Progetto KIMU
< Kimu … poteva sentire perché ogni cosa che vive e si muove produce un trillo, un’oscillazione leggera, un soffio che l’intuito e il corpo possono percepire. “Allora non è vero che sei sordo!”
gli dissi tutto d’un fiato. “No, ma chi ci sente con le orecchie mi chiama così”. >
(“La bambina strisce e punti” di E. Nava, Ed. Salani 1996)
Finalità del progetto
Coinvolgere i “contesti sociali”, in particolare la Scuola, su temi cruciali riguardanti la sordità, aprendo una riflessione congiunta sulle caratteristiche e le dinamiche dei processi comunicativi che si realizzano quando un partner della comunicazione non è normo-udente. In tal modo si impara a valorizzare la difficoltà come elemento essenziale per il processo creativo, a comprendere la propria e l’altrui diversità, a sviluppare un atteggiamento di apertura e disponibilità nei confronti degli altri, a comprendere quanto l’ambiente fisico e sociale può essere barriera o, al contrario, facilitatore (vedi qui nuovo modello bio-psico-sociale OMS – ICF) ed anche scoprire la diversità come vantaggio e occasione di arricchimento.
Il progetto, a cura della dott.ssa Rèpaci, è stato realizzato a Milano presso l’ "Istituto Comprensivo Arbe Zara" con la collaborazione degli insegnanti delle classi quarte e quinte della
Scuola Elementare Fabbri, nell’anno scolastico 2005 – 2006, e con la partecipazione di Emanuela Nava, Martina Gerosa ed Emiliano Mereghetti.
La premessa
La sordità, invisibile agli occhi, si manifesta in uno degli ambiti più importanti per la vita delle persone, quello della comunicazione, della partecipazione sociale, e proprio per questo dovrebbe coinvolgere ed impegnare tutta la “comunità”.
Lo stile comunicativo della persona con sordità non è quello della persona normo-udente: ipoacusici / sordi / Sordi e normo-udenti devono poter stabilire un rapporto di reciproco adattamento o la comunicazione risulterà inefficace e frustrante sia per gli uni che per gli altri.
Nei primi anni dell’infanzia, un bambino con sordità non è ancora consapevole di essere portatore di una “diversità” anche comunicativa; sono gli adulti intorno a lui (familiari e non) che si adattano alle sue modalità ed utilizzano strategie di comunicazione di supporto.
Dal momento in cui viene diagnosticata la sordità (in genere, se grave – profonda, entro il secondo anno di vita), bambino e famiglia intraprendono un lungo percorso durante il quale imparano a stabilire le nuove forme di comunicazione ma crescendo ed incontrando gli altri, al di fuori del contesto familiare rassicurante, quando si trova da solo nella comunità dei normo-udenti (a meno che non sia presente l’assistente mediatore della comunicazione), il bambino prende progressivamente coscienza di sé, della sua diversità e di quanto “il mondo” sia impreparato a comunicare con lui in maniera efficace.
Diversamente, se il bambino è consapevole della sua condizione, informa gli altri sulla necessità di stabilire nuove regole comunicative.
Dunque, da un lato il bambino dovrà imparare a conoscere la propria diversità ed esprimerla, dall’altro dobbiamo anche noi tutti imparare a stare nella comunicazione con lui con modalità “nuove”, differenti da quelle abituali.
Successivamente alla prima fase di crescita avvenuta in prevalenza nella cerchia della comunità familiare (seppure già allargata coinvolgendo ad es. gli educatori del nido), l’intervento con il bambino e la famiglia ha bisogno di essere condiviso e partecipato a livello sociale, nei vari contesti di vita, a cominciare dalla Scuola materna.
In un processo di mutuo apprendimento si può imparare infine a riconoscere, rispettare e affrontare le diversità che sono di tutti, gestendole insieme in modo creativo.
E’ per questo, pensando al bambino di oggi come all’adulto di domani, un adulto autonomo e integrato, che riteniamo fondamentale anche il lavoro di sensibilizzazione dei contesti educativi e formativi dove i bambini crescono imparando l’arte della convivenza.