…. realtà complessa ….
La sordità e il mondo specifico delle persone con sordità, ed in particolare le sordità presenti fin dalla primissima infanzia, sono un fenomeno estremamente variegato e complesso, differente a seconda della lettura che se ne vuole fare, del punto di vista dell’osservatore e delle sue dirette o indirette esperienze e conoscenze. La letteratura sulla sordità e sul mondo di chi vive con una sordità spazia infatti dallo specifico al personale. Se ne occupano in tanti e a vario titolo:
chi ha interessi puramente scientifici di studio e di ricerca e/o di applicazione clinica
chi si occupa direttamente, come operatore professionale, di persone con sordità
chi produce gli aiuti necessari per il loro benessere
le persone con sordità che portano la loro esperienza personale
le singole famiglie di bambini e giovani con sordità
le associazioni delle famiglie
le associazioni dei sordi adulti, degli adulti sordi, dei Sordi
i mass media
Ciascuno utilizza un proprio specifico linguaggio, caratterizzato anche dalla terminologia che fa riferimento al diverso modo di concepire le persone che presentano una sordità. Terminologia che varia da contesto a contesto e nel corso del tempo. Solitamente, la tendenza é quella di percepire le persone con sordità come un unico grande blocco all’interno del quale scompaiono le differenze e si annullano le singolarità. Il fenomeno, conosciuto in psicologia sociale come “percezione dell’omogeneità del gruppo estraneo”, é esemplificato nel linguaggio quotidiano dall’uso di svariati termini:
sordi, Sordi, sordomuti, sordastri, audiolesi, ipoacusici, minorati auditivi, minorati sensoriali dell’udito, ipoudenti, deboli di udito, maludenti,
non udenti, anacusici, cofotici
ed anche sordi protesizzati e/o impiantati,
sordi parlanti,
sordi segnanti, sordi bilingui, e persino “ ex sordi”.
La Legge 95/2006 ha sostituito il termine "sordomuto" con il termine "sordo". L’art. 2 recita:
«Agli effetti della presente legge si considera sordo il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio».
Nei confronti delle "persone con sordità" vi è un dibattito molto acceso fra chi si occupa di questo variegato e frammentato mondo, soprattutto per ciò che concerne le definizione dei loro bisogni da cui discendono le modalità di intervento. Le tante "persone con sordità" presenti nel nostro paese sono in verità poco conosciute nella loro individualità e specifica diversità. Solitamente si parla di loro come di una precisa categoria di persone disabili.
E’ invece particolarmente importante conoscere da vicino le singole esperienze sia per entrare in una relazione attenta e consapevole con chiunque faccia parte della nostra comunità sia per attuare il necessario cambiamento culturale, superando pregiudizi e stereotipi.
Le persone con sordità, seppure presentino inequivocabilmente un deficit uditivo accertato, sono persone assolutamente uniche, originali e differenti nel loro modo di essere e sentire il mondo. Ogni essere umano è un "sistema complesso". La diagnosi di sordità non genera necessariamente gli stessi comportamenti. Bisogna imparare ad andare al di là dell’apparenza, al di là di un orecchio che non funziona secondo i parametri standard, per approfondire l’incontro nell’ascolto autentico dell’altro, con umiltà. Ciascuno, se vuole, può mutare la propria visione della vita e degli altri, consapevol-mente.
E’ vero, la nostra mente crea normalmente "categorie". E’ un modo per semplificarci la vita. Il mondo è talmente ricco di stimoli che se dovessimo soffermarci su ciascuno di essi singolarmente, impazziremmo. E questo processo di categorizzazione non riguarda solo eventi fisici ma si estende anche a stimoli sociali. Noi infatti tendiamo a raggruppare le persone in categorie, sulla base di fattori salienti come l’aspetto fisico, l’età, la provenienza geografica, la cultura, i comportamenti religiosi ed altro ancora. Così facendo definiamo però stereotipi che riescono a resistere anche di fronte ad evidenti comportamenti contrari rispetto alle nostre "inferenze": finiamo cioè con l’attribuire le cause di un comportamento di una persona al fatto che fa parte di quella specifica categoria e sviluppiamo atteggiamenti di pregiudizio e discriminazione.
Per questo credo necessaria un’educazione costante al pensare "divergente" per uscire dalle "cornici" di cui siamo parte. A questo proposito vedi: Arte di ascoltare e mondi possibili, di Marianella Sclavi, qui.