“sulle vecchie cartine stradali d’USA, le strade principali erano segnate in rosso e quelle secondarie in blu … subito prima dell’alba e subito dopo il tramonto – brevi istanti né giorno né notte – le strade blu hanno un fascino intenso, e sono aperte, invitanti, enigmatiche: uno spazio dove l’uomo può perdersi”.
Strade blu – W. Least Heat-Moon
L’autore, sulle strade blu, và a ricercare interesse alla vita, e ritrova l’ America come un altro, diverso continente. Dice: “non potevo dire di aver imparato nel viaggio ciò che volevo sapere, perché non me lo ero mai chiesto. In compenso avevo imparato ciò che non sapevo di voler sapere”.
Quando voglio raccontare la mia storia, spesso mi immagino l’inizio e la fine, come vorrei esprimere certi momenti, come potrei far capire quello che più di profondo ho. Ma forse la cosa migliore è essere spontanei, scrivere impetuoso come un fiume in piena, sciolto e fluido come la danza; quindi vi racconto in base ai miei ricordi, in base a quello che dice il mio cuore alla mia mente, senza nessun filtro controllato, senza spazio-tempo.
Mi chiamo Anna, sono originaria di Savona. Mia madre ha sognato, nel giorno in cui sono nata, una bambina al parco che si chiamava con questo nome. A mio padre piaceva molto e così, senza pensarci due volte, senza aver mai immaginato quale nome darmi quando ero ancora in grembo, mi hanno chiamato Anna.
Sono nata sorda e non si sa perché. Mia madre non ha avuto la rosolia in gravidanza, o simili. Io non ho avuto una grave malattia nei primi anni dell’ infanzia. Quindi quando sono nata avevo già un mistero addosso, un qualcosa di grande che non si poteva spiegare. Come se la sordità fosse predestinata a me, come se io avessi delle potenzialità giuste per tirar fuori quello che la sordità di bello e faticoso riservava.
I miei genitori hanno scoperto tardi (avevo un anno e mezzo) che ero una bambina con sordità profonda bilaterale, sebbene molte volte gli era venuto il dubbio, sempre soppresso da molti pediatri disattenti che li liquidavano con un “vostra figlia è solo lenta, prima o poi parlerà”.
I miei genitori non ci credevano molto, mi vedevano sveglia e con molta voglia di comunicare; qualcosa “ablavo”, ma non molto, per cui sentivano che c’era un ostacolo fra me e il mondo.
Finché un bel giorno a mia madre venne una brutta otite. Andò dall’ otorino e d’istinto gli disse: “controlli mia figlia”, dimenticandosi di sé. Da lì trovò la conferma a tutti i suoi sospetti: “sua figlia è sorda come una campana!”. Andò a casa, si mise sotto le lenzuola con me e mi cantò all’orecchio, piangendo, le sue canzoni preferite. Pensò fra sé e sé: “mia figlia non può non sentire la musica!” Poi, finito lo sfogo, si rimboccò le maniche e cominciammo insieme un cammino meraviglioso, difficile e faticoso, ma con risultati che oggi io e lei non credevamo possibili.
Tutto ciò è successo insieme a mio padre, persona veramente unica e sempre presente: mi dava energia e forza quando io non ne avevo più; mentre mia madre mi faceva da “logopedista”, mostrandomi il lato fisiologico del parlare e ascoltare, mio padre mi mostrava il lato creativo, la naturalezza nel parlare e ascoltare che anche io potevo avere con la mia sordità, perché tutti (audiolesi e udenti) non sentiamo allo stesso modo.
Quindi mia madre è stata una sorta di Cicerone, è stata la mia Virgilio; mio padre un piccolo Martin Luther King, il mio Bob Dylan.
Semplicemente parlandomi con la massima attenzione, parlando a me. Senza rinunciarci mai, in nessuna occasione; senza che li sfiorasse il pensiero di parlare … al vento.
Da piccola, insieme alla fatica di ascoltare e parlare, a volte mi sentivo una privilegiata. Paradossale?!
I miei genitori, a cui devo tantissimo se non tutto, fin dal primo momento mi hanno fatto vivere questa situazione non come una malattia, una menomazione, un dolore. Bensì come una sfida da cogliere e vivere, una strada non battuta da percorrere, un volo da fare con una zavorra in più. Tant’é vero che, all’asilo e alla scuola materna, vedevo gli altri senza apparecchi acustici e a volte mi chiedevo: “ma gli altri come faranno a sentire?!”
Nell’infanzia molte cose negative le ho vissute in maniera minore grazie alla sordità. Mi spiego con un esempio: non sentendo quando qualcuno diceva bugie, io conoscevo il concetto di bugia come una cosa astratta, non l’avevo mai provata sulla mia pelle, essendo anche cresciuta in una famiglia in cui il valore della sincerità e trasparenza erano fra i valori più importanti. E’ stato un colpo per me quando ho sentito, all’età di 10 anni circa, una mia amichetta dire una cosa falsa su di me. Non concepivo proprio il fatto che noi umani potessimo dire bugie. La sordità, in un certo senso, mi riparava dalle azioni negative legate alla parola.
Inoltre, ancora oggi, con la mia sordità, posso facilmente respingere i discorsi nefasti che intorno a me scorrono, attraverso i mass-media, per esempio. Una persona udente può fare più fatica a non sentire una voce che vuole solo sputare veleno.
Questo non vuol dire che è sempre stato rose e fiori. Anzi, una volta ho toccato il fondo, ma spesso, solo lì si trova la forza di risalire.
Purtroppo il mio cammino non è stato uniforme, ovvero: diagnosi azzeccata, protesizzazione efficace e terapia logopedica giusta. Anzi. Direi invece che ho avuto, in mezzo, un bel traffico, un bel casino, per dirla alla Ligabue!!
Le mie prime protesi le consideravo come degli orecchini. Nel senso che non mi accorgevo neanche quando erano accese o spente. Poi mi misero degli apparecchi acustici retroauricolari, da lì passai dall’altra sponda del fiume. Sentivo tutto forte, troppo forte! Non distinguevo niente, ogni volta che la mamma lavava i piatti, ad ogni rumore che produceva, io andavo da lei dicendole: “mi hai chiamato?” ; i rumori e le voci le sentivo pressoché uguali.
Ho cominciato una terapia logopedica alquanto inefficace per me, in cui le prove d’ascolto si svolgevano in questo modo: la logopedista stava dietro di me, mi diceva qualcosa, io non sentivo, allora veniva davanti a me, mi ripeteva quello che diceva, io leggevo le sue labbra, indovinavo, fine della seduta. Un bell’aiuto, che dite?!
Poi … ho incontrato la persona che ha segnato la mia vita. Con lei tutto è cambiato, con lei finalmente cominciavo a capire tutto ciò che riguardava la sordità, tutto ciò che poteva venire da me con queste mie orecchie.
Parlo della DR. Zora Drezancic.
L’ ho conosciuta in un giorno di pioggia, con la febbre a 38°, tornando da una di quelle sedute logopediche inutili. Mia madre vide un volantino su un suo seminario, che si stava svolgendo in quel momento, in quel portone accanto. Nella vita capitano quei momenti in cui tutto l’ universo si racchiude e converge verso una direzione che tu non puoi fare a meno di prendere. E’ capitato a mia madre, che si precipitò dentro, seguendo il seminario di Zora per la prima volta. E per la prima volta da me vennero dei suoni con un’intensità mai avuta.
Da lì cominciai finalmente a costruire la mia voce, il mio sentire.
Molta gente, in situazioni superficiali ma quotidiane, come comprare un giornale, appena capiva che sono una persona con sordità, cambiava atteggiamento. Sostituivano la propria voce con un’ articolazione labiale cresciuta esponenzialmente e dei gesti grossolani.
Risultato? Capivo di meno.
Quando ero più piccola, mi arrabbiavo! Mi dicevo sempre: “ma possibile?! Hai sentito che parlo e ho capito quello che mi hai detto finora, perché cambi??!”
Ma ora penso che se non si prova sulla propria pelle una certa situazione, non si può pretendere di saperla conoscere veramente.
Anche per questo sono fiera di essere sorda; ho una sfida in più nella vita, posso sapere cosa sia e immaginare più da vicino i problemi degli altri. Non intendo dire che la sordità mi fa capire tutti i problemi del mondo, come fosse un passepartout per entrare con facilità in tutti i mondi diversi! Semplicemente dire che di fronte a una situazione sconosciuta, la sordità mi fa superare il primo livello verso la conoscenza di qualcosa, il più superficiale, quello della paura dell’ ignoto.
Io penso che molti problemi di comunicazione fra diversi (udenti -sordi; razze e culture diverse; diverse religioni o correnti politiche, … ) vengano per la paura di quello che non si conosce. Si fa quindi un passo indietro invece di entrare in quel mondo e vedere cosa riserva, armandosi solo del rispetto verso l’altro.
La sordità è un mondo intero, fatto da mille sfumature, da mille esempi unici, impossibili da unificare per creare delle generalizzazioni.
Un mio carissimo amico mi ha detto che è anche questione di intelligenza. Se qualcuno si accorge che sono audiolesa, é lì che si mette alla prova la sua intelligenza, cioè arrivare a capire che non é certo la sordità a impedire una comunicazione; quello lo fa il pregiudizio.
Con Zora, bisognava impegnarsi al massimo, quante volte si arrabbiava perché non facevo abbastanza i suoi esercizi per la voce e l’ ascolto! Ma è stato grazie alla sua personalità così forte e dura che io ora parlo con la mia voce creativa, musicale, solamente mia. Ora mi capita che qualcuno neanche si accorge che sono sorda!
E mi viene in mente un momento bellissimo. Ero ad una lezione universitaria, il prof. stava spiegando, io dovevo chiedere una cosa alla mia collega di fianco, Gloriana; l’ho detto sottovoce, un attimo prima che il professore dicesse “Ragazzi, facciamo una pausa” . Quando cominciò il rumore delle sedie spostate, il gran vocio degli studenti, vedo Gloriana fissarmi per un attimo, poi dirmi: “ma tu come riesci a sussurrare?! In un mondo in cui molti udenti non riescono a modulare la propria voce, tu ci riesci!” .
Se si scala una montagna invece di una collina, c’è molto più da camminare, ma quando si arriva in cima, si può vedere meglio il mare.
Sapete che considero la sordità anche un filtro? Per riconoscere meglio le persone autentiche. Purtroppo siamo in una società in cui si va verso una perfezione estetica maniacale, bisogna essere perfetti e quello che non lo è, viene buttato via. E’ solo un ottica soggettiva adottata dalla moltitudine. Come la moda … chi non si veste secondo un certo criterio, viene espulso dal gruppo.
E allora uno che è sordo?! Qualcuno la pensa così.
Ma c’ è sempre l’altra faccia della medaglia.
Con addosso un problema grosso , così come lo considera la moltitudine della gente, ho affinato la vista, le sensazioni interiori, la pancia che avverte, le sensazioni di pelle, dò più importanza alla mimica ed alla comunicazione non verbale, spesso più significativa di un discorso. Spesso ho capito subito le vere intenzioni di qualcuno e di conseguenza ho preso meno fregature di certe mie amiche udenti che consideravano oro colato qualche falsa promessa di un ragazzo. O viceversa, vedevo un’amica veramente sincera mentre degli altri amici davano per certo che non lo fosse.
I rapporti superficiali non mi interessano. Quando parlo della mia sordità a qualcuno, capisco se ho davanti una persona valida, che considera la diversità una ricchezza, o meno. Tutto questo grazie alla sordità, che mi fa da filtro, per vedere fra la gente l’acqua buona dalle impurità.
Comunque io credo che ognuno abbia qualcosa di speciale dentro, ma pochi vogliono lottare per tirarlo fuori. In giro, oggi, vedo più gente intenta a trovare le strade meno faticose, anche se non portano a niente.
Dei miei cari amici mi dicono sempre: “Anna, tu non hai qualcosa in meno di noi udenti, ma qualcosa di più!”.
I disabili sono chiamati anche persone diversamente abili ; qualcuno ha detto che non è una definizione esatta. Si dovrebbe dire invece persone veramente abili, perché se riescono a fare quello che fanno tutti con un qualcosa in meno, allora sono più abili, veramente abili.
Tutti possono farcela, tutti sono da rispettare, l’importante è scegliere la strada che si vuole.
Linguaggio verbale o lingua dei segni?
Personalmente penso che da piccoli la prima strada da prendere sia quella di imparare a parlare, poi, se si vuole, imparare anche la lingua dei segni. Sapere solo la lingua dei segni forse può limitare le scelte future di un bambino, perché noi sordi nasciamo con la potenzialità innata al linguaggio verbale, come le persone udenti. Io da piccola avevo paura della lingua dei segni, pensavo che mi potessero togliere l’uso conquistato della parola, quindi non li ho mai voluti imparare. Ma ora ho conosciuto delle persone che mi stanno facendo conoscere questo linguaggio.
Voglio dirla tutta, però. Patisco che la lingua dei segni sia considerata l’unica lingua riconosciuta – da numerosi stati – per le persone con sordità. Come se essere sordi significasse per forza essere anche muti.
Certo, se non si fa terapia logopedica e/o non si indossano apparecchi acustici, è il destino che verrà. Quanta gente mi ha chiamato sordomuta … io sempre a correggerli “no, solo sorda, non vedi che parlo?” . Spesso mi fa pensare… è così difficile considerare la lingua dei segni come uno dei tanti linguaggi che un ragazzo con sordità può acquisire? Come una specie di lingua straniera? Personalmente, so leggere l’inglese ma lo parlo poco, perché non ne ho l’occasione. In futuro… chissà! Ma conosco persone con sordità che sanno parlare benissimo lingue straniere. Una persona con sordità che sa parlare l’italiano e conosce la lingua dei segni, non è pressoché uguale a una persona udente che parla due lingue diverse? Sapere che molti indirizzano i genitori di bambini con sordità verso la lingua dei segni come unica via possibile, mi fa venire i brividi. Semmai è solo quella più facile. Sia ben chiaro, io non sono contro la lingua dei segni. Ma sono fortemente contro coloro che la considerano come unica lingua possibile per chi ha problemi di udito.
Alle elementari, le maestre non credevano in me. “Non leggerà mai la Divina Commedia”, dicevano a mia madre. Così, io passavo di continuo, come una pallina da ping-pong, fra due situazioni: a casa, dove ero libera e stimolata da mia madre, imparavo tutto subito, e a scuola, dove le maestre mi trattavano come una poverina , dove io non riuscivo a tirare fuori la mia intelligenza. Avevo sempre un insegnante di sostegno, assolutamente inutile per me perché mi portava fuori dall’aula e mi spiegava i concetti diversamente dalla maestra. Ma io da chi venivo poi interrogata?! Ora se ci penso, mi viene da ridere.
Alle medie è stato diverso: finalmente ero considerata e trattata tale e quale ai miei compagni. In ogni senso, a parte l’insegnante di sostegno, non avevo nessun trattamento particolare in funzione della sordità. Per dirla alla grossolana, i professori non pensavano: “é sorda, quindi non capisce” . C’è da dire anche però che fino alla scuola media, ovvero fino a quando ho cominciato a diventare adolescente, in cui si è al massimo dell’insicurezza e confusione per morire bambini e scoprirsi adulti, non mi sono mai vergognata della sordità, mai avuto problemi a conoscere amichetti con cui giocare; ne ero sempre piena!
Molto fa come uno si considera, come uno si pone di fronte agli altri.
Da quando cominciavo ad avvertire degli sguardi strani da parte dei miei compagni delle medie, che mi trasmettevano quel senso di inadeguatezza e di non-normalità , ho cominciato ad essere timida, a non prendere io l’ iniziativa di parlare, ad abbassare il volume della mia voce per cercare di diminuire quel timbro considerato strano, ottenendo l’effetto contrario!
Quando cominciai il liceo, mancò il mio carissimo papà, all’improvviso.
E stato qui che ho toccato il fondo; mi sentivo persa, completamente.
Ma nello stesso periodo, dopo delle esperienze extra-sensoriali con mio padre, esperienze possibili solo attraverso la fede, il vento cambiò.
La mia sordità ritornò pian piano ad essere la mia grande sfida, il mio giro d’Italia, e io ero un… piccolo Coppi!
Decisi di frequentare il Liceo Classico, nonostante Zora disapprovasse, secondo lei sarebbe stata dura. In effetti era difficile, ma a me sono sempre piaciute le cose difficili, le ho sempre cercate e le cercherò sempre, in ogni cosa. Quei cinque anni in cui studiavo il greco e latino, la filosofia e leggevo un sacco di libri, sono stati duri quanto meravigliosi per me. La Divina Commedia l’ho letta, dall’inizio alla fine, verso per verso! E’ la migliore opera letteraria di tutti i tempi, per me.
Qui ho trovato delle persone veramente squisite, la preside e i professori, che mi consideravano un esempio da ricordare. Quando qualche alunno aveva dei problemi, la preside diceva nei consigli di classe: ma abbiamo visto che è arrivata a fare Anna? Anche Tizio, Caio o Pinco Pallino ce la può fare! , esortando i professori a credere in quell’alunno.
Come tesina per l’esame di maturità ho portato la musicalità della poesia attraverso il metodo Drezancic, un piccolo scritto sull’importanza della metrica per comprendere a fondo la poesia greco – latina e italiana. Nell’antichità, la poesia era sempre legata alla musica, ai ritmi nascosti nelle parole; infatti sceglievano con cura le parole, la loro posizione nel verso, per dare a chi leggeva dei suoni che spiegassero i sentimenti che il poeta voleva trasmettere. Io ho potuto studiarla attraverso le strutture musicali di Zora. Ero forte in greco. Non la prima della classe, ma nella pronuncia non sbagliavo un accento, una parola. Per me la scrittura era molto affascinante, sexy. La professoressa chiamava spesso me per leggere qualche brano, diceva che ero come una melodia. L’amavo quella scrittura, amavo leggerla, amavo la letteratura e i miti. Grazie ai ritmi musicali di Zora, che sono la mia stella polare del linguaggio, il mio nord di una bussola infallibile, il mio sogno realizzato, grazie a quelli io vedevo, leggendo, il ritmo musicale corrispondente a quella parola. Un po’ come quel genio del film “A beautiful mind” con Russel Crowe che, in riviste, vedeva codici segreti per il KGB. C’era un effetto speciale molto bello, lettere sparse che uscivano dal foglio e il protagonista – un genio pazzo – li metteva insieme nella propria mente. I miei compagni … mi chiedevano di scrivergli la pronuncia esatta dei versi greci, così quando la professoressa li interrogava leggevano correttamente. A me lo chiedevano! … e sono sorda!
Secondo me, non sono le disabilità (fisiche, psicologiche, morali,… ) a limitare le proprie potenzialità, ma il proprio pensiero su noi stessi e la voglia di vivere e di lottare!
Nei cinque anni del liceo, mi capitò un altro momento fondamentale, un altro di quelli che cambiano l’esistenza. Le protesi endoauricolari Linear. Avendo trovato il metodo riabilitativo migliore per me, cosa mancava?
Le protesi giuste.
Le ho trovate, e da lì il mio sogno si è completato: ora potevo finalmente sentire un mondo intero di suoni diversi fra loro, sentire differenze fra le varie voci, distinguere i vari strumenti presenti in una canzone, seguire le parole del cantante, sentire in modo naturale i vari suoni della natura … potrei andare avanti ancora per molto!
Da quel momento, potevo avere il controllo della mia voce, correggermela da sola, non solo con l’aiuto della logopedista, Consuelo, una vera amica insostituibile. Ancora ora le porto, e le porterò per sempre.
Un’altra parte importante della mia vita sono stati gli scout. Grazie alla vita scout, in cui assapori il senso dell’avventura, della strada, del servizio e della comunità, ho imparato a conoscere la natura, e anche a sentirla. Non avevo paura quando, ai campi estivi, facevamo delle attività notturne; consideravo il fruscio del vento e lo scorrere dell’ acqua del fiume come dei punti di riferimento. Alla fine del cammino scout, in cui si diventa capi scout, avviene un momento bellissimo: la partenza. E’ impossibile spiegare tutto in due righe, solo chi è stato scout lo può capire. Comunque bisognava scegliere due simboli fondamentali, da portare con sé per tutta la vita. Io avevo scelto l’acqua e il suono della natura. Per me, l’acqua era la presenza continua della vita, la costanza, senza di lei non si può vivere; il suono rappresenta il miracolo possibile, quindi la forza di non arrendersi mai.
Dopo il liceo, mi sono iscritta a Scienza e Tecnologia dei Prodotti della Salute, della facoltà di Farmacia dell’Università degli studi del Piemonte Orientale A. Avogadro, di Novara. Una laurea breve centrata sull’importanza del controllo di qualità su tutti i prodotti della salute, dai farmaci ai prodotti cosmetici, dai prodotti alimentari alle cure termali. Io ho scelto il curriculum erboristico, cosmetologico, termale. Quindi poi, per acquisire qualcosa in più sugli alimenti, dopo la laurea ho conseguito il master di 1° livello in Tecnologie nei controlli sugli alimenti , dell’Università degli Studi di Genova. Durante gli ultimi esami e dopo la laurea ho lavorato in una ditta di preparazioni cosmetiche, dove ho studiato per conseguire la mia tesi di laurea, sull’olio di oliva; per me, olio straordinario quanto universale, fin dall’antichità lo si usava sia per curare delle malattie, sia come unguento di bellezza per la pelle, sia come alimento. La mia famiglia ha un uliveto; certi ulivi portano il nome di ciascun membro della famiglia, me compresa!
Poi, il master mi ha trovato il lavoro che cercavo. Nel corso, era previsto uno stage formativo e io l’ho svolto a Forlì, nel laboratorio chimico di ricerca & sviluppo di un’azienda agroalimentare giovane e ben affermata nel mondo, l’Olitalia S.r.l. Qui ho sentito di essere al posto giusto nel momento giusto. Dopo lo stage, mi hanno chiesto se volevo continuare con loro. Ho accettato. Ora ogni giorno svolgo delle analisi chimiche per il controllo di qualità su tutti i tipi di olio di oliva e oli di semi. Nel laboratorio lavoro con altre ragazze, tutte molto in gamba. Tre di loro, dal primo momento, hanno esclamato: “abbiamo detto ai capi che sei bravissima e molto coraggiosa, non pensavamo che tu fossi così!”. Siccome gli organizzatori del master gli avevano detto che sono una persona con sordità, si erano fatte un’idea completamente diversa. Il responsabile del laboratorio, nonché il mio capo, è un grande. Molto alla mano, scherza sempre con noi. A volte osserva il mio modo di sentire e mi dice: “ma non è che fai finta di non sentire eh?!” In quell’ambiente ognuno è considerato secondo la sua unicità.
Ma è cominciato tutto dopo una serie lunghissima di dubbi… poi ho deciso di stravolgere la mia vita.
In quattro mesi mi sono trasferita, ho trovato casa a Forlì, ho cominciato a lavorare e mi sono sposata. Il 2007 è stato un anno molto particolare per me! Michele, mio marito, è venuto con me. Da tempo pensavamo di andare a vivere insieme. Poi, l’offerta di lavoro di Forlì ci ha fatto pensare …
e via, quasi come due fuggitivi, ci siamo sposati subito prima di trasferirci.
Ci siamo conosciuti 6 anni fa.
Il mio rapporto con lui è sempre stato una sorpresa continua. Mai mi dimenticherò il momento in cui mi ha detto: “Continua a parlarmi. Mi piace sentire la tua voce, bella e profonda”. Ognuno di noi ha pregi e difetti, cose più belle e altre meno. Per cui non pensavo certo che un ragazzo mi potesse dire che ho una bella voce. Cioè, intendiamoci, parlo bene ma comunque non pensavo che qualcuno potesse considerarla come uno dei miei punti forti. Pensavo più il mio sorriso, i miei occhi o i miei capelli. Non la mia voce! Quando l’ho sentito pronunciare quelle parole, dentro di me è scattato qualcosa. Mi sono detta fra me e me: “questo me lo sposo!” E così è successo. L’anno scorso, il 30 giugno. Una giornata spettacolare. Dopo la cerimonia e dopo la festa, un gran buffet fra musica e mare, siamo partiti per il viaggio di nozze, verso le Canarie!
Forse non mi sono molto descritta, non ho detto molto come sono. Forse perché preferisco che lo faccia chi mi conosce bene. Io mi limito a conoscermi e ad accogliere le opinioni degli altri, senza smettere di camminare verso la scoperta completa di me stessa.
Comunque amo la musica e tutte le forme di danza, il fuoco che ci muove. Amo il modo in cui riesco a sentirla. In ogni situazione, c’è sempre una canzone giusta che mi aspetta, da sentire con lo stato d’animo che ho in quel momento. Spesso, in un momento difficile, sento musica, come una terapia scaccia-brutti pensieri. A volte mi rivedo anche le gags di una puntata di Friends! Sono fortissimi…
Amo viaggiare e conoscere tutte le culture del mondo.
Amo gli animali, tra breve comincerò il volontariato presso il canile di Forlì.
Ho un interesse viscerale per tutto ciò che riguarda la salute, soprattutto le medicine alternative, come l’omeopatia; la Metamedicina di Claudia Rainville; l I-Ching…
Sono testarda, ma a volte riesco a convertirla in tenacia! Spesso vorrei fare troppe cose tutte insieme … ma poi arrivo sempre a sgridarmi dicendomi: “Anna, sciuscià e sciurbì nu se peu!” (soffiare e aspirare insieme non si può).
Mi piace scrivere poesie o brevi pensieri. Mi piace l’arte in generale. Mi diletto a fare fotografie, piccoli attimi bidimensionali che mettono in comunicazione il tuo ricordo con quell’immagine.
Amo conoscere … per il semplice piacere di conoscere.
E questa è la mia vita finora, la mia strada blu che sto percorrendo.
Dove mi porterà? Cosa mi farà scoprire? Ora non lo so. Lo scoprirò solo vivendo.
Anna