna sfinita. E mi chiedete, ancora, dove trovo tutta questa energia al mondo d’ oggi? Con quello che facevo da piccola….
Poi papà e mamma si sono inventati il momento delle favole. Papà da bravo falegname mi aveva costruito delle casette di legno e mia madre dei pupazzetti con il pannolenci e la stoffa. Fantasia servita su un piatto d’argento, ogni giorno imparavo le favole e ne creavo di nuove, da Biancaneve ed i 7 nani alla tartaruga Camilla che faceva sempre tanti figli. M’ero pure inventata la mia Cenerentola e certe storie che facevano un baffo a Beautiful. Evviva la fantasia al potere.

CRESCENDO

E nel frattempo, arrivò anche l’asilo. Il primo confronto con i compagni. Mi guardavano e si chiedevano cosa portassi. Ero un marziano lì in mezzo.
Volevo correre, volevo giocare con loro ma le maestre mi trattenevano.
“ No, tu sei una bimba speciale! Potresti farti male!”. E mica sono di porcellana, pensavo. E piangevo, guardando gli altri bambini liberi e felici. Spesso disubbidivo e finivo per rompere la scatolina o la chiocciola.
Non le volevo mettere più.
“ Voglio giocare, voglio partecipare anche io!”
Già testarda da piccola, davo del filo da torcere ai miei, alle maestre, alla logopedista. Volevo essere semplicemente normale. Nella mia anima da bambina, già iniziavo a ribellarmi a questo inspiegabile silenzio.
Pian piano, iniziai ad ironizzare sulla mia sordità. A chi lo chiedeva, la mia risposta era sempre pronta. “ Ho le orecchie elettroniche.”

IL SILENZIO

Crescendo, acquistai consapevolezza di me stessa e del silenzio che avevo dentro e non mi fermai davanti a niente, non vedevo più limiti, era come tuffarmi in un mare sconfinato che andava esplorato.
Ogni prova, ogni difficoltà insormontabile diventavano semplici e pure sfide. Ogni umiliazione avuta, ogni dolore che mi è stato causato, ogni offesa mi spingevano a diventare sempre più forte. Più forte di coloro che costruiscono pregiudizi. Più forte.

I periodi più bui, sono quelli della mia adolescenza in cui dovevo imparare ad accettarmi per quella che ero. E non per ciò che mi vedevano gli altri. E quante volte ho pianto, quando i miei compagni mi isolavano perché non ero “normale”, mi facevano i dispetti, mi canzonavano e i ragazzi scappavano via, nella tipica mentalità chiusa, quando dicevo loro che “non sentivo”. Il primo vero cambiamento è stato all’università. Mi sono aperta, sono fiorita, sono diventata loquace ed ho incontrato persone indimenticabili. Persone che mi hanno ridato fiducia nel mondo e che mi hanno fatto sentire per la prima volta, una persona normale. Che in fondo, è quello che sono.

Ho imparato ad “ascoltare e capire “ il mio silenzio quando fui costretta per due anni ad essere senza protesi, a causa di un’infiammazione causata da un otorino incompetente. Mi aveva tirato con il ferro, involontariamente un nervo. Un dolore lancinante, incredibile.
E da quei giorni, ho imparato a vedere per la prima volta il mondo e me stessa, in un’altra dimensione.
Ho imparato ad avere pace col silenzio dentro di me. Ho imparato a conoscerlo fino in fondo fino ad amarlo. Se così non fosse stato, non so come avrei vissuto. Non so che donna sarei diventata, non so se sarei stata così caparbia. A volte, anche il dolore è stimolo per imparare qualcosa di grande, per vedere le cose in modo diverso, per apprezzare le piccole cose della vita. Per gioire davanti al fiore che s’apre per la prima volta al mondo, per commuoversi di fronte ad una luna immensa. Per sorridere sempre anche a chi ti è nemico. Perché si è in pace con se stessi.

IL “MIRACOLO”

Grazie ad amici sordi, scoprii le protesi endoauricolari. Dopo anni passati a convivere con i rumori di fondo, i suoni indefiniti, le parole storpiate e le voci tutte uguali, il passo fu veramente eclatante.
In quella stanza, che ricordo come fosse ieri, quando la protesista mi fece provare le nuove protesi, allibii. “ Ma cos’è?!!?? Un cane…delle voci…ma dove…”  e mi guardavo intorno alla ricerca di un’immagine da associare a ciò che sentivo, scrutavo ogni angolo, ogni muro con i miei occhietti a palla.
Una mia cara amica che m’aveva accompagnato, rimase a bocca aperta ed esclamò:
“ Non l’aveva sentito mai…”.
Per la prima volta, sentii un cane che abbaiava di fuori e le sirene dell’ambulanza. Persino le voci nell’altra stanza. Era troppo per me, quell’attimo. Ero frastornata. Non credevo ai miei occhi di sentire dei rumori così puri. Imparai a dare ad ogni cosa un nuovo nome ed in maniera più sicura. Niente più mal di testa e finalmente anche la musica faceva parte di me. La musica che tanto avevo imparato a sentire con le vibrazioni, stava acquistando melodie, ritmi e qualche volta anche parole. Incredibile.
Quasi piansi. Ero felice per quel che ero. Era il momento giusto per avere le mie nuove “orecchie elettroniche”.

OGGI

Sono diventata architetto ed un bel giorno mi è caduta la mela di Newton in testa quando rimasi chiusa in un ascensore. E da lì capii quale era la mia strada nella vita. Diventare un architetto “sociale”. Un architetto che progetta senza discriminazioni. E così, la mia strada si è congiunta, un giorno, per un lavoro, con un personaggio straordinario: Maria Montessori.
E scoprii che non era la prima volta che la incontravo. Sono andata a casa di Maria Montessori e sono rimasta immobile. In un lampo,come una fotografia che prendeva vita, tante cose venivano a galla. Le lettere rosse e blu, mie fedeli compagne d’infanzia. Il pallottoliere, le percussioni a diverse frequenze e suono, il cubo del binomio, la torre rosa… tutto mi tornava in mente. E mi resi conto che c’è stato un po’ di Montessori nelle cose che Maria Pia mi insegnava, senza neanche volerlo. Semplicemente aveva nel suo bagaglio un pot pourri ed aveva rielaborato a modo suo il metodo De Filippis, mettendoci di suo ed inventando sempre nuovi espedienti. E rileggere Maria Montessori, la sua filosofia, la sua volontà, la sua determinazione e la sua dedizione mi aveva incantato. Tante sue citazioni sono così attuali. E parliamo di una donna del Novecento. Una donna che aveva fatto una straordinaria rivoluzione. Mica male.

Ed ora? Ed adesso?
Se chiudo gli occhi, penso al sapore dello yogurt magro, quel sapore che non potrò mai più dimenticare.

Oggi quando mi chiedono come posso mangiare quello yogurt, rispondo che ha un sapore speciale. Nei suoi ingredienti non c’è solo il gusto, la cremosità e l’amaro che lascia in bocca ma ha nel retrogusto quel sapore speciale che è il ricordo di ciò che ho fatto per esser quella che sono oggi, il ricordo del sacrificio quotidiano, dell’amore e delle persone che hanno creduto in me.

Il ricordo della pazienza di chi mi ha insegnato a parlare, della straordinaria dedizione e testardaggine dei miei che con il loro amore mi hanno fatto diventare quella che sono, lasciandomi sempre libera. Se oggi sono così è anche merito loro.
Se oggi sono quella che sono lo devo anche a quel sapore nascosto che ha lo yogurt magro.
Va al di là del potere del gusto, al di là delle cose materiali. E’ semplicemente il gusto di una vita fatta di sacrifici, soddisfazioni, sofferenze, amarezze. Ciò che ti spinge ad assaporare ogni giorno cose vecchie e nuove, scoprendo sempre nuove sensazioni. Senza desiderare nulla di più se non quello che si ha, senza rimpiangere ciò che si è stati fino ad ora. Solo così, si può guardare avanti e sorridere.
E posso permettermi di concludere con poche e semplici parole. Come mi sento?
Oggi mi sento una donna realizzata, senza paura di guardar avanti, consapevole di ciò che ha vissuto e sta vivendo. Con tanta voglia ancora di scoprire il mondo, di prendere nuove sfide, di non arrendersi mai.

Una donna consapevole di essere dentro una Vita, con la V maiuscola. Cosa c’è da perdere? Nulla.
Ed ora IO guardo il mare sconfinato davanti a me, infinito, lontano ed irraggiungibile e sorrido. Sorrido e penso "E’ questa è la mia vita, la vita mia. Niente di più, semplicemente fiera d’averla vissuta e di viverla. Ora.".

dicembre 2011

                                                                                              
Lettera della mia logopedista (30 novembre 2011)

Carissima  Consuelo,

mi trovo un po’ in difficoltà  a ritornare indietro nel tempo di circa 30 anni  e  sintetizzare in queste poche righe il lavoro di 10 laboriosi anni di logopedia.
Ma ti ricordo ancora il primo giorno che i tuoi favolosi genitori ti hanno accompagnato al centro, eri un morbido fagottino, timida e silenziosa; la
mia prima preoccupazione è stata indirizzarti ad un istituto di audiologia veramente specializzato, a quei  tempi … era quello di Del BO-De Filippis …

Ho subito iniziato  con il “bagno sonoro” e l’allenamento acustico per farti ben accettare la protesi, dovevo farti capire che quel piccolo “corpo estraneo” era indispensabile per la costruzione  del tuo linguaggio “mentale” ed “orale”… ricorda che sei stata affidata ad una logopedista che già a quei tempi credeva che … si insegna  la parola… con la “parola”…  Avevi a disposizione i più vari strumenti musicali: tamburo, xilofono, tromba, fischietto, giocattoli sonori di ogni tipo, te li suonavo di fronte uno alla volta, due … poi ti invitavo a ripetere piano piano a percepire la differenza … poi ti mettevi di spalle, te ne suonavo uno e tu  dovevi provare a riconoscerlo avendo fatto particolare attenzione uditiva … ho aggiunto poi canzoncine, filastrocche  e dopo alcuni mesi … obiettivo raggiunto … i tuoi genitori  mi riferirono che non volevi fare il bagno per non toglierti la protesi e rimanere … nel silenzio.

Si parte con il linguaggio, prima tappa … impostazione di  tutti, tutti i  suoni  onomatopeici: muuu … miao, pio, chicchirichì, bee, co-co-dè … ad ogni suono corrispondeva  prima l’oggetto poi  l’immagine, … come fa la  mucca?… dammi  miao….

Impostazione, articolazione delle vocali e dittonghi  davanti allo specchio e tu  a ripeterle all’infinito finchè non le pronunciavi  bene …

Impostazione,articolazione dei fonemi , con un certo ordine, il primo  “P”  , la letterina che scoppia, sempre davanti allo specchio, gonfiare le guance e … scoppia la “P” ( per differenziarla in un secondo  tempo, quando ti  dovevo  presentare  la “B”.

PA – PO – PU – PE – PI … e poi tutte le paroline che contengono “solo” questo suono: papà, Pia (ricordo ancora l’emozione quando hai pronunciato il mio nome), pipa/e, pupa/e, ape/i, papa, pio pio, pepe…
E’ cominciata già la “caccia alle  immagini”! I tuoi genitori che erano sempre presenti ed hanno collaborato in modo straordinario, preparavano continuamente cartoncini con immagini delle parole che ci interessavano, le ripetevi a terapia, le ripetevi a casa con mamma, con papà, con nonna … così le memorizzavi più facilmente.

Impostazione, articolazione  del fonema “M”… ricordi quella manina appoggiata alle  mie, poi alle tue guance per sentirne la vibrazione e poterla pronunciare al meglio … poi tutte  le parole contenente questo suono M e il suono “P”… Mamma, è  mia/o, amo, piuma, puma … sempre i soliti cartoncini con immagini perché  dovevo farti capire  che ogni oggetto, ogni  immagine  ha un  nome  e … la gioia più grande è stata quando tu hai iniziato ad utilizzare “spontaneamente” le parole che stavi imparando e non legate  all’immagine che ti proponevo … altro obiettivo raggiunto (ricordo che avevi un diario dove ognivolta, puntualmente, scrivevo gli esercizi che ripetevi a casa).

Impostazione, articolazione del fonema “T”… e di tutte le parole che contengono questo suono  e “solo” gli altri già impostati … cartoncini con le parole nuove e  sempre ripasso delle altre … dimenticavo, erano iniziati  anche gli esercizi a  “ bocca  schermata”: ti chiedevo di darmi … il  cartoncino  con  la  moto, il  piatto … ma te lo chiedevo con un foglio davanti  alla bocca  per … costringerti a sfruttare  sempre più il tuo residuo udivo potenziato dalla protesi   e … non affidarti solo alla  lettura  labiale … ricordo  che questi esercizi non  li  gradivi  molto  e  volevi togliermi quel foglietto di carta davanti alla bocca…

Ho  proceduto  con  lo stesso metodo per tutte le lettere dell’alfabeto, i gruppi sillabici … cra, tra… sca …sta …gna …scia … gli, ecc… il borsone con tutti  i cartoncini  cresceva di  settimana in settimana … non so  quante migliaia di immagini abbiano ritagliato  i  tuoi  genitori … e tu continuavi  ad  usare spontaneamente le parole imparate senza  mai  ricorrere  ai  ggeessttii perché  ti  facevi capire e capivi benissimo il  linguaggio  parlato.

Si avvicinano  i 5 anni e … inizio  la lettura e la  scrittura (dopo tanti, tanti esercizi di pregrafismo) … altro  mio obiettivo … era quello di mandarti a scuola con la strumentalità della letto-scrittura già  acquisita … si  parte con delle  letterine  di  legno colorate … rosso  per  le  vocali,  blu  per  le  consonanti e con lo stesso  metodo  con  cui  hai  imparato  a parlare  ( una lettera alla volta), corrispondenza fonema-grafema, hai imparato a leggere … che  soddisfazione sentirti  leggere!!!

Cominciava ora lo studio  della morfologia e  sintassi … abbiamo ripreso  tutti  i cartoncini, cominciando dai primi ma mettendo davanti ad ogni parola l’articolo … quanto ti arrabbiavi quando trovavi  le irregolarità della lingua italiana … avevi intuito che tutte le parole femminili, al plurale, finiscono con “e” per cui mettevi davanti “le” ma ecco ad esempio “salame”… ed altre che vogliono “ il” … e tu, a chiedermi, perché, perché …

… Cominciammo  poi con le azioni, prima fatte concretamente … costruzione delle prime frasi minime, poi gradualmente arricchite … che fatica l’uso delle preposizioni semplici, articolate … non dimenticherò mai la tua espressione quando hai letto che il fazzoletto era < nella tasca > e non riuscivi a spiegarti come  " nonna Nella" fosse finita nella tasca … e così  via per pèsca e pésca ecc. … quante difficoltà ti abbiamo chiesto di superare !!!

…via  con gli album  illustrati : le  stagioni … tutte le caratteristiche di ciascuna stagione illustrate e  verbalizzate .., la famiglia, giorni, mesi, fiori, frutta, animali, mestieri, parti del giorno, l’orologio, serve a…, è fatto  con…, i negozi … il tuo linguaggio  era  come  un puzzle e, ogni  giorno, aggiungevi  un tassello e il quadro si andava completando … mi piace pensarlo  così …

Ecco poi la lettura delle prime storie, le prime fiabe  e  … la comprensione del testo letto, le immagini hanno giocato ancora il loro  ruolo, tutto ciò che si poteva illustrare, veniva illustrato … la prima fiaba “Biancaneve e i 7 nani” è stata abilmente riprodotta da papà Franco, falegname, uno per uno ha ricostruito i nanetti col “pannolenci” e li ha attaccati su tavolette di legno, il principe … mentre leggevi o raccontavi, drammatizzavi la fiaba … quanti ricordi … e così via per tutte le altre … e a casa … mentre tutti i tuoi compagni giocavano, tu ripetevi con i genitori, tutto, tutto quello che era stato detto  e  fatto durante la lezione di logopedia … quante ore di gioco ti abbiamo tolto, però tu apprendevi velocemente, avevi una gran voglia di comunicare, di parlare con tutti … e noi, giù, con  sempre più esercizi. Non so quante storie e lavoro di comprensione hai  fatto … e per farti capire certi verbi, come “ sognare”, “lievitare” … mi sono inventata di tutto … ricordi, una volta siamo  pure andate al mercato a Morrovalle, tra le bancarelle, a verbalizzare, facevo comprare e pagare a te le cose …

Avrei ancora tante cose da raccontare ma non so con precisione se è  questo quello che volevi sapere, sappi che sono sempre disponibile e … mi piacerebbe davvero  scrivere qualcosa di più specifico e  professionale ma … per ora lotto contro il tempo … questa  settimana tutti i pomeriggi a scuola per i colloqui …

Mio  caaarriisssimmooo  architetto  ti  abbraccio  affettuosamente  e … spero di esserti stata  utile.
( scusa per gli errori ma non l’ho riletto)                                                                     

 Maria  Pia  Melatini, Per  te  logopedista

30 novembre 2011

Consuelo a Granada – Progetto Leonardo 2008: articolo on line di <Riviera oggi>, Qui

spagna

Consuelo racconta in lingua spagnola il suo viaggio:

EL VIAJO DE UNA VIDA

Granada, Cordoba, Cadiz , Ubeda , Baeda , Sevilla , Madrid y Granada. Un viajo que empeza de Granada y termina a Granada.
Las ciudad son mucho ricos de historia, marvillose y singular. Por mi, arquitecto, la Andalucia es una tierra de monumentos exceptional, de hermosura extraordinaria. No si puede olvidar los arches de la Mezquita de Cordoba, la imponencia de el Real Alcazar de Sevilla, el color de los barrios espanol.
Como arquitecto es màs facile hablare de arquitectura y hacer un comentario crìtico de todos los monumentos. No. No es justicia. Yo prefero hablare de todo que es el viajo por entero. Hablare de todos le cosas que pintan l’Espana en mi cabeza y en mi corazon.
Yo prefiero escriber un diaro de viaje. Un diario lleno de emocion, sensacion, de cuentos y de recuerdos.  En esto momento el diario se abre. Hoja por hoja.

Mañana temprano.
Hora 7:30. Una carrera por tomar el bus. Destino: Cordoba.
“Cordoba es el primero recuerdo de esto viajo. Cordoba es la ciudad de el descubrimiento de la espectacular  Mezquita y de el grupo. Encantarse delante a el triunfo de la antigua arquitectura que presenta una simbiosi  y una cohabitaciòn armonica de una mezquita arabe y una catedral cristiana. Incuriosirsi delante a la descubierta de cada persona de el grupo. Aprender de cada persona pequeñas cosas y respirar aire positiva en un clima de alegra brigada. Pasejar por les jardines del Palacio Real saludando la estatua de Cristoforo Còlon y comiendo las naranjas. Jugando por le estancias de el palacio en una carrera por mirar cada angulo y encharse a reir a las choques de todos.
Cordoba es asì levantarse de primera  mañana y salir en una fiesta medieval para las calles de la ciudad, comiendo productos local. Cordoba es todo, impossible de olvidar.”

Hora 11. Destino: Cadiz.
“Una simpatica excursion por mirar el Carnaval màs celebre de Europa. Ademas esta es cultura espanola. Cadiz es sobratodo el color y la alegria de las nuestros mascaraz, remediades a el ultimo momento por las calles de Granada. La desespéracion de Marco por inventar una mascara. A la fin todos erabamos muy bonitos: Pocahontas Sara, Vamp Cons, El ninguno Marco, los jefes de obras Lorenzo, Roberto y Valerio.
El mar de Cadiz es el primero mar de Espana que veo cercano. Un mar immenso iluminado da el sol..Que encanto!”

Hora 7:30. Destino Ubeda y Baeda.
“Esta vez son Michela y Irene a salir tarde. Por una vez yo y Marco somos punctual.
La primera impresion de Ubeda no es positiva. Una ciudad anonima. Palacios todos igual. Plaza en plaza. Màs como cada ciudad esconde el suyo tresor: la Catedral y la plaza Dos de majo en cuyo todos las fachadas contano la propia historia a traves de las estatues. A traves tambien de particular letreros en latin pintade de rojo como afrescos.
Un recuerdo es en el Monasterio de Santa Clara. Las carcajados de Ire, Marco y Michy delante a mi. Por un sencillo hecho: yo me soy tropeza en la banqueta de la iglesia haciendo un ruido da levantar las monjas clarite. De esta iglesia, otra a la banqueta maldita yo no puedo olvidar las imagenes de el dolor de Jesus. Inquietante. Por la primera vez yo he mirado cercano este imagines. Muy inquietante.
Ubeda es ademas l’ afortunado encuentro con nuestros “ salvadores” Lorenzo y Roberto. Gracias a ellos nos habiamos descubierto la joya Baeda. En esta ciudad cada calle, cada palacio, cada iglesia hablaba. Estatues y letreros como Ubeda. El patio de la veja Universidad donde la photos cuenta la nuestra broma en la aula. La photos cuenta de un profesor malvado llamado Marco que hace una pregunta. Detras de asiento dos alumnes impreparados que se enscondono: Michela y Irene. Sol una alumna sonrire y alza sa mano, una “ pozal “ que respuende a el nombre de Consuelo.
En la Catedral de Baeda, llena de estatues y de cuadros barocos nos hemos mirado un particular nicho que en suyo interno enchonde un tresor y la cara de Irene.
Mientras Marco y Michela escuchabano el tocar de las campanas, yo y Irene  mirabamos les decoracion de la iglesia y el cuadro de la “ Ultima comida” en una capilla. Que colores!”

Hora 7:30. Destino: Sevilla.
“A el tocar de el despertador yo he pensado “ Que fea cosa despertarsi muy temprano.” No existe otra solucion. Despertarsi por un viajo soltero. Sin divider la tragedia del despertamiento. Sevilla es por mi, un viajo soltero por comprender tres mesis de vida en Espana. Sevilla es un aventura muy bonita. Un aventura por la ciudad y por me misma. Una paseja de piensamenti, mirando cada cosa en perfecta contemplacion y tranquilidad. En silencio, escuchabo las obras como la Catedral, el Real Alcazar y el puente de Calatrava. Olerando el perfume muy intenso des azahar en los jardines de el Alcazar y ne los parques. Traendo el sol en la banqueta de el pasillo de el rìo Gualdaiquivir. Que paraìso.
El Barrio Triana, barrio natal de el Flamenco andaluz. El Barrio de Santa Cruz. Barrio despues barrio. Barrios que se llenan de personas muy elegantes el domingo de Palmas por la primera procesiones andaluza. Una fiesta religiosa muy sentida. Yo he muy gana de volver de nuevo en esta ciudad..Hasta pronto Sevilla.”

Hora 8:00. Destino: Madrid
“Màs tarde. Es muy tarde. Carrera por la estacion des autobuses junto a Marco, Irene y Valerio. Por la fin de la Semana Santa, una zambullida ne la Capital Madrid.
Madrid es la mania fotografica “ a la japanese “  como dice bien Valerio. Yo y Irene siempre con la maquina fotografica en mano por no olvidar nada obra.
Madrid es tambien el Parque del Buen Ritiro en cuyo nos reposamos despues una largura paseja de muchas horas a la ricerca de el cuadros de “ las  10000 virgen” en el Monastero de las Descalzas. Es la descubierta de el cafè a el caramelo. Es la surprisa de trovar en una taberna madrileña de un compatriota oyente que hablaba con mi la lengua des Signos y se conmove. Impossible da olvidar, otra cosa que es en mi corazon.
El placer de cumentar cuadros de Picasso, de Dalì a el Museo Thyssen y Reina Sofia. El placer de apuntar un escultor espanol nuevo, Pablo Gargallo ( 1881- 1934) de me desconocido. De mirar el primero Dalì y las sensacional mujeres de Picasso. El curioso pabellon de Luis Bunuel su el cinema y  su los ciegos.
El recorrido subterraneo del Tempio de Debod que nos hemos traversado.
El restaurante  internacional  en cuyo hemos hacido la nuestra fiesta de Pascua a bases de cocina mexicana.
Hasta luego señora Madrid.”

Hora 14:30 P.M. 12 Enero 2008- Hora 8:30 A.M. 5 Abril 2008:
Ida y vuelta de Granada.
“La señorilità de Madrid. L’elegancia de Sevilla. El color de Cordoba. L’alegria azul del mar de Cadiz. El desengaño de Ubeda y la surprisa Baeda. Un ajectivo por cada ciudad.
Granada? Granada resume todo. Granada es la conclusion natural de mi viajo. Es la descubierta de ir a tapas, de la cultura española, de mis companeros, de me misma.
Granada es ne la cancion “ Con la frente Marchita “ de Joaquin Sabina que nos cantabamos. Es en “ A fuego lento “ de Rosana que yo escuchaba  junto  Michela.
Granada es el mirador de San Nicolas. Es las eternos disputacion y despues encharse a reìr con Lorenzo. El colore blanco de el Albaycin que es parecido a el color de Panarea, isla italiana. Es las grandes reflexiones cotidianos junto a Marco. El barrio Sacromonte y las cuevas de la Abadia. Es las infinitas desafios con Roberto. Las calles de el Realejo. Las carcajados de Irene. La Sala de Dos hermanas y los célebres mozarabes. La solidariedad “marchigiana” con Michela. El Monastero de San Jeronimo. Es las bromas de Valerio. El flamenco gitano, otra realidad española, que yo recuerdo en “La Chumbera” donde los espectaculos eran delante la Alhmabra iluminada. Bailaor y cantaor en una musica de grandes paséon. Es la pasèon de el baile que liga Sara y me. Granada es tambien , espectaculo ne la Semana Santa. Pasos que despacio iran por las calles en un baño de pueblo? El pasos de Sacromonte debajo la lluvia, el Pasos de Sant’Ana de rodillas, la inquietud de el Silencio y lo splendor de el marvilloso pasos de l’Huerto des Ulives. Un pasos acompañado de rincon religiosas apasionados. Que calofrìos!
Yo no puedo decir ninguna cosa negativa.
Yo he preferido hablare de los descubrimiento de mi companeros de esto hermoso viajo: companeros que son impossible da olvidar.
Descubrir les ciudades espanol fue ademas un viajo no solo cultural ma tambien personal.
Descubrir los monumentos y descubrir los caracteros.
Emocionarse delante a  monumentos estudiades sobre los libros y emocionarse cuando aprendi el calor de un sonrire, de un abrazo…
Companeros de aventuras.
Companeros en barrios a la descubierta de el calor espanol,  el perfume de el asador, de el pulpo frito, de las patatas bravas: comida espanola muy bonita…
El rojo del tomato como el rojo del barrio Triana de Sevilla.
El amarillo delle patatas como el sol de Espana.
El calor de el pueblo espanol como el calor della compania leonardina en viajo conmigo.
Recuerdos de viajos que no son solo monumentos mas tambien personas, color, comidas, sensacion.
Un viajos mas profundo. Un viajo junto a Irene, Lorenzo, Marco, Michela, Roberto, Sara y Valerio. ( en orden alfabetico por educacion ).
Gracias chicos. Gracias de corazon companeros.
Todo es viajo!Todo esto es Espana por mi!”

 

                                                                                      Consuelo Agnesi, 2008