Per,
preposizione semplice che ci invita all’incontro
contiene anche l’idea del dono
parla a favore di qualcosa o di qualcuno
suggerisce il profumo della passione, il volo leggero dell’utopia.
Per,
preposizione che ha le sembianze della congiunzione
perché predispone all’incontro a partire da punti dello spazio anche molto lontani.
Per,
come se si trattasse di portare, ma di portarci l’un l’altro come capita a un Cristoforo
che abbandona le armi per diventare “viaggiatore leggero”,
traghettatore di passanti da una sponda all’altra del fiume.
Per,
dignità di una parola di una sola sillaba, solo apparentemente priva di valore semantico,
che ci invita a immaginare l’altro,
perché “ciascuno cresce solo se sognato”.
“Meno si comprende, meno si è in grado di risolvere i problemi e le difficoltà che incontriamo. Per lo più la nostra inabilità a comprendere ci porta a vedere solo quanto ci tocca più da vicino o, quando ricerchiamo, a distinguere solo alcuni particolari. Non profondamente coscienti della necessità di conoscere, non sperimentati, non allenati, ci si stanca presto, ci si disperde, non si sa scomporre analiticamente e poi riconnettere le complesse simultaneità di ogni organismo vivo. È necessario per ciascuno acuire la propria attenzione alla scoperta, apprendere a rilevare sistematicamente, attarverso analisi e autoanalisi, i dati essenziali delle situazioni e dei problemi in cui esiste; apprendere come si possa riuscire a vincere ignoranze, complessi, superstizioni di ogni tipo: sapendo come le supestizioni, surrogati della verità, man mano che si diffondono vengono come ufficializzate e nobilitate dalle stesse loro dimensioni. Quanto più si hanno esatti i dati del problema da risolvere e completo il quadro delle difficoltà, tanto meglio è possibile avvicinarsi alla soluzione; quanto meno sono sufficienti o precisi i dati di cui si dispone, tanto più si tentano avventate soluzioni producendo disfunzioni”
(cit. “Cosa è Pace, Danilo Dolci)
Centro per lo sviluppo creativo Danilo Dolci
Note sul tema della “comunicazione” in Danilo Dolci e in Paulo Freire
“… Credo esista in ogni essere umano, non solo in scrittori e romanzieri, il bisogno di raccontare una storia, di immaginare l’altro, di mettersi nei panni di qualcun altro, in fondo non è solo un’esperienza etica, un grande atto d’umiltà … in fin dei conti è anche un immenso piacere … sto invece propugnando la necessità di immaginarsi a vicenda. A ogni livello, anche il più banale e quotidiano: immaginarsi. Immaginarci quando bisticciamo, quando ci lamentiamo, immaginarci nel preciso momento in cui sentiamo di aver ragione al cento per cento. Anche quando si ha ragione al cento per cento, e l’altro ha torto al cento per cento, anche in quel momento è utile immaginare l’altro… Nessun uomo è un’isola e nessuna donna è un’isola, siamo invece tutte penisole, per metà attaccate alla terraferma e per metà di fronte all’oceano. Credo che ci si debba lasciare il diritto di restare penisole. Ogni sistema sociale e politico che trasforma noi in un’isola darwiniana e il resto del mondo in un nemico o un rivale, è un mostro. Ma al tempo stesso ogni sistema sociale, politico e ideologico, che ambisce a fare di noi null’altro che una molecola di terraferma, non è meno aberrante. La condizione di penisola è quella congeniale al genere umano. E’ quello che siamo e che meritiamo di restare. Così, in un certo senso, in ogni casa, famiglia, in ogni relazione umana, stabiliamo un contatto con un certo numero di penisole, e faremmo meglio a rammentare tutto questo, prima di tentare di foggiare l’altro, di farlo voltare e pretendere che imbocchi la nostra strada quando invece ha bisogno di trovarsi di fronte all’oceano, per un certo tempo … Il senso dell’umorismo, l’immaginare l’altro, il riconoscere la nostra comune natuira di penisole possono rappresentare una parziale difesa dal gene fanatico che tutti abbiamo insito in noi.”
Amos Oz, Contro il fanatismo, Feltrinelli 2004