Arcipelago Sordità
A.Fa.B.I. 1974 – 2004
per celebrare il trentennale dell’Associazione nella ricorrenza dell’anno internazionale della Famiglia, e ridefinire e raccordare indicazioni e istanze del mondo sociale
nella prospettiva di futuri interventi coordinati
ATTI del CONVEGNO
a cura di Enrica Rèpaci
Centocinquanta persone si sono riunite a Varese, nella sala convegni di Villa Recalcati, messa a disposizione dalla Provincia, per partecipare, confrontarsi, condividere “l’arcipelago sordità”, alla ricerca di un modo nuovo di costruire ponti, superare stereotipi e pregiudizi e soprattutto per ribadire il diritto fondamentale alla comunicazione: mettersi in rete nella welfare community per dare visibilità alle tante isole e promuovere nuovi collegamenti. Il Convegno è stato promosso e realizzato dall’Associazione delle famiglie AFaBI della provincia di Varese nel trentennale della sua costituzione, con il patrocinio della Provincia e del C.S.A. (ex Provveditorato agli Studi) e la collaborazione del Comune di Gallarate, insieme con E.N.S. – sezione di Varese e la partecipazione di importanti realtà anche della vicina Svizzera italiana, e con il prezioso supporto organizzativo fornito dall’Ufficio Disabilità del settore Politiche Sociali, Area attività alla persona. Politici, dirigenti e responsabili dei settori politiche sociali e del lavoro, educatori, insegnanti, dirigenti scolastici, assistenti sociali, assistenti alla comunicazione, operatori tecnici della comunicazione, formatori, psicologi, psicoterapeuti, logopedisti, audioprotesisti, neuropsichiatri infantili oltre a familiari e adulti con sordità, si sono ritrovati tutti insieme, in un clima di ascolto e partecipazione solidale, dove anche le persone con sordità hanno potuto esprimersi e seguire i lavori grazie al servizio di stenotipia e, per i "segnanti", dell’interpretariato LIS (Lingua dei Segni Italiana).
Famiglie, giovani e adulti, insieme con gli operatori del sociale e dell’area socio sanitaria, a testimoniare le proprie esperienze di vita, incontrarsi, conoscersi. Durante i lavori del convegno e nella pausa dedicata al buffet, persone con sordità "segnanti" e "non segnanti", con protesi acustiche e/o senza, hanno potuto confrontarsi serenamente e comprendersi pur nelle loro diverse modalità comunicative.
Interventi in apertura
PROVINCIA di Varese, Assessore Rienzo Azzi alle Politiche Sociali
PROVINCIA di Varese, Assessore Andrea Pellicini
al Lavoro e Formazione Professionale
Interviene il consigliere provinciale Callegari
COMUNE di Gallarate, Assessore G. Roberto Bongini
CSA Varese, Provveditore agli Studi Antonio Lupacchino
AFaBI, Presidente Renzo Forza
ENS Varese, Presidente Elsa Tuia
ENS Milano, Presidente Virginio Castelnuovo
Relatori intervenuti in ordine di intervento
Enrica Rèpaci, psicologa e consulente AFaBI, coordinatrice dei lavori della giornata
Anna Cinelli, dirigente del CESP e responsabile dell’Osservatorio Politiche Sociali, in sostituzione del dr. Angelo GORLA, dirigente Settore Politiche Sociali Provincia Varese
Gianni BANFI, responsabile del Servizio Collocamento Mirato Disabili Provincia Varese
Martina GEROSA, architetto urbanista, Milano, testimonianza
Giorgio SARCLETTI, Consiglio Direttivo AFaBI
Carla Maria OSSOLA, psicologa, Varese
Gemma TAGLIABUE, assistente sociale Cassano M., Ufficio Piano di Zona Distretto Gallarate
Susanna LANCINI, responsabile del Centro per persone audiolese, Lugano
Arianna CACCARO, Direttrice ISISS Padova, Presidente Casa di Riposo Opera Pia Raggio di Sole
Break – pausa pranzo
Testimonianze di Chiara Giroldi, Alberto Sassi, Alberto La Bella
Federica Pea, psicologa, Torino, testimonianza
Daniela ROSSI, psicologa e scrittrice
Luigi MATTIATO, consulente ENS Milano
Marisa BONOMI, psicologa psicoterapeuta, Associazione ONLUS Monsignor MARCOLI– BS
Mauro SPADAVECCHIA, Insegnante Specializzato e logopedista, Milano
Daniela ZANIBONI, logopedista e formatrice di assistenti alla comunicazione, Milano
Lucio VINETTI, presidente FIACES, Direttore Scuola Audiofonetica Mompiano Brescia
Francesco DI TULLIO, preside degli istituti ISISS di Roma, Padova e Torino
Altri contributi – Marco Luè e Nicola Ruggiero. Dibattito e chiusura dei lavori.
Non hanno potuto partecipare al Convegno per motivi familiari i relatori:
Vito PIAZZA, dirigente superiore MIUR / GLIP Varese
Mirella ZANOBINI, Prof. Ass. Psicologia dello sviluppo e disabilità, Facoltà di Scienze della Formazione – Università Genova
Il Provveditore agli Studi ha inviato all’AFaBI i saluti e note di augurio per la riuscita del Convegno.
Ha coordinato i lavori della giornata la dott.ssa Enrica Rèpaci (AFaBI) e nel pomeriggio è intervenuto anche Luigi Mattiato (ENS)
Apertura dei lavori:
Renzo Forza, presidente dell’associazione ha aperto i lavori del Convegno invitando al tavolo i politici presenti e i presidenti di ENS, Varese e Milano: per la prima volta a Varese uno scenario possibile di messa in rete di realtà sociali differenti eppure collegate dallo stesso denominatore comune: la sordità e l’abbattimento delle barriere comunicative.
Il consigliere provinciale Callegari sottolinea la grande attenzione della Provincia di Varese nei riguardi delle persone con disabilità ed in particolare quelle sensoriali.
< … dò il benvenuto e porto i saluti per conto della Provincia in particolare dell’assessore alle politiche sociali dottor Rienzo Azzi e dell’assessore al lavoro e alla formazione professionale Andrea Pellicini. Il mio compito quest’oggi è quello di cercare di farvi capire inizialmente, ma brevissimamente, che la Provincia è attenta ai problemi delle disabilità e in modo particolare alle disabilità sensoriali, infatti la provincia interviene a favore dei disabili sensoriali operando in modo particolare principalmente su due aree di interventi: le politiche sociali e le politiche per il lavoro e la formazione che, come avrete già intuito avendo io portato i saluti dei due assessori, sono gestiti da due assessorati specifici, quello ai servizi sociali, alla persona e al lavoro e alla formazione professionale. La provincia ha in questo suo agire in questo settore, posto in essere un positivo rapporto di collaborazione con i Comuni e con l’Azienda Sanitaria Locale per una gestione che oserei dire concordata e concertata degli interventi. In che modo? stipulando intese con questi Enti, quindi l’ASL e i Comuni, avvalendosi di un gruppo di lavoro, un gruppo tecnico, perché siamo convinti che il bene vada fatto bene, per cui non possiamo andare avanti da soli in questa direzione e questo gruppo di lavoro è comunque formato dai rappresentanti degli enti coinvolti e viene privilegiata una metodologia che metta in primo piano l’azione per un progetto che è d’inserimento sociale del soggetto considerato. Per cui è importante questa cosa che ho appena detto perché la filosofia sottintesa a questa modalità operativa è che gli interventi socio – assistenziali, di qualunque natura essi siano, rivolti a soggetti con questo handicap sensoriale, concorrano alla realizzazione delle autonomie del soggetto e dell’integrazione sociale, assumano pertanto quindi una validità se sono inquadrati nell’ambito di un progetto educativo e riabilitativo globale e individualizzato. Se vogliamo dare anche qualche numero la provincia di Varese sta intervenendo, quindi nel 2003 /2004, su circa 40 soggetti e mi piace anche ricordare l’accordo di programma per l’integrazione scolastica e sociale degli alunni disabili tra l’Ufficio Scolastico Provinciale, l’Azienda Ospedaliera di Gallarate, Busto Arsizio, Varese, organi territoriali dell’amministrazione scolastica, per intenderci gli ex distretti scolastici. Questo che ho appena detto riguardava in modo particolare il servizio settore sociale, per quanto riguarda invece gli interventi per favorire l’inserimento lavorativo delle persone disabili, appunto la Provincia di Varese ha creato una apposita struttura che è il Collocamento Mirato dei Disabili che fa capo all’assessorato del Lavoro. Questa è di fatto una evoluzione del vecchio collocamento obbligatorio di cui voi tutti avete sentito parlare e conoscete. Ho detto "evoluzione" non a caso perché la Provincia oggi è in grado di proporre alle persone con questa disabilità e alle aziende non solo quelle attività legate agli adempimenti amministrativi, ma riesce anche a fornire dei servizi innovativi, di informazione, di consulenza, di orientamento, di incontro domanda e offerta di lavoro. Infatti abbiamo in questi anni sviluppato specifici servizi e strumenti che mirano a valorizzare le capacità dei soggetti disabili valutando con attenzione nel contempo sia le esigenze dell’individuo che abbiamo di fronte che le esigenze dei datori di lavoro. Fondamentale è anche in questo senso l’apporto che è fornito dall’agenzia, dagli interventi formativi che sono gestiti dall’agenzia formativa che è il centro di formazione professionale inserimento lavorativo. Io non vado oltre a specificare quelli che sono gli interventi della Provincia perché, anche qui a sostegno del fatto che la Provincia ci tiene a questi interventi, dopo di me parleranno delle persone più competenti della Provincia di Varese, la dottoressa Anna Cinelli dell’assessorato alle politiche sociali e il dottor Banfi, facente parte dell’assessorato alle politiche del Lavoro che è il responsabile del Collocamento Mirato dei Disabili, sarà loro cura entrare più nello specifico. Per cui io concludo augurando a tutti voi di concludere oggi una giornata in modo che si possano trarre delle considerazioni utili anche alla politica, utili anche al buon governo di queste cose. E così, mi piace anche dire che una cosa dovremmo imparare, che è questa: imparare a guardarci in faccia se non altro nel dire le cose e nell’affrontare questi problemi nel modo più serio possibile. Quando noi parliamo con queste persone che hanno queste disabilità sensoriali dobbiamo aver la cura di guardare in faccia e guardare negli occhi perché questo sia davvero lo stile di vita che tutti noi dovremmo avere non solo quando parliamo con queste persone ma con tutti, che poi è il metodo che la Provincia di Varese intende perseguire nell’affrontare in modo più serio possibile le questioni legate alla disabilità sensoriale. >
Assessore Bongini, ai Servizi Sociali del Comune di Gallarate < … vi porto i saluti del Sindaco di Gallarate Nicola Mucci e nel salutare tutti gli intervenuti a questo interessante convegno, voglio ringraziare l’AFaBI che mi ha invitato a prendervi parte. Con l’AFaBI ho già avuto a che fare in passato, sempre prestando il suo impegno e colgo l’occasione per assicurare alle iniziative dell’associazione l’appoggio nelle forme possibili, di volta in volta, dell’amministrazione comunale di Gallarate. Personalmente sento in modo particolare le problematiche legate alla sordità: i miei genitori sono sordi da quando erano piccolissimi, dall’età di tre anni. Ho vissuto dunque in prima persona l’esperienza di vita con persone affette da questa disabilità, so che cosa significa avere a che fare con un mondo particolare, complesso e soprattutto so cosa significa vivere con persone che a loro volta vivono in un mondo loro, spesso popolato dal sospetto, quando per forza di cose non capiscono che cosa gli altri stanno dicendo. Ho sperimentato fin da bambino quanto fosse difficile allora l’integrazione di persone affette di sordità nel mondo quotidiano e nel mondo del lavoro e fin da bambino ho sperimentato la validità e l’impegno delle associazioni che si prestavano a supporto di chi avesse tali problematiche. Ho conosciuto in prima battuta l’ENS. Io mi ricordo che andavo a Milano da bambino con il mio papà, e da qualche anno ho avuto la possibilità di avvicinarmi ad altre realtà associative perché prima per me esisteva solo l’ENS, non sapevo niente di altre associazioni, quindi ho conosciuto altre realtà associative che si occupano con le persone di questa disabilità e delle altre famiglie. Credo che ci sia tanta strada da fare per parlare dell’integrazione delle persone disabili nella loro generalità, nel mondo attuale, anche perché esistono ancora pregiudizi e false condizioni che nulla di concreto si possa operare. La mia esperienza sia istituzionale che personale mi porta a combattere con forza queste prese di posizioni aprioristiche. Proprio in questi giorni ha fatto tappa a Gallarate lo sportello mobile disabili della regione lombardia, grande è stata la partecipazione dei cittadini all’iniziativa che voleva fare conoscere da vicino quanto concretamente può essere fatto per i portatori di handicap. E quanto viene offerto anche concretamente dal Comune di Gallarate che ha attivato all’ufficio relazioni con il pubblico uno sportello disabili e da un paio di mesi ospita anche l’anglat per fornire indicazioni sulle patenti speciali per disabili. A ciò si unisce poi tutto un lavoro con i centri che opistano ragazzi disabili, CSE, IRIS, tesi al coilvongimento dei portatori di handicap, nel tessuto sociale cosiddetto normale, e forte è il contatto con le associazioni e i gruppi di volontariato sociale che si occupano dei problemi dei disabili. Infine, permettetemi un ringraziamento, solitamente negli interventi ufficiali dei convegni si ringrazia sempre e soprattutto a ringraziare è chi riceve qualcosa, dunque oggi voglio ringraziare l’AFaBI per la possibilità che mi ha dato di aiutare chi si impegna in questa associazione e per le possibilità che vorrà darmi ancora in futuro. >
Calorosi i saluti della presidente Ens di Varese, Elsa Tuia, emozionata per l’avvenimento e di Virginio Castelnuovo, presidente Ens di Milano: entrambi soddisfatti di trovarsi con i familiari dell’AFaBI per intraprendere insieme il cammino verso il superamento delle barriere della comunicazione.
Elsa Tuia, Presidente ENS Varese < … Io parlerò senza voce e voi cercherete di capirmi così imparerete il significato delle persone sorde come comunicano. Io sono Tuia Elsa presidente dell’Ente dei Sordi di Varese. L’Ente è l’unica associazione nazionale dei sordi che è riconosciuta legalmente dallo stato, ha la sede principale a Roma. L’Ente è senza scopi di lucro per il perseguimento delle finalità, solidarietà sociale e integrazione e di aggregazione dei sordi. L’Ente in particolare cosa fa? adempie ai compiti previsti dalle leggi dello Stato e delle Regioni, promuove la crescita, la piena autonomia dell’integrazione scolastica, professionale nel lavoro e sociale delle persone sorde, valorizza la cultura dei sordi, la lingua dei segni e il bilinguismo, svolge e promuove le attività culturali ricreative, sportive e del tempo libero. L’ente, inoltre, ha l’obiettivo di tutelare e difendere i diritti delle categorie, ha il compito anche di dare l’assistenza ai soci che sono circa 300 nella provincia di Varese, per le pratiche pensionistiche delle persone sorde e previdenziali, l’avviamento al lavoro. La sede sociale è un luogo d’incontro e di svago per i sordi che sono isolati nel mondo che lo circonda. Oggi sono qui perché mi ha invitato l’associazione AFaBI per collaborare e affrontare insieme i problemi delle persone sorde. Mi auguro che questo incontro sia proficuo nel futuro per il bene di tutti quelli che hanno la sfortuna di non sentire e le difficoltà di comunicare. Ringrazio tutti i presenti di avermi ascoltata e saluto molto calorosamente. >
Virginio Castelnuovo, Presidente ENS Milano < … prima di tutto grazie a questa organizzazione, questo convegno è molto importante per quanto riguarda la vita quotidiana sociale. Il consiglio provinciale di Milano saluta, augurando buon lavoro a questo convegno, l’ente porta un saluto caloroso e buon lavoro. Questo convegno, soprattutto l’associazione AFaBI, ha capito di aprire l’incontro con l’ENS, unico rappresentante nazionale dei sordomuti, collabora con tutte le associazioni per quanto riguarda i problemi da piccoli, grandi, fino agli anziani. L’Ente è preoccupato per quanto riguarda la sordità: la sordità esiste sempre, rimane sempre la sordità, noi dobbiamo imparare a conoscere la vita dei sordi continuando sempre la valutazione delle persone, grazie soprattutto alle famiglie e gli educatori preparati di seguire i figli, altre famiglie non seguono le persone sorde e questo è negativo. L’ Ens si impegna sempre a seguire i problemi nella scuola, nel lavoro, nella vita. Ringrazio l’associazione per avermi invitato, per tutti i sordi, Milano, Lombardia e tutta Italia. grazie, buon lavoro. >
La dott.ssa Repaci, psicologa, che ha coordinato i lavori della giornata, nel suo contributo introduttivo ha sottolineato l’importanza delle ricadute della sordità sulla comunicazione nell’ambito familiare, sulla necessità di mettere al centro degli interventi bambino e famiglia insieme, sull’opportunità di una osservazione globale del bambino, soprattutto sulle sue risorse e punti di forza per l’attuazione di un progetto educativo personalizzato oltre che sulle varie diversità presenti nel mondo delle persone con sordità e, alla luce delle ricerche di neuroscienze, sulle potenzialità del bambino con sordità di crescere e svilupparsi come comunicatore competente, adulto autonomo e integrato.
< … credo che ci conosciamo quasi tutti qui dentro, sapete chi sono, da ormai 25 anni impegnata con le persone sorde, con le famiglie e a favore delle persone sorde. Non è solo il trentesimo anniversario della costituzione di questa associazione famiglie in provincia di Varese, è anche la celebrazione dell’anno internazionale della famiglia istituito dall’O.N.U. con l’obiettivo di riconoscere la famiglia come soggetto sociale che va sostenuto nello svolgimento delle funzioni che le sono proprie per prevenire situazioni di disagio e assicurare concrete condizioni di benessere, ma non solo nei momenti di crisi e di bisogno, riconosciuta nella sua globalità, sia in forma singola che associata, nel contesto della rete di relazioni sociali. La famiglia al centro, il bambino al centro, ma il bambino senza famiglia non può essere concepito. Quindi ritengo un’occasione importante questa non solo per le famiglie dell’afabi, ma per tutti quelli che hanno famiglia, e tutti hanno famiglia, di riflettere su questo discorso. I ringrnziamenti sono già stati fatti, ma anch’io ringrazio tutti. E’ un po’ una novità, è un’apertura nuova che stiamo cercando di realizzare e ci auguriamo che si possa veramente attuare con una serie di iniziative concordate. Chiara, che è una studentessa di grafica pubblicitaria, ed Alberto che si è neolaureato in architettura all’università di Mendrisio, in Ticino, che vogliamo ringraziare, hanno realizzato i due cartelli che avete visto all’ingresso, hanno voluto rappresentare in maniera significativa come si sente la famiglia ancora oggi di fronte a quello che abbiamo chiamato "arcipelago sordità". Nel secondo disegno invece hanno voluto rappresentare quel progetto che fin da oggi noi attuiamo affinché lo smarrimento iniziale di fronte a situazioni impreviste possa essere quanto meno attenuato e la famiglia possa trovare, ricevere, le rotte di vari percorsi possibili e scoprire che tutte queste isole sono in collegamento. Questo convegno, quindi, mettersi in rete, vuole essere solo l’inizio di un nuovo dialogo esteso ai sordi adulti. Noi ci auguriamo possa continuare perché solo attraverso il dialogo e il rispetto delle diversità, il confronto e la condivisione sarà possibile abbattere i muri dei pregiudizi e degli stereotipi e costruire i ponti necessari per una comunicazione viva, perché comunicare è vivere e vivere è comunicare. Mi dicono di rallentare perché l’operatore tecnico della comunicazione non riesce a seguire un eloquio con questa rapidità, purtroppo nei convegni succede sempre così: pensiamo che tutto debba andare entro certi limiti, ma poi ci accorgiamo che i tempi non bastano mai quindi mi autocorreggo e invito i relatori successivi a usare una velocità di elocuzione un po’ lenta. Il desiderio di partecipare pienamente alla vita è di tutti e tanti sono i mezzi possibili per esprimersi e partecipare, nessuno può essere escluso da questo diritto fondamentale e noi ci impegniamo a lavorare perché questo accada. Oggi ci confrontiamo non solo con gli esperti dell’area sociale, ma anche con i testimoni di un sapere che viene dall’esperienza, adulti con sordità, famiglie. Sapete, il logo dell’associazione internazionale famiglia è un tondo dove dentro c’è un tetto e un cuore rosso su campo verde, perché la famiglia è, dovrebbe essere, perché non sempre lo è, il nido d’amore, la culla degli affetti, il porto sicuro da cui partire e prendere il volo una volta raggiunta la propria autonomia ma anche per ritrovarla ogni volta che se ne ha bisogno. E noi sappiamo oggi che tanti giovani sono volati dal nido, hanno raggiunto l’autonomia, qualcuno e’ anche volato molto lontano, mi riferisco a mio figlio che sta a diecimila chilometri di distanza, nonostante una prognosi infausta stilata 27 anni fa ormai da un medico otorino. La famiglia: la famiglia al palo, di fronte alle indicazioni, le più svariate, è disorientata, confusa, smarrita, impotente, ha molte domande ma soprattutto ha un grande bisogno: ha bisogno di essere accolta, di essere contenuta, di trovare in chi dovrà poi sostenerla, guidarla, aiutarla una persona di fiducia. Perché di chi è il problema quando un bambino presenta una sordità? non è un problema del bambino, lui non sa neanche di essere sordo, lui è ignaro della sua sorte, lo scoprirà col tempo, ma le ricadute invece sono subito sulla comunicazione che cambiano e influenzano le relazioni e il clima familiare. La sordità, come ha detto Castelnuovo prima, esiste sempre, la tecnologia è molto importante, si sono fatti passi da gigante, ma la sordità esiste sempre: ogni volta che si toglie una protesi, si spegne un impianto cocleare, la persona ha la sua sordità, perciò questa sordità obbliga e impegna tutti a rivedere il proprio stile di comunicazione di persone normalmente udenti. Lo stile comunicativo delle persone normoudenti è diverso da quello delle persone affette da sordità e poi vedremo nella varietà delle persone con sordità quanti stili diversi ci sono di comunicazione. Che fare una volta scoperta la sordità? non si può certo restare al palo, è tempo di mettersi in viaggio, un viaggio che certo non era stato pensato, programmato, ma che diventa necessario, restare immobili non produce cambiamenti e qui qualcosa di nuovo e di grande è successo: il bambino chiede di essere riconosciuto, conosciuto nuovamente, perché non è più quel bambino nato normodotato che i genitori pensavano, è un nuovo bambino che deve essere oggi riconosciuto nel suo modo di funzionare. Non è più un bambino come tanti, è un bambino sordo, io preferisco, e con me altri, dire che è un bambino che ha una grave sordità perché dire che è un bambino sordo, pensando a un neonato di 3 – 6 – 8 mesi, può essere fuorviante, questa etichetta potrebbe da subito ingabbiarlo quasi senza speranza su un’isola un po’ speciale, è opinione diffusa tra la gente che sordo automaticamente significhi muto, sordomuto, poveretto. Non è così. Ma la preoccupazione della famiglia è quella che se il bambino non sente non potrà parlare e questo è un altro pregiudizio che andrà assolutamente abbattuto perché i tanti sordi, anche totali, che hanno raggiunto non solo la capacità di esprimersi, ma di esprimersi in una lingua italiana corretta, non giustificano queste affermazioni, sono parte di una cultura del passato. Ma la famiglia corre alla ricerca delle migliori soluzioni per l’udito, la famiglia si mette in viaggio e si fanno anche viaggi molto lunghi, viaggi della speranza, viaggi alla ricerca di un miracolo, il genitore è molto addolorato, non sopporta che suo figlio sia sordo, lo vorrebbe udente. Ci vuole un tempo per elaborare questo dolore, questo lutto, e scoprire che un bambino anche sordo è un bellissimo bambino, con risorse, potenzialità, capacità di esprimersi, ma lui si muoverà in base a come noi lo guarderemo. Come lo guardiamo questo bambino? come un essere pieno di linguaggio e di comunicazione, o come un poveretto a cui, mancando un senso o avendo una diminuzione di senso, è poveretto e handicappato? la sordità non è un problema di udito deficitario o solo un problema di udito deficitario in genere dovuto a coclee disfunzionanti o a disfunzioni del nervo, se ci occupiamo solo del suo udito ci dimentichiamo del bambino e lo facciamo diventare un sordo. Bambino e famiglia sono un binomio inscindibile, chi si occupa del bambino non può contestualmente non occuparsi con la famiglia, della famiglia per quel bambino con quel bambino. Le famiglie, ho detto, sono diverse e di fronte a eventi imprevisti di una certa gravità, le reazioni, i tempi per elaborare strategie di risoluzione sono molto differenziati, non c’è un percorso lineare per cui c’è lo shock, l’atteggiamento distruttivo, ci sono una serie di emozioni e sensazioni che si alternano. Certo, oggi c’è una cultura medica specialista dominante che non aiuta a comprendere e che speriamo si integri sempre più nelle ricadute che la sordità ha sulla comunicazione. Qualche volta la sensibilità personale, l’intuizione, l’istinto sono elementi che possono condurre a un porto sicuro quando non abbiamo la rotta di navigazione e dobbiamo andare alla ricerca, qualche volta è anche la fortuna: mettendosi in viaggio si può avere la fortuna di incontrare persone meravigliose, o il coraggio di osare intraprendendo strade nuove. Anche i bambini sono molto diversi uno dall’altro e risentono del clima affettivo che li circonda, quindi i contesti di vita sono diversi, i tempi di ascolto, di attenzione all’altro, del come si condividono le esperienze, i valori che ciascuno ha e che ritiene prioritari nella vita sono diversi. E allora, se siamo così diversi, così unici e anche così uguali nella nostra umanità, pensando a un bambino con una difficoltà sensoriale, immaginiamo per lui un progetto il più possibile personalizzato e fatto a misura per lui e per la sua famiglia e allora questo bambino dovrà essere osservato nella sua globabilità di funzionamento, di comportamento, non solo nella parte deficitaria, ma soprattutto esplorando le sue risorse, i punti di forza, il suo modo di stare con la madre e con il padre e con gli altri. Perché bisogna capire il significato che la sordità ha, questo impatto che ha sul comportamento e sulla comunicazione non solo del bambino ma di tutto il suo contesto familiare? perché per comunicare in modo efficace e comprendersi abbiamo bisogno di stabilire un codice: se noi parliamo in arabo ad un francese non ci capiremo mai, senza un codice condiviso la comunicazione diventa impossibile, piena di fraintendimenti, alla lunga ci si scoraggia, si può cadere in depressione, si possono alzare muri e pareti di difesa. I genitori sono l’elemento forte, stabile nel tempo, i migliori alleati del bambino, ma hanno bisogno di trovare altri alleati in questo viaggio nuovo nell’ambito dei servizi che vanno a incontrare. Sappiamo, non in teoria ma nella pratica, anche dopo 30 anni di esperienza associativa, e la mia venticinquennale esperienza professionale, che in presenza di una sordità profonda si può diventare comunicatori competenti, anche in più di una lingua, in lingua italiana, in lingua dei segni e in altre lingue, oggi pomeriggio parlerà Federica per esempio, con la sua esperienza della lingua francese a Parigi. Perché la possibilità di esprimersi nella lingua italiana non comporta la ricezione uditiva delle parole dell’altro, noi stiamo in un rapporto di comunicazione, il faccia a faccia è integrato da tutto quello che riguarda una sensorialità più complessa. Bambini e giovani che utilizzano apparecchi acustici tecnologicamente avanzati e/o sono portatori di impianto cocleare beneficiano dell’esperienza uditiva a volte con risultati sorprendenti e arricchiscono il loro mondo interiore anche dell’esperienza sonora. Ricordiamo che le sordità totali sono rarissime, che con una sordità a sede cocleare la sensibilità uditiva è mantenuta, la gamma delle sensazioni acustiche è ridotta, ma noi sappiamo che con gli ausili tecnologiamente avanzati è possibile dare un grande supporto. E sarebbe interessante in un prossimo futuro fare conoscere le esperienze di tanti perché si possa avviare un processo culturale di crescita con nuovi atteggiamenti verso le persone con sordità. Vedete, quando un bambino impara a comunicare, ha piacere di stare nella comunicazione quando qualcuno si mette a disposizione con amore, quando qualcuno – e inizialmente non può che essere la madre – si mette in gioco, rivedendo il proprio comportamento comunicativo relazionale per consentirgli di orientarsi in un mondo che è fatto di tanti linguaggi differenti, di simboli, di suoni, di gesti, che diventano segni attraverso le convenzioni e non solo segni linguistici. Le neuroscienze negli ultimi anni hanno fatto passi da gigante: sappiamo dalle ultime ricerche che il cervello è predisposto all’apprendimento di linguaggio, che il cervello ha una plasticità incredibile e può risolvere molti problemi di integrazione sensoriale, che le funzioni cerebrali possono essere modificate dalla riabilitazione. Allora, nei confronti di questo bambino con sordità, atteggiamoci con rispetto e rispettando la sua naturale organizzazione psico- neuro fisiologica offrendogli le proposte più adeguate e questo è compito dei professionisti della riabilitazione. Si parla molto poco di questo, si parla quasi ancora meno di poco, si parla di più di molti altri aspetti quando si tocca il problema sordità e noi ci auguriamo che nel futuro invece si possa aprire tutto un dibattito proprio su questa questione. Io credo che solo l’ascolto autentico, e non è quello che passa attraverso l’udito, e’ quello che passa dal cuore, quello che ci consente di entrare in sintonia con l’altro sulla sua lunghezza d’onda e di comprendersi, ma c’è bisogno anche di tanta pazienza, di tanta attenzione per consentire a questo bambino di crescere con una personalità integrata: chi ha raggiunto la maturità potrà oggi testimoniarvi che è come è, la sordità è amica, fa parte della persona è chiaro che la riabilitazione dovrà fondarsi su una buona relazione con un approccio che non potrà mai essere impositivo, ma rispettoso dei desideri e della volontà del bambino. A questo punto concluderei: nella nuova welfare community c’è bisogno di molta solidarietà, c’è bisogno di pensare al bambino di oggi come l’adulto di domani e immaginare per lui scenari di vita possibile senza restrizioni e limiti posti a priori, ma dando una grande fiducia al bambino nelle sue possibilità di sviluppo. E con questo farei un invito: proviamo a metterci in viaggio fra le isole di questo arcipelago, vediamo di conoscere alcune importanti realtà che qui oggi sono rappresentate, il mondo non finisce mai, ogni giorno apriamo una finestra e scopriamo un grande mondo che ci aspetta. grazie. >
In sostituzione del dr. Gorla interviene la dott.ssa Anna Cinelli dirigente del CESP, Centro Studi Provinciali, responsabile dell’Osservatorio politiche sociali, ha ricordato il censimento di circa 2700 disabili in età scolare, di cui 125 con diagnosi di ipoacusia, esclusiva o principale dato che, verificando nel dettaglio le diagnosi di ognuno dei disabili censiti, si è verificato che molto spesso l’ipoacusia è associata ad altre disabilità e viene individuata come disabilità secondaria, ma è comunque presente. < … io vi ruberò poco tempo perché ho visto che il programma di questo convegno è molto denso e sono previste relazioni di persone veramente più competenti di me sulla problematica che state affrontando, però vorrei rubarvi qualche minuto per parlarvi di quello che è il ruolo della Provincia e in particolare dell’assessorato alle politiche sociali nell’ambito della disabilità in generale e soprattutto in riferimento al quadro nuovo che si è venuto a creare nel mondo del sistema sociale a seguito dell’introduzione in Italia e con le sue diverse applicazioni, poi, a livello regionale, della legge 328 /2000 che riforma completamente il sistema dei servizi sociali in Italia. Non vi sto a dire quello che fa in concreto l’ufficio minori e disabili della provincia di Varese perché ne ha già accennato brevemente il consigliere Callegari, volevo invece parlarvi di un’iniziativa particolare che risponde appieno a quelle che sono le funzioni attribuite alla Provincia dalla legge 328 /2000. Voi sapete che la legge 328 /2000 ridefinisce in modo univoco le titolarità degli interventi in campo sociale e attribuisce le titolarità degli interventi e dei servizi esclusivamente, salvo pochissime eccezioni, ai comuni e in particolare ai comuni associati in ambiti territoriali. Alle province, quantomeno la legge 328 nella sua accezione nazionale, poi vedremo come non in tutte le regioni questa indicazione è stata recepita in modo uguale, alle Province la legge 328 attribuisce un ruolo soprattutto di coordinamento e di supporto informativo al territorio per la programmazione degli interventi dei servizi in campo sociale. Questo ruolo, soprattutto quello di supporto informativo, non è un ruolo secondario: noi tutti sappiamo che man mano si scende di dimensione rispetto agli ambiti territoriali, man mano si trovano organizzazioni sempre meno complesse e problemi di carenze di risorse, per cui molto spesso l’aspetto di ricognizione e le indagini conoscitive su quelle che sono le caratteristiche e le portate dei fenomeni sociali, vengono spesso o trascurate o affrontate in modo un po’ emergenziale. La provincia di Varese, invece, negli ultimi anni, dotandosi anche di apposite strutture come il Centro Studi Provinciale (cesp) ha inteso dotarsi di un Osservatorio sulle politiche sociali che si è andato costruendo partendo da osservatori settoriali che mano a mano vanno a integrarsi razionalizzando il proprio modo di lavorare con l’osservatorio politiche sociali proprio con lo scopo di fornire gli strumenti conoscitivi che sono indispensabili per giungere a una programmazione e progettazione degli interventi a servizi in campo sociale necessaria per fornire gli elementi necessari a questa programmazione che non può prescindere da una conoscenza della qualità e quantità dei fenomeni che si vanno a affrontare. In questo senso e in questo contesto la Provincia ha attivato numerosi sforzi, attrezzandosi con il cesp, attivando una rete di relazioni con tutte le persone, le associazioni, gli operatori e gli enti che, a vario titolo, si occupano di politiche sociali, proprio per affrontare nel modo migliore l’implementazione di un osservatorio che consentisse di restituire poi dati quantitavamente e qualitativamente utili alla programmazione. Nell’ambito dell’osservatorio politiche sociali occupa un posto importante, soprattutto per le modalità in cui è nato ed è stato gestito, l’osservatorio sulla disabilità e in particolare l’osservatorio sulla disabilità infantile. Dicevo, un osservatorio importante per come è nato e gestito perché si è sviluppato non secondo una mera raccolta di dati e informazioni per quanto dettagliata, ma è un osservatorio che è nato su suggerimento e in collaborazione del GLIP, il gruppo di lavoro interprovinciale che era attivo presso l’ex Provveditorato agli Studi, CSA, che è costituito da una serie di associazioni, operatori, rappresentanti del mondo sociale e del mondo sanitario, quindi in grado di esprimere esigenze il più articolate possibili. Allora, con le risorse finanziarie della provincia di Varese si è provveduto a attivare un osservatorio che in prima battuta (data la complessità e la vastità del campo da affrontare) si è voluto delimitare all’ambito della disabilità infantile, anche perché era l’ambito meno conosciuto per certi versi soprattutto nella fascia di età prescolare. Questo osservatorio si propone di essere utilizzato a vari livelli, sia per quanto riguarda gli enti locali che sono chiamati a programmare i loro interventi alla luce anche di quanto previsto dalla legge 328 che prevede che tutti gli interventi in campo sociale vengano programmati dotandosi di un apposito strumento di programmazione che è il piano di zona, sia per quanto riguarda le previsioni di potenziale richiesta di servizi che possono afferire non solo al territorio e ai comuni, ma anche per esempio alla scuola, un esempio tipico è quello dell’insegnante di sostegno che si rende necessario in presenza di alunni portatori di disabilità. Qui si è delimitato il campo d’indagine alla fascia d’età 0 – 14 anni, anche se poi in corso d’opera il campo d’indagine si è esteso a tutti i ragazzi disabili scolarizzati, quindi si è arrivati ad analizzare le posizioni di ragazzi anche sui 17 – 18 anni in quanto inseriti nelle scuole superiori o con problemi di ritardo scolastico nelle scuole medie ed elementari. Quindi l’importanza di questo osservatorio, i cui risultati relativi all’attività del primo anno sono consultabili sul sito internet del cesp, all’indirizzo www.cespvarese.org alla pagina osservatori, l’attività dell’osservatorio e i suoi risultati hanno consentito di avere un censimento, riteniamo esaustivo per le modalità in cui la rilevazione è stata effettuata, del numero di disabili in età scolare diciamo presenti in provincia di Varese, esaustivo in quanto – ed è l’altro elemento che qualifica questo osservatorio – sono state attivate e hanno offerto spontaneamente la loro collaborazione numerose fonti qualificate, praticamente sono stati attivati tutti i luoghi, le istituzioni e i servizi in cui il disabile in questa fascia d’età transita per qualsiasi motivo. Per cui siamo riusciti a ottenere la collaborazione delle aziende ospedaliere che hanno messo a disposizione gli operatori delle unità di neuropsichiatria infantile, abbiamo consultato ed hanno collaborato i reparti di pediatria e di neonatologia di Varese, abbiamo attinto dagli archivi giacenti presso il CSA relativi agli alunni che frequentano la scuola statale della provincia di Varese, abbiamo avuto la collaborazione della maggior parte delle associazioni dei disabili e dei servizi in cui i disabili transitano, tipo i CSE o alcune scuole di formazione specifiche per alunni disabili. Questo ci ha consentito di arrivare a una ricognizione, riferita allo scorso anno scolastico, a fare un censimento di circa 2700 disabili in età scolare, di cui 125 con diagnosi di ipoacusia: questi 125 sono ipoacusici che hanno una diagnosi esclusiva o principale di ipoacusia, perché poi, verificando nel dettaglio le diagnosi di ognuno dei disabili censiti, si è verificato che molto spesso l’ipoacusia è associata a altre disabilità e viene individuata come disabilità secondaria, ma è comunque presente. Ora è evidente che questo censimento ha un senso se l’osservatorio continuerà nel tempo: infatti si è già provveduto – faccio un inciso: l’osservatorio prevedeva un progetto iniziale di più vasta portata di cui il censimento dei portatori di disabilità è solamente una parte, altre parti riguardano una ricognizione dell’offerta dei servizi per disabili, quindi non solo del bisogno, esistenti sul territorio, che in parte è già stata avviata. Così come è già stato avviato, per dare un senso e una continuità all’osservatorio, anche un aggiornamento del censimento che è stato effettuato con riferimento allo scorso anno scolastico e riferito all’anno scolastico in corso. Questo per dire che conoscere il fenomeno è il presupposto per poter intervenire e per poter predisporre gli strumenti più appropriati. Così com’è di fondamentale importanza, come del resto è risultato anche da tavoli sulla disabilità infantile e in generale da altri tavoli tematici che la provincia di Varese ha attivato nell’ambito dell’osservatorio politiche sociali, così com’è fondamentale che l’informazione ai disabili sia il più estesa possibile perché venga garantita a tutti l’opportunità di usufruire dei servizi e delle iniziative che il territorio offre. In questo senso rientrano anche alcune attività specifiche, seppur di minor portata, che sono la partecipazione dell’osservatorio politiche sociali alla realizzazione del portale sulla disabilità, varese integrazioni, che è stato realizzato insieme all’a.s.l., al mondo della scuola, alle principali istituzioni e enti previdenzialche si occupano di disabilità, e il tavolo sulla disabilità infantile che è stato attivato in Provincia dal quale appunto sono emerse come principali indicazioni le esigenze delle famiglie dei disabili di conoscere le opportunità che ci sono sul territorio e soprattutto di essere sostenute e orientate, diciamo, nell’accesso ai servizi perché molto spesso le famiglie si trovano sole di fronte a un problema grosso e non hanno gli strumenti conoscitivi necessari per orientarsi verso il servizio o l’opportunità in quel momento più adatta presente sul territorio. Questo è quanto. La Provincia di Varere, il settore politiche sociali che si va progressivamente ad integrare con il settore politiche attive del lavoro e formazione per una logica sottesa alle cose e per le integrazioni e i punti di contatto numerosi che ci sono con i due ambiti di attività, intende comunque proseguire sia nell’attività di osservatorio, perché lo ritiene strumento indispensabile per la programmazione di interventi mirati, sia nell’attività di comunicazione e di coinvolgimento di tutti i portatori di un problema, non singolarmente ovviamente, ma attraverso le loro rappresentanze, perché altrimenti diventerebbe una cosa ingestibile, proprio per trovare le soluzioni più idonee e i suggerimenti più idonei da riversare sul territorio perché nella programmazione dei suoi interventi possa effettuare scelte basate su una effettiva conoscenza dei fenomeni che si vanno a affrontare. >
Gianni Banfi, responsabile del Collocamento Mirato Disabili, ha presentato elementi fondamentali sulla normativa del diritto al lavoro delle persone disabili, l’organizzazione del collocamento mirato disabili della nostra provincia e i risultati di quattro anni di applicazione e le criticità.
< … quella che vi presenterò oggi è una relazione con la quale io spero di offrire un contributo informativo, anche tecnico, se vogliamo, e di speranza, soprattutto per coloro che non hanno ancora una collocazione lavorativa, un contributo informativo che riesca ad aumentare le possibilità e le probabilità di collaborazione lavorativa. In premessa i principali elementi che tratterò sono gli elementi fondamentali sulla normativa del diritto al lavoro delle persone disabili, l’organizzazione del collocamento mirato disabili della nostra provincia, i risultati di quattro anni di applicazione e le criticità, ma soprattutto stiamo in un momento in cui si stanno aprendo scenari nuovi e parecchio interessanti e spero di darvene una informazione completa. Una brevissima premessa per contestualizzare storicamente quanto vi vado a dire: per chi non lo sa fino al 1999 era in vigore una normativa, la 482 che era stata promulgata nel ’68. Questa era la normativa che prevedeva un meccanismo quasi unico dell’ingresso nel mondo del lavoro, il famoso avviamento numerico: le persone che si iscrivevano all’ufficio venivano collocate, in base ad alcuni criteri, in una posizione di graduatoria e coloro che raggiungevano le prime posizioni venivano avviate con atto amministrativo presso le imprese che erano tenute alla loro assunzione. Effetti collaterali positivi: c’era un controllo sostanzialmente chiaro e preciso degli aventi diritto, quelli che arrivavano in testa alla graduatoria. Effetti collaterali negativi: le persone venivano collocate a lavoro in ambiti professionali che potevano essere assolutamente incongruenti con le capacità piuttosto che con le professionalità. Qui i pro e i contro. Dal 2000 è in vigore la nuova normativa sul diritto al lavoro delle persone disabili, la legge 68. Questa legge ha sostanzialmente rovesciato l’impianto precedente sostituendo quasi totalmente (lo vedremo poi nel seguito della relazione) all’avviamento numerico l’avviamento mirato. Questo è stato veramente l’elemento innovativo introducendo tutta una serie di modalità per gestire l’avviamento mirato assolutamente interessanti e innovative. Chiaro è che passare da un modello precedente in cui era sostanzialmente l’ufficio che aveva la potestà di effettuare gli avviamenti al lavoro, purché rispettasse l’ordine di graduatoria, a un sistema in cui si crea una sorta di mercato pressocché libero, il che vuol dire che, indipendentemente dalla posizione di graduatoria, una persona può trovare lavoro anche il giorno dopo essersi iscritto all’ufficio, determina un cambiamento culturale e deve determinare un cambiamento nelle rappresentazioni mentali che le persone e i familiari di chi cerca lavoro devono avere. Mentre prima l’atteggiamento non poteva che essere passivo: aspetto di arrivare in testa alla graduatoria e aspetto il provvedimento di avviamento, ora questo atteggiamento non paga assolutamente più, occorre passare a un atteggiamento attivo. E vedremo come. Iniziamo dagli elementi fondamentali individuando quali sono i soggetti coinvolti, la legge prevede che si possano iscrivere all’ufficio: le persone in età lavorativa, affette da minorazioni fisiche, psichiche, sensoriali e portatori di handicap intellettivo. Mi permetto di sottolineare un passaggio fondamentale: prima la possibilità di trovare lavoro per le persone con problemi psichici non era garantita, quindi già questo è stato un passo avanti significativo, mentre prima ognuna delle persone in funzione del proprio tipo di disabilità aveva una quoticina a parte tra i posti riservati, ora la lista è unica: si fa parte tutti di un unico elenco di soggetti in attesa di occupazione. Vediamo il fronte dei datori di lavoro: precedentemente i datori di lavoro interessati erano coloro che avevano perlomeno 35 – 36 dipendenti, dai 35 dipendenti in su, e per questi datori di lavoro l’obbligo era del 15%, 15 posti su 100 dovevano essere riservati alle persone con disabilità. Che cosa ha fatto il legislatore? ha ridotto l’aliquota dal 15 al 7 per le aziende che hanno un numero di dipendenti superiori a 50, quindi ha ridotto della metà il potenziale; ha introdotto un numero di assunzioni non più quantificato percentualmente ma numericamente pari a 2 per le aziende da 36 a 50 e ha introdotto l’obbligo anche per i datori di lavoro che hanno un numero di dipendenti da 15 a 35. Ora lo possiamo dire col senno di poi perché i numeri ci confortano: l’abbassamento da 15 a 7 è stato ampiamente compensato dall’introduzione dell’obbligo per le aziende da 15 a 35, quindi sostanzialmente il numero di numeri potenziali è rimasto sostanzialmente invariato, è distribuito in modo diverso: anche i datori di lavoro più piccoli sono coinvolti nell’applicazione della normativa. La legge 68 ha introdotto un altro elemento molto importante: ha dato un ruolo non solo all’ufficio competenze, chiamiamolo così, ma ad altri soggetti istituzionali: i servizi sociali, i servizi sanitari, quelli educativi, quelli formativi, i servizi per l’inserimento lavorativo, le cooperative sociali e le organizzazioni del volontariato. L’ufficio può collaborare con tutti questi soggetti ai fini di favorire percorsi di inserimento lavorativo laddove ci siano delle difficoltà di inserimento che non possono essere superate se non con azioni progettuali di una certa rilevanza: azioni di orientamento, azioni di informazione, azioni di formazione professionale specifica, azioni di accompagnamento sul luogo del lavoro, azioni di mantenimento dell’occupazione qualora ci siano delle difficoltà o delle criticità. Benissimo, la legge ha inserito anche questi soggetti, quindi c’è un ufficio principale che si occupa delle procedure amministrative, di tutti gli istituti applicativi della normativa, degli avviamenti da un punto di vista proprio tecnico, e poi ci sono tutti questi servizi che collaborano – e vedremo come – alla collocazione delle persone con qualche difficoltà aggiuntiva. Vi ho detto prima che la normativa introduce l’inserimento mirato, come lo definisce? lo definisce come la serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità, nelle loro capacità lavorative e inserirle nel posto di lavoro adatto. Attraverso cosa? analisi dei posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione. direi che è stata formulata veramente molto bene, concettualmente interessantissimo, tecnicamente difficilissimo da applicare e vedremo perché. si può scomporre in due parti questa affermazione: una parte che è gestita sostanzialmente in questo momento dall’ufficio e una parte che è gestita in collaborazione con i servizi sociali territoriali e del privato sociale. fino al valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e inserirle nel posto di lavoro adatto attraverso l’analisi dei posti di lavoro, qui arriva quella che è la competenza centrale dell’ufficio che io qui oggi rappresento. Da quando si parla di forme di sostegno, azioni positive etc., si parla di attività che devono essere svolte in collaborazione con i servizi territoriali, quindi si introduce fin dal secondo articolo della normativa il concetto dell’attività in rete, fra varie istituzioni. Ma se così fosse, cioè se bastasse all’ufficio effettuare la valutazione delle caratteristiche dei lavoratori, la valutazione delle caratteristiche delle mansioni disponibili e avesse la potestà di effettuare sulla base di questo l’avviamento, sarebbe sicuramente facile, non è così. Perché il legislatore ha introdotto tutta una serie di modalità con cui viene effettuato l’avviamento che io ho cercato, per aumentare al massimo l’informazione a voi rivolta, di elencare. Innanzitutto sono differenziate – e questa è una delle parti più importanti, nel senso: riuscire a informarvi su quelle che sono le modalità con cui si accede nel posto di lavoro e quindi cercare di capire chi può fare che cosa e quale può essere il ruolo attivo da parte delle persone che ricercano il lavoro. Dicevo, sono diversificate le modalità in considerazione del fatto che si riferiscono al mercato dell’operatore privato piuttosto che l’accesso al numero impiego, per quanto riguarda il lavoro privato vi si accede per via numerica che è la modalità sostanzialmente della 482, prevista dalla precedente normativa, le persone sono comunque anche oggi collocate all’interno di una graduatoria e le prime hanno diritto di essere collocate al lavoro. Ma dove? nelle aziende che abbiamo visto prima, ma non in tutti i posti disponibili, solo in una quoticina di posti (che non sto qui a dirvi come si calcola) assolutamente minoritaria, parliamo di quote attorno al 5% dei posti totalmente disponibili per l’avviamento numerico. quindi l’ufficio l’ha attivata questa linea di inserimento, l’ha attivata anche con una logica di collocamento mirato, non basta arrivare in testa alla graduatoria, c’è un ufficio che si occupa di trovare una collocazione che sia la più congeniale possibile quindi c’è una attività significativa alle spalle di ogni avviamento numerico. Assunzione nominativa: abbiamo visto sopra che si parlava di avviamento mirato, ma di fatto poi, nello scorrere della normativa, il quasi tutto diventa assunzione nominativa. Cioè è il datore di lavoro oggi che, per effetto proprio di questo istituto, sceglie sostanzialmente qual è il lavoratore iscritto (ovviamente questa deve essere la caratteristica) che intende assumere. questo tipo di assunzione può essere diretta, cioè il datore di lavoro scrive una comunicazione all’ufficio in cui chiede di assumere giovanni rossi, per esempio, e se ci sono i requisiti d’iscrizione etc. l’avviamento viene attivato, oppure assunzione nominativa nell’ambito della convenzione. La convenzione è uno strumento importantissimo che regolamenta il rapporto tra l’ufficio della provincia e i datori di lavoro, norma sostanzialmente le modalità e i tempi entro i quali devono essere effettuate le assunzioni. Questo è uno strumento su cui la nostra provincia ha centrato le attività iniziali dei primi tre anni, è un ufficio relativamente nuovo, ha iniziato la propria attività all’inizio del 2000, i primi due anni sono stati difficilissimi, non c’era norma interpreativa, non si sapeva cosa fare, era una rivoluzione rispetto alle modalità precedenti, per cui ci sono state un po’ di difficoltà, ma abbiamo inteso incentrare le modalità sulla stipula delle assunzioni, la programmazione nel tempo a venire specificando con il datore di lavoro come e quando queste assunzioni avrebbero dovuto essere fatte, ovviamente i datori di lavoro hanno anche degli elementi di interesse perché attraverso la convenzione ci possono essere benefici economici piuttosto che riconoscimenti ai fini dell’assolvimento degli obblighi anche di tirocini finalizzati all’assunzione, quindi ci sono dei benefici da entrambe le parti. quindi l’assunzione nominativa è quella che domina assolutamente le modalità d’ingresso nel posto di lavoro, ed è subordinata a una scelta che è subordinata al datore di lavoro. Da qui ne consegue la capacità di presentarsi di fronte al datore di lavoro. Integrazione lavorativa, questa è una modalità importante, sta sempre nell’alveo delle convenzioni, viene stipulata con i datori di lavoro e viene riservata a coloro che hanno maggiori difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo, quindi ritorniamo al concetto dei servizi territoriali. Queste sono le convenzioni per cui non basta trovare il posto giusto al lavoratore, occorre offrire qualcosa di più sia al lavoratore che all’impresa: azioni di supporto, le quali la norma non prevede che siano gestite direttamente dall’ufficio ma in collaborazione con i servizi. La norma che cosa prevede però: un meccanismo che finanzia questo tipo di attività e questo tipo di finanziamento è allocamento a livello regionale ed è compito delle regioni distribuirlo alla provincia. Siamo all’alba del 2005, forse nel 2005 per la prima volta in regione Lombardia le province vedranno arrivare questi fondi. Questo è l’elemento di novità a cui mi riferivo prima, elemento di novità che potrà introdurre dall’anno prossimo finanziamenti cospicui proprio destinati a potenziare il numero di attività che già vengono erogate, perché i comuni non sono stati a dormire, la a.s.l. neppure, ci sono già i servizi di accompagnamento a lavoro, ma con questi fondi quello che noi auspichiamo è di migliorarli e di potenziarli, sono servizi che vengono rivolti per scelta di questa provincia prevalentemente a soggetti che fanno parte di coloro che rientrano nelle modalità di avviamento e di integrazione lavorativa. Sono previste anche assunzioni presso le cooperative attraverso un meccanismo convenzionale piuttosto complessivo, il datore di lavoro piuttosto che assumere presso di sè, colloca la persona presso una cooperativa e contemporaneamente ha la possibilità di allocare per la quota di riserva ma deve dare una commessa di lavoro. Quindi il datore di lavoro sposta sulla cooperativa una commessa di lavoro, sulla base di questo lavoro e di risorse che entrano in cooperativa, la cooperativa effettua l’assunzione della persona disabile. noi non abbiamo spinto molto su questo, non abbiamo ottenuto richieste di attivazione di questa modalità di assunzione, è stata riformata per renderla più snella, probabilmente l’anno prossimo, anche per effetto dei fondi che stanno per arrivare, potrà essere una linea d’intervento da promuovere, ovviamente da riservarsi alle persone che ancora non hanno maturato capacità e competenze utili a loro stesse per stare nel mercato del lavoro: stare nel mercato del lavoro non è sempre utile alla persona, a volte si possono correre dei rischi, soggetti particolarmente deboli rischiano di avere delle difficoltà così forti sul piano relazionale che forse è meglio per un certo periodo, finché non rafforzano le proprie capacità, permanere in un ambito più protetto quale può essere quello delle cooperative. Abbiamo una modalità per selezione chiamata su specifiche richieste: è sostanzialmente una sorta di bando, il datore di lavoro individua qual è il profilo professionale, l’ufficio ne dà informazione a coloro che si iscrivono che entrano in una graduatoria, chi è in testa a quella graduatoria prende quel posto di lavoro. Ma è così complessa che finora non è stata attivata. uesta per darvi una panoramica di quelle che sono le attività. Mercato del lavoro pubblico: modalità di avviamento presso i datori di lavoro pubblici, la nominativa ha introdotto una possibilità di assunzione nominativa purché l’ente pubblico stipuli una convenzione con l’ufficio. E’ una convenzione nominativa non come quella del privato, perché là è diretta, il datore di lavoro può scegliere, indipendentemente da come effettua la selezione, la persona che più gli aggrada, il datore di lavoro pubblico questa selezione non può farla così, deve fare un’azione di selezione pubblica e il vincitore di questa selezione può essere assunto per via nominativa, per i profili professionali però che riguardano solo le mansioni, le qualifiche per cui è chiesto il solo assolvimento della scuola dell’obbligo. se la mansione, invece, prevede una qualifica o un titolo di scuola superiore, la laurea, si entra nel mercato del lavoro pubblico solo attraverso il concorso con riserva. il concorso con riserva può essere effettuato dai datori di lavoro che hanno la convenzione, piuttosto che da quelli che non hanno la convenzione. Un’altra modalità è l’avviamento a selezione, sempre per i profili professionali per cui è richiesto il solo assolvimento alla scuola dell’obbligo, in questo caso il datore di lavoro chiede all’ufficio l’invio di una persona che a questo punto deve essere quella collocata nelle prime posizioni in graduatoria, quindi è una sorta di avviamento numerico per posizione. L’ente chiede: vorrei il primo in graduatoria, benissimo, l’ufficio lo manda. L’ente fa una sorta di selezione per vedere se ci sono disponibilità per quella mansione, se ci sono bene, altrimenti chiede il nominativo di chi è nella graduatoria, poi ci sono concorsi a soggetti con particolare disabilità. Ecco, io mi sono soffermato su queste modalità proprio per farvi rendere conto di quante siane le modalità con cui si accede e ritornando un attimo indietro chiaramente o per tutte quelle che riguardano l’assunzione nominativa e anche l’integrazione lavorativa, se si vuole, presso i datori di lavoro privati, bene, in questo caso il lavoratore stesso può in promuoversi nei confronti del datore di lavoro perché attraverso il meccanismo della scelta nominativa può essere selezionato dal datore di lavoro il quale chiede all’ufficio, perché ne ha diritto, e l’ufficio emette il provvedimento di nulla osta. Quindi rivolgersi oggi, ai datori di lavoro, non dà sicuramente il posto di lavoro, non voglio illudere nessuno perché le risposte dei lavoratori che effettuano questa cosa noi ce l’abbiamo, i datori di lavoro a volte non rispondono, però abbiamo verificato tanti casi di lavoratori che con qualche insistenza nel tempo, attraverso questo canale, di autopromozione, hanno trovato collocazione. Sugli istituti applicativi della normativa salto perché sono troppo complessi, credo che non vi diano informazioni maggiori, vi faccio vedere rapidamente questa slide per darvi un’immagine di quello che è il livello di complessità perché intorno alla normativa e quindi ai lavoratori, alle imprese ci sono tantissimi soggetti, istituzionali e non, ognuno dei quali ha un proprio ruolo, quindi non è che lavoratori e imprese si rivolgano e hanno un rapporto diretto con il collocamento mirato, diciamo che è privilegiato, svolgliamo funzioni prioritarie, però nell’ambito di una attività di rete, di collaborazione con tutti questi soggetti istituzionali (azienda sanitaria locale, inail, ministero della difesa, servizio ispettivo del ministero del lavoro, la regione lombardia per i finanziamenti, le cooperative sociali, i centri psicosociali, i nuclei operativi per le dipendenze, i servizi di inserimento lavorativo per le azioni di accompagnamento al lavoro), quindi abbiamo proprio tutta una costellazione, quasi un arcipelago, ci ritroviamo nella rappresentazione grafica, di soggetti che collaborano ai fini dell’inserimento.Ccome siamo organizzati come ufficio? vi dico che siamo partiti con due operatori, all’inizio dell’attività c’erano due operatori che si occupavano di tutto quello che vi ho cercato di illustrare: abbiamo 3500 persone iscritte e 2200 lavoratori, quindi abbiamo più di 5500 clienti, quindi queste sono le dimensioni; adesso siamo arrivati a essere in 19 operatori, l’ufficio era indistinto, cioè tutti si occupavano un po’ di tutto, adesso siamo arrivati a una organizzazione che prevede quattro aree specifiche di intervento specializzato, quali sono queste aree? lo spazio lavoratori che occupa 4 lavoratori e si occupa di tutte le attività rivolte ai lavoratori nell’ambito dell’iscrizione, dell’informazione di prima accoglienza, di tutto quanto riguarda le certificazioni, l’elenco delle persone iscritte e la gestione delle graduatorie, abbiamo la gestione delle pratiche amministrative, le convenzioni, proprio in questa settimana abbiamo raggiunto la millesima convenzione con i datori di lavoro con la provincia di Varese, mille convenzioni fatte in due anni e mezzo, ogni convenzione ha prodotto delle assunzioni, quindi due linee di servizio differenziate. Ma proprio perché parliamo di inserimento mirato abbiamo costituito un servizio di valutazione delle abilità che conta tre operatori, cosa fanno qusi operatori? innanzitutto i lavoratori che si iscrivono vengono convocati in un gruppo di informazione, gruppo di informazione che serve a fare quello che io sto cercando di fare oggi, cioè rappresentarvi come lo scenario sia cambiato e quindi come gli atteggiamenti individuali debbano cambiare. Hanno strumenti per effettuare una valutazione dell’abilità, svolgono colloqui individuali su ognuno degli iscritti che vuole fare questo percorso, non è obbligatorio, in modo da cogliere l’individualità della persone, le esigenze particolari, le difficoltà piuttosto che le potenzialità, non solo a livello di valutazione di abilità ma a livello anche di desideri della persona. Le informazioni raccolte confluiscono in una banca dati che fa parte di un sistema informatizzato che si chiama MATCH, e sulla base di queste informazioni che cosa fa l’ufficio? dopo aver fatto un’analisi delle mansioni con i datori dall’indirizzo di preselezione, cerca persone che hanno capacità congruenti presenti con una capacità. Vi dicevo che l’ufficio raccolti i dati delle caratteristiche dei lavoratori e delle caratteristiche delle mansioni effettua servizi di preselezione individuando le persone che meglio collimano con le attività e le caratteristiche delle attività richieste dal datore di lavoro, arriva una rosa di nominativi al datore di lavoro che ha richiesto questo intervento e lì parte una procedura di selezione finale che porta normalmente all’individuazione delle persone prescelte, per cui capite bene che l’ufficio non ha la potestà dell’avviamento in termini di scelta del lavoratore da collocare, svolge tutta questa attività di valutazione della persona e valutazione delle caratteristiche delle mansioni di preselezione a favore dei datori di lavoro e dei lavoratori, ma poi l’abbinamento, la scelta della persona, è in capo per norma legislativa al datore di lavoro. Io credo che rispetto a quella che è l’attività dell’ufficio, termino con quello che ho cercato di individuare come un percorso virtuale, virtuoso, per coloro che hanno problemi di sordomutismo piuttosto che di ipoacusia di una certa importanza. Che cosa deve essere effettuato? l’iscrizione sicuramente è il punto di passaggio, qui occorre la certificazione di invalidità e fare un’autodichiarazione. All’atto d’iscrizione noi eroghiamo quello che chiamiamo il servizio di primo accoglienza con colloquio agli operatori del servizio di preselezione. Chiaro che tutte le medaglie hanno un’altra faccia, lo strumento che abbiamo visto prima di valutazione dei lavoratori va bene sulla stragrande maggioranza di coloro che si iscrivono, non va completamente bene per coloro che hanno problemi sensoriali, problemi di linguaggio, perché sono prevalentemente prove attitudinali. Quindi abbiamo ritenuto più opportuno offrire non tanto quello strumento, ma un colloquio con operatori del servizio di preselezione che sono quelli che poi fanno le segnalazioni ai datori di lavoro, quindi si entra attraverso questo altro canale individualizzato. Per quanto riguarda l’informazione abbiamo approntato degli opuscoli, quindi il veicolo è cartaceo, si può leggere tranquillamente, non si deve ascoltare per forza la presentazione, avviene quindi un colloquio di approfondimento sulle competenze professionali, la segnalazione ai datori di lavoro e vi informo che la legge prevede che i prospetti informativi, cioè le dichiarazioni dei datori di lavoro che si denunciano all’ufficio, siano pubblici, attraverso questo accesso all’atto il lavoratore può essere informato su quali datori di lavoro hanno obblighi e quindi hanno posizioni scoperte. Noi abbiamo reso ovviamente possibile questo accesso con una modalità di colloquio diretto con il lavoratore. Però non lasciamo lì 2500 documenti e i lavoratori si devono servire, offriamo un servizio, un colloquio con un operatore specializzato che mostra un certo numero di prospetti, quindi il lavoratore va via con un elenco di aziende alle quali può formulare la propria domanda di lavoro, aiutiamo anche nella compilazione della domanda se ha difficoltà piuttosto che nel curriculum. Ora chiedo se ci sono due minuti per i dati, altrimenti chiudo qua, i dati danno una rappresentazione dei fenomeni sia in termini di quantità dei posti di lavoro, sia quello che è stato l’esito di quattro anni di lavoro, piuttosto che i numeri specifici delle persone con problemi sensoriali in questo momento iscritte o avviate dall’ufficio. ….>
Martina Gerosa, testimonianza < Sono molto contenta di essere qui oggi perché posso offrire la mia testimonianza di sorda. Si parla di sordità ed è molto importante e bello che ultimamente capiti sempre più spesso che ad avere la parola non siano sono gli esperti, ma anche coloro che portano il sapere dell’esperienza, quindi i diretti interessati e le famiglie. Sulla brochure di questo convegno sono stata presentata con la qualifica di "architetto", sono laureata in architettura, ma in realtà mi sono specializzata in urbanistica fin dal secondo anno di studi, per cui ho approfondito materie come l’antropologia culturale e urbana, da sempre interessata alla città delle persone, degli uomini più che delle pietre. L’ultimo lavoro che ho svolto quest’anno come urbanista era nell’ambito delle politiche di riqualificazione dei quartieri periferici, mi sono occupata di un quartiere della periferia milanese all’interno di un gruppo di lavoro interistituzionale ed era un quartiere in cui erano presenti molto immigrati, quindi più che di barriere architettoniche credo che riusciro’ a dirvi qualcosa sulle barbiere della comunicazione, però non mi è mai capitato fino a oggi di riflettere su questo argomento con una ricerca in modo strutturato e quindi farò riferimento unicamente al sapere delle esperienze di cui vi dicevo prima. Voglio solo aggiungere che negli ultimi anni mi è capitato sempre più spesso di conoscere, oltre alle molte persone con deficit anche molto gravi, che conosco ormai da quasi vent’anni, persone con problemi di udito come me e, alcune di loro sono presenti oggi tra di voi, attraverso questi incontri con persone che vivono la mia situazione si è molto arricchita la situazione personale. "Mi scusi, ma lei è straniera?". mi sono sentita rivolgere molto spesso questa domanda. Ebbene, sì, ho la mamma tedesca e il papà italiano. Questa risposta tante volte è stata sufficiente per accontentare chi mi aveva posto la domanda, non dovevo dare altre spiegazioni del fatto che ho un accento e un timbro di voce particolari. Sono nata a milano 37 anni fa, prematura, e così i medici dissero ai miei genitori di sperare molto che ce la facessi a sopravvivere, mi curarono bene, ed eccomi qui per fortuna. Quando ebbi tre anni e mezzo si scoprì definitivamente che ero sorda, per mesi i miei genitori chiedevano alla pediatra come mai parlavo così poco, loro dicevano: è bilingue, imparerà nel tempo. A mia mamma spesso chiedevo di essere presa in braccio, in questo modo potevo sentire le vibrazioni appoggiando il mio corpo al suo petto e quindi alcune parole che avevo imparato come "lowe" (leone) nella lingua tedesca. Però non era l’unico motivo per cui volevo essere tenuta in braccio, un altro era che da quella posizione, come una vedetta, potevo osservare quello che mi stava attorno, gli occhi diventano una risorsa davvero fondamentale per cogliere quello che abbiamo intorno per rapportarci al mondo e alle altre persone. In condizioni favorevoli si sviluppano, tra le persone con problemi di udito, capacità diverse, alcune anche straordinarie, lo stesso linguaggio dei segni è davvero straordinario, per ascoltare e comunicare con gli altri. Un caro amico, si chiama Claudio Imprudente, magari qualcuno di voi lo conoscerà, è un eccezionale bolognese con un deficit fisico molto grave, non parla ma hanno escogitato un sistema per farlo comunicare (dopo ve lo descriverò) e ha coniato un concetto importante, un termine, quello di "diversabilità" che può sostituire la parola disabilità. Significa porre l’accento non tanto sulle non abilità ma sulle diverse abilità, quindi non sul non udire ma sul sentire in modi diversi. Claudio usa una lavagna trasparente su cui sono state applicate le lettere dell’alfabeto e indicandole con lo sguardo, quindi gli occhi anche per lui sono una risorsa importantissima, riesce a fare capire ogni parola. E’ come se ci si fosse trovati davanti a un fiume da attraversare senza un alcun ponte, cercando intorno dei materiali con cui realizzare qualcosa che assomigli a un ponte. Si possono trovare sassi, legni con cui mettersi a costruire. Oggi il rischio è quello che pretendiamo di trovare la via spianata, possibilmente un’autostrada, non tortuosi sentieri anche faticosi! invece i problemi potrebbero essere visti come occasione di incontro e di collaborazione tra soggetti che insieme cercano di trovare delle soluzioni in modo creativo. Desidero portarvi anche un altro esempio della mia esperienza: ho due bambini, ormai in età scolare, ma quando furono piccoli mi capitò spesso di rimanere da sola con loro nei periodi di assenza di mio marito da casa per lavoro. La notte tolgo gli apparecchi acustici e non sento nulla, quindi anche il loro pianto. Se mi chiamavano non potevo udirli. Allora con mia sorella mi ingegnai a mettere due avvisatori diversi uno per udenti e uno per sordi e in questo modo risolsi il problema. Un’altra persona, una donna sorda, mi raccontò che lei invece usa la mano: metteva la mano nella culla del proprio neonato e così si accorgeva subito se piangeva ma in realtà mi rimane impresso nella memoria con grande emozione il fatto che nelle prime settimane di vita della mia prima figlia di notte mi svegliavo di soprassalto un minuto prima che lei iniziasse a piangere. Quanto sono misteriose le vie di comunicazione tra una madre e la sua creatura! non passano necessariamente attraverso le orecchie. La comunicabilità, come diversabilità, intesa come capacità di stabilire forme diverse di comunicazione, mi sembra non dipendere dall’udito. Di recente mi è capitato di conoscere una straordinaria persona sorda profonda, per la maggior parte della vita non ha sentito nessun suono, è diventata grande tra i normoudenti grazie alla sua comunicabilità inserendosi molto bene nelle reti di lavoro e di vita sociale. E oggigiorno abbiamo la fortuna di avere un numero crescente di strumenti e ausili, ovviamente mi riferisco in primo luogo agli apparecchi acustici. Sono stati fatti dei passi da gigante a partire dalla loro apparizione, dagli anni 50, dagli apparecchi a scatola fino ai più recenti endoauricolari digitali anche per sordità molto gravi, ma oltre agli apparecchi acustici ci sono altri ausili, da quelli pensati espressamente per i sordi ad altri che tutti noi oggi vediamo come i cellulari, il computer con internet e la posta elettronica. Vado avanti a raccontarvi qualcosa di me: ho passato la maggior parte della vita a vedermi film senza sottotitoli cercando di indovinare la trama allo scorrere delle immagini oppure a non andare molto volentieri nei locali pubblici, perché troppo rumorosi perché non riuscivo a capire le persone mentre oggi forum telematici su internet consentono di sentirsi collegati con tante persone all’interno di gruppi anche molto vasti. La mia sordità è bilaterale di tipo neurosensoriale, grave profonda: appena dopo la diagnosi, quando avevo quasi 4 anni, ho messo i miei primi apparecchi acustici retroauricolari, ho fatto logopedia presso il Policlinico di Milano e per mia fortuna la logopedia si rivelo’ come un bellissimo gioco grazie alla intelligenza, alla passione e alla fantasia dei miei genitori: ho scoperto prestissimo la gioia di leggere e la parola scritta è diventata fin da subito molto importante sia leggendo sia scrivendo. Ho frequentato le scuole pubbliche normali per volontà dei miei genitori, che precorsero i tempi, non era ancora uscita la normativa sull’integrazione dei sordi nelle classi normali. Alla scuola materna trascorrevo solo la mattina perché poi non sopportavo il rumore che c’era durante la refezione. Di quegli anni ricordo che disegnavo tantissimo e il disegno rappresenta, in particolare tra chi deve misurarsi con difficoltà di linguaggio, uno strumento di vitale importanza per esprimersi, anche a livello emotivo. Nella scuola elementare i miei genitori cercavano un’insegnante che fosse disponibile ad accogliermi nella sua classe, ero trattata come qualunque altra bambina a scuola e a casa quindi. Alla scuola elementare scoprii la diversità delle storie e delle esperienze: era la scuola di quartiere, erano gli anni del boom economico e c’erano moltissimi immigrati dalle regioni meridionali, quindi conobbi situazioni familiari anche molto diverse dalla mia e anche molto difficili. Scoprii le famiglie in cui i genitori erano separati, eravamo "tanti diversi", tutto sommato. E così, inserita nella scuola pubblica, percepii la mia diversità come una delle tante possibili ed in modo naturale l’accettai, grazie i ai miei genitori. Anni più difficili, per ragioni varie, la sordità era l’ultimo dei miei problemi, furono successivamente tra le medie e il liceo, ho frequentato lo scientifico. Mi veniva più facile allacciare relazioni "a tu per tu", che a vivere la dimensione del gruppo. Avevo quindi amici con cui la relazione era particolarmente profonda. Tornando agli anni della scuola, certo, barriere della comunicazione ce ne furono, ma era possibile superarle, sono stata sempre al primo banco quando arrivai all’Università e c’erano i microfoni e in alcune occasioni come convegni c’era una particolare insonorizzazione della sala, ero felice di mettermi in decima fila dopo essere stata per anni in prima fila, oppure chiedevo gli appunti ai compagni così li confrontavo con i miei. Ma gli anni in cui ho trovato un equilibrio interiore e anche la forza di esprimermi in pubblico sono stati proprio quelli dell’Università, ho amato tantissimo lo studio di molte diverse materie, ma anche il tempo libero, coltivando molti interessi e intessendo molte relazioni e amicizie. Fu molto positivo per me non vivere più nella stretta dimensione della classe, ma in un orizzonte non solo culturale ma anche umano più vasto e i numerosi lavori di gruppo avvenivano nell’ambito di una cerchia di poche persone con cui la comunicazione era agevole. Ma sapete che quando ero piccola non riuscivo a spiccicare una parola in pubblico? già solo sentire la mia voce mi procurava un enorme fastidio: mi agitavo tantissimo, mi bloccavo con il cuore in gola, il pensiero si annebbiava. Riuscivo a parlare in pubblico solo a costo di imparare molto bene quello che volevo o dovevo dire. Ricordo come fosse ieri, quando ebbi 18 anni, che andai in un campo di lavoro e capitò che il coordinatore di un piccolo gruppo di riflessione mi costrinse a parlare in un’assemblea – eravamo 80 persone circa – per portare io direttamente la mia testimonianza, non ricordo neanche più di cosa stessimo parlando, ricordo solo che sudai 7 camicie e che riuscii a vincere questa paura e da quella volta le cose andarono sempre meglio. Grazie a Marco Cabassi! tralascio il seguito della mia storia, credo che oggi sia stato importante soffermarsi sul passato, su situazioni ed episodi della mia vita che spero vi abbiano aiutato a capire come sono arrivata a percepire la sordità come una realtà amica, talmente connaturata al mio essere che oggi non potrei immaginarmi udente. Ma che significa poi sordità? pensate che la stessa persona, sorda profonda, di cui vi ho già parlato prima, mi ha trasmesso questo pensiero: "mi sento sordo tra gli udenti, ma udente tra i sordi". Per concludere vi lascio con una citazione che , perdonatemi, può risultare un po’ difficile, alle volte capita di leggere un testo e non capirlo lì per lì e di rileggerlo in un altro momento della vita e di rimanere come folgorati, per me è sempre meraviglioso trovare parole altrui che esprimono bene esperienze e intuizioni che da soli non si è capaci di dire: "risvegliarsi al seme originario della propria anima e udirne la voce non è sempre facile, come si riconosce la sua voce, quali segnali dà? per affrontare queste domande dobbiamo prima accorgerci della nostra sordità, di tutte le ostruzioni che ci rendono duri di orecchio: il riduzionismo, il letteralismo, lo scientismo del nostro cosiddetto "senso comune" che in una parola sono i pregiudizi. Sembra così difficile infatti farci entrare in testa che da un altrove possono venirci messaggi più importanti per la condotta della nostra vita delle informazioni che passano per esempio per internet, significati che non scorrono veloci e agevoli, ma, anzi, si trovano codificati specialmente negli eventi dolorosi, patologizzati, che forse sono rimasti l’unico modo in cui gli dei possono svegliarci." Questa citazione è di James Hillman, dal suo libro "Il codice dell’anima". E’ questo quello che auguro a ciascuno di noi: di prendere consapevolezza delle molteplici forme di sordità, non solo di orecchio, che rendono difficile la comunicazione, quella interiore e quella tra esseri umani, per cercare di superarle realizzando insieme, in modo creativo, nuovi ponti che colleghino le isole del vasto e interessante arcipelago di cui oggi abbiamo la possibilità di conoscerne alcune con questo convegno. >
Giorgio Sarcletti, consigliere anziano dell’associazione, ha ripercorso gli anni della partecipazione associativa fin dal suo primo contatto ed evidenziato le attività svolte sul territorio con particolare riferimento a quelle degli ultimi anni che hanno visto una collaborazione intensa con il settore politiche sociali della Provincia. L’intervento: < la presenza di questo folto pubblico secondo me è la testimonianza di quanto l’AFfBI ha fatto fino ad oggi. Io frequento l’associazione da quasi 25 anni. Il mio primo approccio risale pertanto agli anni ’80 quando l’associazione intraprese un primo studio, un censimento di quelle che erano le realtà presenti sul territorio e riguardanti i soggetti audiolesi. Mi è piaciuta moltissimo la tua testimonianza Martina, perché mi ha riportato indietro nel tempo perché quello che tu hai vissuto come figlia io l’ho vissuto dall’altra parte come genitore e ho capito una cosa comunque, che, così come si diceva prima anche nell’intervento di Enrica, e nell’intervento di altri relatori, molto importante è il ruolo della famiglia: la famiglia riveste un ruolo importantissimo e può molto per quanto riguarda il discorso di inserimento del bambino nel mondo, nell’attività lavorativa, soprattutto se poi la famiglia stessa è aiutata. Io, per vicende alterne, ho vissuto un’altra brutta esperienza legata a mio figlio, in anni molto più recenti, comunque posso dire una cosa: da quest’altra mia esperienza ho tratto maggior vigore, maggior forza nell’affrontare i problemi che purtroppo nel vita nostra e di tutti noi sono numerosi. L’accoglienza è un aspetto fondamentale nella famiglia soprattutto quando si viene a scoprire una realtà quale potrebbe essere la conoscenza e il sapere di avere un figlio affetto da sordità, ma non solo, magari anche il fatto di sapere di avere un figlio affetto da leucemia o qualche altra grave malattia. La prima volta che sono venuto a conoscenza del problema di mio figlio lui aveva due anni e mezzo, è stato un mattone che si è abbattuto sulla nostra famiglia. Per noi genitori, dopo pochissimo tempo l’avere incontrato l’associazione e altre famiglie con lo stesso problema, è stato un pochettino di conforto e ci ha aiutati nell’affrontare questo nuovo problema, questa nuova realtà per noi. Allora non esistevano tutte quelle conoscenze, tutti quegli ausili dei quali oggi, grazie a Dio, disponiamo. Però vi dico che la seconda esperienza che ho vissuto, peggiore forse della prima, ma il fatto che ho trovato dinanzi a me un’organizzazione, un sistema, ma soprattutto un sistema di accoglienza che prevedeva la presenza di una figura molto importante, quella dello psicologo, mi ha consentito di affrontarla comunque, in modo anche coraggioso perché quando si è vissuta una certa esperienza magari con più difficoltà si riesce ad affrontare un’altra esperienza negativa, ma la presenza di questa figura professionale ci ha consentito di rimboccarci – mia moglie e io , e questa volta anche mia figlia – ulteriormente le maniche sul da farsi perché non serve a niente poi chiudersi in sè, soprattutto non serve erigere quelle barricate alle quali accennava prima Enrica, il problema c’è e va affrontato e possibilmente risolto. Dico grazie all’associazione per i quasi 25 anni trascorsi insieme, ma grazie anche ad altre associazioni che comunque assumono, come loro impegno principale, quello della collaborazione con le varie famiglie che presentano o possono presentare i più svariati problemi. Ritornando alla nostra associazione (scusatemi questa divagazione) voglio ricordare che questa è nata nel 1974, per cui i 30 anni cadono a pennello, ed è stato un periodo di attività particolarmente proficuo. Oggi come oggi io dico una cosa comunque: che l’associazione senza una persona, quale l’Enrica, non avrebbe raggiunto i suoi 30 anni, si sono susseguiti vari presidenti, figure molte valide, ma dobbiamo riconoscere noi dell’associazione il lavoro, la dedizione, il mettersi in gioco anima e corpo della nostra carissima Enrica, so che lei a queste cose non ci tiene, ma sinceramente non mi interessa Enrica, quello che è merito deve essere riconosciuto e questa è l’occasione migliore, magari non sono riuscito a esprimertelo, perlomeno entrambi abbiamo vissuto esperienze abbastanza simili, ci accomunano tante cose, questo è un grazie doveroso ed è un riconoscimento doveroso perché se l’associazione è riuscita stare in piedi per 30 anni, e mi auguro che per altri 30 lo sia, se non di più, ma considerata l’età che abbiamo, magari è chiedere troppo al Signore, lo si deve essenzialmente e lo si dovrà alla sua presenza. Mi ero preparato una serie di riferimenti relativi all’associazione: nell’84 venne condotta una approfondita indagine sugli audiolesi nella provincia di Varese, i dati furono discussi in un convegno dell’89. E’ dell’85 un altro documento dell’associazione sull’integrazione dell’audioleso nella scuola, tutte figure, tutti gruppi di lavoro che abbiamo già avuto occasioni di sentire. Annualmente l’associazione fu poi impegnata nell’organizzazione di giornate di studio, conferenze, seminari, informativi e formativi, convegni in cui vennero affrontati diversi temi, svariati sono stati i temi oggetto di attenzione da parte dell’associazione proprio perché riconosceva quali erano le problematiche del soggetto audioleso, del bambino audioleso che doveva integrarsi e inserirsi nel resto del mondo. Ii vari temi sono: l’orientamento scolastico professionale dopo la scuola dell’obbligo; l’audioleso e l’adolescenza; legislazione in merito alla sordità e provvidenze economiche per i minori audiolesi; l’inserimento nel mondo del lavoro; la sordità nei suoi aspetti medici; le protesi acustische, il loro funzionamento, manutenzione e controllo; l’organizzazione dei servizi sul territorio provinciale; il rapporto delle famiglie con i servizi del territorio. L’AfaBI, ci tengo a sottolinearlo, ha fatto parte per molti anni della FIADDA, la federazione (oggi Asociazione) nazionale delle famiglie di audiolesi e ha partecipato al coordinamento regionale lombardo di queste associazioni. Venendo un pochettino a quelli che sono gli anni abbastanza recenti vorrei ricordare il Convegno del giugno 96 riguardante i servizi del territorio a favore dei minori audiolesi e delle loro famiglie, promosso dalla nostra associazione con il patrocinio della Provincia di Varese e del Comune di Varese, assessorati ai servizi sociali. Dobbiamo effettivamente riconoscere il grande apporto che ci ha dato la Provincia di Varese in questa nostra attività, soprattutto poi, in particolar modo, negli ultimi anni, apporto che si è avvalso negli anni passati dell’interessamento dell’allora assessore ai servizi sociali Hans Peter Orlini il quale raccolse le richieste dell’associazione e si impegnò a mantenere attivo il tavolo di lavoro e di confronto iniziato in quella data, proponendo il seguente schema: < a ogni singolo soggetto coinvolto, la Provincia in particolare si impegnava e si impegna all’erogazione dei contributi e alla raccolta e elaborazione dei dati nonché a supporto dell’assistenza tecnica individuale nell’ambito di una azione concordata e concertata. E l’associazione AFaBI, già impegnata sul territorio nella fornitura di una costante informazione alle famiglie, potrà trarre giovamento dell’esistenza di un’unico forte interlocutore istituzionale che consente di affrontare l’universo dei problemi in una sede comune per tutti, ovviamente nel rispetto delle autonomie di ciascuno.> Da quell’anno, dal 96, poi la Provincia si è avvalsa della consulenza della dottoressa Rèpaci, ecco perché io dico elemento trainante, dobbiamo – io in particolare perché mi sono avvicinato all’associazione da genitore in cerca di aiuto, Enrica c’era già tempo prima, ma soprattutto c’era con una specificità, una competenza che altri, noi, non avevamo, io in particolare. Per cui dobbiamo essere onorati di questa collaborazione o, meglio, di questa consulenza della dottoressa Rèpaci che si esplicitava poi attraverso la nascita di un gruppo, il gruppo di lavoro provinciale sordità, che vedeva riuniti attorno al tavolo rappresentanti di Provincia, Comuni, Prefettura, successivamente sostituita dall’INPS per le competenze di legge, Provveditorato agli Studi, Aziende Aanitarie e Associazioni, l’ENS, la Nostra Famiglia di Castiglione Olona, e il cui compito era l’informazione sulle tematiche relative alla sordità, l’individuazione delle risorse del territorio e la concertazione di iniziative. Le funzioni di consulenza svolte dalla dottoressa Rèpaci furono espletate negli anni 96 e 97 con apposita convenzione, badate: è molto importante questo aspetto, la Provincia si convenziona con l’associazione AFaBI per competenze specifiche in questo gruppo di lavoro. Diciamo che questo gruppo di lavoro ha lavorato bene e negli anni ha prodotto interessanti iniziative: innanzitutto una campagna di sensibilizzazione sull’importanza della diagnosi precoce della sordità infantile attraverso la diffusione di ventimila card sul territorio provinciale, ospedali e altro, e spot radiofonici e televisivi su reti locali; ha prodotto un convegno provinciale sul tema "disabilità sensoriale uditiva, intervento socio – sanitario integrato" per divulgare e approfondire le conoscenze in un quadro di ampio coinvolgimento di tutti gli operatori e nella prospettiva di realizzare un vero e proprio osservatorio provinciale sulla disabilità uditiva. Ha pubblicato un giornalino con gli interventi degli attori coinvolti nella tematica della sordità nonché membri del gruppo di lavoro, ha promosso attività del settore politiche sociali nell’allestimento di pagine internet dedicate all’attività specifica sull’assistenza ai disabili sensoriali dell’udito. Inoltre sono stati organizzati due corsi di formazione per operatori di sostegno a disabili sensoriali dell’udito svolti in collaborazione con il CSA di Varese che hanno visto la partecipazione attenta e interessata di 76 allievi, di cui 38 insegnanti di ogni ordine e grado di scuola, 7 educatori professionali, 4 diplomande in logopedia e 7 operatori di altre categorie. La provincia ha inoltre patrocinato il corso della lingua dei segni organizzato dall’ENS sezione di Varese. Nel 2001 è stato inoltre siglato un importante protocollo d’impresa tra Provincia, Azienda Ospedaliera di Busto Arsizio e Fondazione Ricci riguardante la riqualificazione del Centro di audiofonologiaRricci di Castellanza, operante dal ’74, in pratica dall’anno di costituzione dell’associazione stessa, per l’attuazione sinergica delle attività dei singoli enti sottoscrittori negli ambiti sanitari, o socio – sanitari o sociale secondo una comune strategia finalizzata al perseguimento di obiettivi condivisi. In ultimo, per il triennio 2001 /2003, era stato approvato l’accordo di programma per l’integrazione scolastica degli alunni disabili cui hanno aderito: Provincia, CSA, ASL, Aziende Ospedaliere e Comuni che aveva la finalità specifica di garantire la realizzazione unitaria degli interventi a favore di disabili e delle loro famiglie. Da tutto questo quadro di attività, direi, particolarmente intensa e soprattutto tenendo conto anche delle risorse umane non particolarmente eccessive, che poi alla fine sono rappresentate da quello che è il consiglio direttivo dell’associazione dell’AFaBI, si possono trarre alcune considerazioni positive relative all’attività svolta in questi anni: innanzitutto si è percepita una maggiore sensibilizzazione del territorio sulle tematiche della sordità, sono state messe in circole risorse attinenti le tematiche della sordità, c’è stata una crescita graduale e costante di partecipazione da parte di Comuni ed Enti che si sono aperti ai bisogni dei cittadini audiolesi, sono emersi elementi di conoscenza sul reale status dell’integrazione scolastica e sociale degli audiolesi in assistenza, si è proceduto alla rilevazione costante delle esigenze del territorio a vari livelli, ma soprattutto si è avuta una maggiore competenza degli operatori nell’affrontare gli interventi nell’ambito di progetti integrati e condivisi. Inoltre c’è stato un miglior e maggior aggancio con l’intervento per la scuola anche per la formazione congiunta degli operatori. Queste ultime considerazioni mi permettono di allacciare quanto detto in questo brevissimo intervento su quello che è il tema riguardo l’aspetto odierno: la messa in rete è molto importante, è molto importante che la famiglia che si trova dinanzi a un problema non si trovi ad avere tutte quelle frecce, destra, sinistra, su e giù, dove a un certo punto poi non capisce da che parte deve andare, o meglio se le frecce ci sono, destra, sinistra, sotto, sopra, comunque sia ci deve essere la possibilità da quel punto di potere andare in un’altra isola così come molto bene è stata identificata in quel poster che avete tutti quanti ammirato e del quale ringrazio ancora Chiara e Alberto per la magnifica realizzazione. >
Carla Maria Ossola, psicologa < Io taglierò molto il mio discorso al di là di un’introduzione che permette di comprendere quali presupposti nella relazione e nell’interazione con l’ipoacusico, bambino, preadolescente, adolescente o adulto che sia e poi presenterò brevi punti tematici, non coordinati se non da un nesso logico tra di loro per dare spazio agli altri. Ringrazio l’AFaBi per la sua attività, per avermi coinvolta nelle varie iniziative, ringrazio la Provincia che molto ha fatto e che ospita questo convegno e mi pare di potermi direttamente collegare al concetto cardine di quanto fino a ora è emerso, vale a dire la centralità della persona, l’ipoacusico come persona globale, quindi la cura e l’attenzione va rivolta alla persona nella sua globilità al di là del deficit sensoriale che comunque va, sì, considerato, non per discriminare nel nome di una diversità che non si vede, oltretutto, all’inizio, ma per permettere alla famiglia stessa e ai vari operatori che con essa devono interagire di affrontare in modo adeguato le fasi di sviluppo della persona, che certamente non analizzeremo adesso, nei vari contesti in cui questo processo si esplica e si compie. Quindi, se siamo convinti di ciò, questo significa anche essere consapevoli che la sordità di per sé non coinvolge gli ambiti evolutivi della persona la cui situazione psicologica si caratterizza dalla crescita interiore che rimanda e dipende dalla storia relazionale, infatti ciascuno è com’è proprio per la qualità di relazioni che sono intercorse dalla sua nascita. Quindi riveste grande importanza quel contesto che dovrebbe essere sufficientemente buono proprio per evitare che l’orecchio deficitario abbia un’incidenza tale nella vita psichica da vedere l’ipoacusico identificato con la disabilità stessa, quindi dalla qualità delle prime relazioni con la mamma, con il papà e anche nella interscambiabilità dei loro ruoli dipende l’acquisizione di quella fiducia di base che sarà punto di forza per affrontare le difficoltà che la disabilità pone e per permettere il cambiamento. E le immagini interne, interiorizzate tramite le relazioni interpersonali significative, a incominciare da quelle con i genitori ma anche, ben vengano, con le sorelle e con i fratelli e tramite le varie esperienze con il mondo esterno, tutto ciò ci permette di costruire nella processualità che è intrinseca, la propria immagine di sé: più questa immagine si configura come quella corrispondente a persone che sono capaci di fare, di pensare, di stare e di operare con gli altri, più si fonda e cresce la fiducia nella propria possibilità e capacità d’intervento, ma – e qui veniamo, credo, al cuore della questione – lo stare con l’aspetto relazionale pone al centro la comunicazione, il mettere in comune, l’apertura all’altro permette il riconoscimento della propria individualità, dell’identitità e nel contempo nella distinzione, che non è la diversità dell’orecchio, ciascuno è un distinto nella sua completezza rispetto agli altri. E quando dico "comunicazione" sono consapevole che dobbiamo definirla nella sua qualità e non intendo solo riferirmi all’oralità e ai suoi vari livelli, includenti anche l’integrazione del segnare e /o la lingua codificata della LIS, ma piuttosto all’aspetto emotivo che integra e arricchisce il comunicare alla grande espressività di cui gli ipoacusici sono capaci e che ci fanno capire più del messaggio, il per sé il mondo esterno, la comunicabilità della persona che ci parla di sé anche se ci sta dicendo, apparentemente, una comunicazione specifica, sapendo mettersi più di ogni altro in gioco. E questi concetti che ci troviamo a rilanciare da anni addirittura vengono molto ma molto da lontano, li troviamo espressi in sant’Agostino addirittura che ritiene che la lingua dei segni è una lingua a tutti gli effetti e in Leonardo da Vinci nel libro sulla Pittura dove scrive: "tu, pittore, hai dei maestri, hai dei maestri che meglio di altri riescono a adeguare ai pensieri i movimenti, ai sentimenti il volto, osservate i sordi, imparate dunque dai sordi, sono maestri dell’espressività". Quindi l’osservare, già l’intervento che mi ha preceduto prima ha messo in rilievo l’importanza degli occhi, nel guardarsi in faccia per leggere gli occhi, questo sempre e comunque quindi l’osservazione ci aiuta a capire le sensazioni dove l’adulto docente sappia porsi e mantenersi in una posizione che sia effettivamente de-centrata e da cui scaturisca l’apertura all’altro che è fondamentale nel considerare la persona nella propria globalità avendo così la possibilità di conoscere tutte le creatività e le sue potenzialità se non ci fermiamo su una forma solo parziale di comunicazione. quindi vorrei precisare i punti espressi nell’esperienza specifica dell’iter scolastico: dobbiamo sicuramente fare in modo che nel processo di apprendimento, che nella scuola comune si basa sulla parola, dobbiamo fare in modo che non finisca nell’isolamento comunicativo e relazionale promuovendo un intervento educativo e uno didattico che siano correlati e reciprocamente conseguenti. Allora, tenuto presente quanto abbiamo detto sulla formazione della propria identità e dell’immagine che si ha di sé, dobbiamo incominciare a chiederci chi è il bambino ipoacusico in questo caso che arriva a scuola. Abbiamo sentito che la sordità non è una per tutti, ma è la storia personale di quel bambino, è la storia della sua famiglia che caratterizza il deficit uditivo e questo determina anche il tipo di bambino che non è solo un alunno, un prototipo, ma è un bambino con la sua individualità e identità che si appresta a iniziare l’iter scolastico. Ha potuto compiere esperienze nella sua esperienza simile a quelle dei coetanei: le sue relazioni sono state circoscritte solo alla famiglia, oppure amici, altri compagni di gioco, ha conosciuto divieti protettivi determinati dalla preoccupazione di rischi che gli possono occorrere e magari ha riconosciuto concessioni riparatorie che in un certo senso e involontariamente possono averlo ostacolato nella propria identità, per esempio: questo per te è pericoloso, questo "per te" discrimina, anche se involontariamente. Il figlio è educato alla oralità o lo è parzialmente oppure nella scuola di oggi ha un’altra origine etnica e linguistica, è a costante rischio di isolamento e può sperimentare una situazione di forte disagio: arriva come tutti, ma con un significato diverso, privato della madre e del padre, però questo forse, dobbiamo verificarlo, potrebbe significare che questo bambino si sente privato dell’orecchio che ha incominciato a sentire per lui e della parola altra che comunque l’ha introdotto in un mondo che forse è stato protetto e per alcuni, magari, sempre per amore, blindato o superblindato. Quindi dipende dalla natura delle relazioni intercorse, viene affidato da altri da cui deve dipendere ma sente, e come, il pericolo dell’incomprensione; è investito di responsabilità di cui dovrà rendere conto, si trova in un ruolo nuovo, quindi ci sono indecisioni, paure, ansie, capricci, anche oppozizioni che veicolano e comunicano i bisogni emotivi che vanno accolti e capiti se non vogliamo che nascano i cosiddetti "casi difficili" che si possono incontrare dalla materna fino all’uscita della scuola media superiore, quindi il bambino incontra regole nuove e nascono conflitti tra sé e i propri bisogni. Se non c’è questa attenzione particolare, il bambino come fa? pone il problema e formula la sua risposta agendo, se non viene capito o sentito diversamente, agisce, quindi se è messo in condizioni di non capire, per esempio magari ascoltare da un registratore, strumenti che oggi vengono utilizzati nell’interazione didattica normalmente, ma se c’è il bambino ipoacusico noi dobbiamo saperlo inserire, integrare, quindi non utilizzando semplicemente questi mezzi, oppure se l’insegnante cammina avanti e indietro, si sposta fra la classe come comunemente si potrebbe fare, allora il bambino esprimerà il disagio che gli deriva dall’impossibilità di sentire e capire e quindi di non potere seguire e rispondere con gli altri compagni muovendosi o verso la maestra o verso l’amico che penserà di aiutarlo, e non dovrà essere ripreso o individuato o, peggio ancora, inquadrato come colui che ha problemi di carattere o di comportamenti. Quindi grandi attenzioni a quelli che sembrano aspetti banali. Come collocare un banco dietro l’altro, schiena contro schiena, muro, oppure no; come disporre materiale didattico, soprattutto quello fotografico. In genere sulle pareti delle aule scolastiche ci sono delle belle aste a tre quarti superiore dell’altezza, così non si superano, ma se deve toccare, vedere per potersi esprimere come si fa? ma questo vale per tanti altri bambini, naturalmente, quindi è importante sapere prendersi cura e permettere a questo bambino di essere collaborativo, di raggiungere la collaborazione nella relazione con l’empatia iniziale. Abbiamo già parlato di decentramento nella relazione e qui, nel caso della scuola, significa che essa è una relazione comunque a distanza ravvicinata e frontale perché se non fosse tale qualunque comunicazione passante nella classe, in tutte le modalità che le dinamiche presenti determinano, sarebbe fuori dalla portata di quello specifico alunno che, pendendo dalle labbra di altri, compagni e docenti, potrebbe trovarsi solo in un contesto vociante e pure rumoroso a costante rischio di isolamento, quindi una prima considerazione è necessaria, un processo di integrazione passa dal coinvolgimento di tutti i compagni nella comunicazione che deve trovare altri strumenti espressivi oltre la parola, proprio per permettere al bambino di comprendere il linguaggio o di migliorare la sua esposizione verbale. Io direi che va considerato che l’attività didattica, nel rispetto delle diversità, per garantire a tutti l’opportunità di apprendere, deve essere individualizzata e quindi concordata con tutti gli operatori che seguono il bambino nella abilitazione o riabilitazione dalla logopegia, alla psicomotricità etc., quel filo comune, una comunicazione tra tutti gli attori, ciascuno bambino ha una specifica attività linguistica comunicativa sul piano orale e sul piano scritto da cui non si può prescindere quando si predispongono prove sia orali che di letto scrittura se non si è ancora strutturata la capacità di esprimersi attraverso frasi grammaticalmente corrette, quel bambino potrà accedere a testi che la presuppongono, quindi se non si fa una preparazione è inutile richiedere questo, questo perché il come fare è altrettanto importante del cosa fare, anzi, lo svilisce o lo squalifica, questo dobbiamo sempre tenerlo presente. Quello che conta, quindi, è la qualità del contesto relazionale che si potrà creare nella classe poiché esso definisce non solo ciò che i bambini potranno imparare, ma la possibilità di una loro evoluzione, se glielo permettiamo concretamente o no. >
Gemma Tagliabue, ass. sociale, Comune di Cassano Magnago, ufficio Piano di Zona Gallarate
< Si è detto prima che è stata istituita la legge 328 che è una legge quadro per la riorganizzizzazione dei servizi sociali, c’è stato richiesto come operatori sociali di studiare il territorio di appartenenza e di programmare servizi sociali del territorio in maniera uniforme. Una novità sicuramente per i servizi sociali che hanno sempre avuto la caratteristica di essere fatti dal comune per i propri residenti tenendo conto solo della propria specificità e territorialità’. Con l’avvento della Legge 328 sono stati fatti questi distretti che corrispondono al distretto sanitario, per quello che riguarda il mio comune il distretto di Gallarate, quindi siamo 8 comuni e lavoriamo insieme, questo significa studiare il territorio, verificare le esigenze, i servizi esistenti e programmare i nuovi servizi in maniera tale comunque da offrire una gamma di servizi abbastanza uniforme. L’altra novità della 328 è stata quella del lavoro con il terzo settore, ciò significa tutta quella parte di volontariato, di privato sociale che fa un grande lavoro nel campo socio – assistenziale, ma che fino a ora non ha mai avuto un grande riconoscimento e direi che è molto interessante questo discorso legato al volontariato. Quindi parlando dell’AFaBi credo che sia una maniera nuova di rivalutare le associazioni che lavorano nei campi specifici. Noi tutti distretti abbiamo fatto questa stesura specifica, sono 12 piani di zona dove ognuno ha stilato quello che poteva essere l’esistente e le cose importanti da fare e abbiamo iniziato a lavorare su questo progetto. Le cose che ha già accennato l’assessore Bongini, ci sono dei compiti istituzionali che abbiamo dovuto mantenere, però il nostro distretto ha dato molta rilevanza al discorso dell’integrazione lavorativa delle persone diversamente abili, quindi noi abbiamo istituito un servizio SIL a livello di distretto e stiamo lavorando molto bene su questo campo. E’ un fiore all’occhiello a cui teniamo molto: la scuola e la formazione, l’inserimento lavorativo Se non si crea un buon ambiente di lavoro per una persona non fortunata, poi si rischia davvero di perdere le capacità, la possibilità e la realizzazione di queste persone di trovare una collocazione. Io ritengo che questo è un discorso che tocca un po’ tutto l’essere umano, io volevo precisare che sentivo fare dei discorsi dalla psicologa prima sull’importanza del tenere conto delle specificità, io credo che dovremmo imparare a tenere conto di tutte le specificità, ultimamente sul posto di lavoro mi trovo spesso ad avere colleghi "normali" che hanno miliardi di problemi di comunicazione con gli altri, forse bisognerebbe imparare che l’essere umano ha una sua specificità e bisognerebbe lavorare sempre insieme, non è una questione solo del diversamente abile, per cui comunque abbiamo istituito questo servizio: è un servizio proprio all’uscita dal circuito scolastico, c’è una presa in carica del nostro servizio, abbiamo psicologi, assistenti sociali e educatori, che si impegnano insieme a studiare l’aspettativa e anche la capacità lavorativa del soggetto e a questo punto si fanno dei progetti individualizzati. anche questa cosa è a mio parere molto bella perché per ognuno si pensa al posto migliore, alla possibilità migliore, al trovare il collocamento giusto, perché se vanno bene queste cose anche il datore di lavoro poi non avrà una serie di problemi espulsivi. Le ditte sono molto collaboranti su questa possibilità. I comuni hanno istituito delle formule che sono anche economiche di sostegno che si chiamano tirocini lavorativi o borse lavoro, dove per un certo periodo si prevede l’inserimento della persona nell’ambiente lavorativo, quindi la ditta non ha spese, ma la spesa viene sostenuta dal Comune che permette questa sperimentazione. E’ un po’ di tirocinio pratico con un minimo di riconoscimento. Ci si pongono dei livelli di raggiungimento, si aumenta anche la cifra in base al livello che uno raggiunge e poi noi arriviamo alla sognata assunzione. Quindi rispetto a queste cose si tiene conto del posto di lavoro e dell’ambiente. Con Enrica, la dott.ssa Rèpaci, nel mio Comune noi abbiamo anche superato il numero dei disabili inseriti, cioè abbiamo chiesto una deroga alla convenzione perché avevamo fatto un inserimento e volevamo poi realizzarlo con l’assunzione, però molto spesso non sempre la buona volontà è sufficiente, bisogna fare qualcosa in più e prepararsi a queste cose non è così facile, bisogna lavorare molto: bisogna lavorare con l’ambiente di lavoro, oggi come oggi abbiamo tutti questi obiettivi da raggiungere per cui se la persona che ha una disabilità mi ritarda nel raggiungere l’obiettivo allora la metto un momentino da parte, questo fa scoppiare tutta una serie di contraddizioni. Per cui i servizi sul territorio devono essere molto pronti e molto preparati nel potere affrontare queste difficoltà che, a mio parere, sono della persona inserita ma sono anche dell’ambiente di lavoro. >
La dott.ssa Rèpaci commenta: < Oltre da essere in Italia, in regione Lombardia, provincia di Varese, noi siamo nella Regio Insubrica che è tutta quella terra che sta tra la Lombardia e la Svizzera contornata dai laghi. I nostri confinanti svizzeri di lingua italiana in fondo sono molto vicini a noi per continuità territoriale, per questo ci siamo mossi per coinvolgere in questo Convegno il Centro per persone audiolese di Lugano. Susanna Lancini è la responsabile di questo centro e ci illustrerà adesso il loro servizio.
Susanna Lancini – Centro per persone audiolese, Lugano < … sono molto contenta di essere qui oggi perché per noi questa rappresenta un’importantissima opportunità di scambio e di incontro con una regione molto vicina alla nostra, noi siamo svizzeri, siamo divisi dall’lItalia nella nostra frontiera ma a nord sono le alpi che ci dividono. Infatti con la nostra nazione noi condividiamo la nazionalità, certe leggi della situazione finanziaria, ma con l’Italia condividiamo la lingua e sicuramente in parte anche la cultura, e questi sono aspetti fondamentali. Noi negli anni passati abbiamo guardato con grande interesse che cosa succedeva in Italia, soprattutto del nord quindi più vicina al nostro paese, siamo andati a visitare la scuola di Cossato, siamo andati a vedere il reparto dell’ospedale di circolo di Varese, al centro della signora Ripamonti a Milano, ma anche per quello che riguarda le nostre attività spesso ci siamo riferiti a persone competenti che venivano dall’Italia. Per esempio anni fa quando abbiamo organizzato la formazione per interpreti in lingua dei segni tutti i docenti provenivano dall’Italia, la stessa cosa valeva anche per il corso per docenti in lingua dei segni. Ma arriviamo al dunque, quindi all’argomento di oggi, mi hanno chiesto di presentarvi il centro per cui lavoro, quindi il centro per persone audiolese e la realtà delle persone audiolese in Ticino, cosa si possono aspettare i genitori, le situazioni presenti sul territorio, le leggi etc.. chiaramente oggi possono darvi solo una informazione superficiale visto che gli aspetti che si potrebbero trattare sono tantissimi, inizio presentandovi il centro per persone audiolese, sicuramente non vi dico niente di nuovo se vi dico che è molto importante avere un centro specializzato di riferimento e questo è quanto è stato, se volete, riconosciuto nel 1985 dai nostri tre enti fondatori, tre enti attivi a livello svizzero dell’opinione che sarebbe stato molto importante avere anche in Ticino un centro per i problemi dell’udito e hanno formato questo centro per le persone audiolese. Quello che abbiamo visto nel tempo è che gli obiettivi previsti dagli statuti 20 anni fa sono stati mantenuti, però nella pratica e nella realtà si sono aggiunte una serie di nuove attività proprio per rispondere alle richieste delle persone audiolese, delle loro famiglie, però anche della scuola e delle associazioni. Passo brevemente a quelle che sono le attività del centro per persone audiolese, avevo preparato qualcosa di scritto, però ho preferito rinunciare proprio perché questo comportava delle difficoltà di comprensione. Uuno degli obiettivi principali è l’informazione, che è mirata alla popolazione in generale, quindi a chiunque sia interessato, mirata alle persone audiolese, ai genitori, però anche a associazioni, a scuole a chiunque desideri approfondire un qualsivoglia argomento legato alla perdita dell’udito. Abbiamo un servizio sociale, che non era previsto dagli istituti, ma proprio su richiesta delle persone audiolese adagio adagio si è creato assumendo un’importanza sempre maggiore e posso persino dirvi che pur non essendo adesso negli statuti fondamentalmente è la prestazione che richiede più tempo dal punto di vista del tempo complessivo che abbiamo a disposizione. Collaboriamo anche a livello di progetti, possono essere progetti di tipo molto diverso, nel senso che spaziamo dai bambini agli anziani, dai deboli d’udito ai sordi, dalle persone oraliste a quelle bilingue, possono essere progetti legati alla scuola, case per anziani etc., quindi siamo dei tutto fare, rispondiamo delle richieste e a seconda sviluppiamo anche qui dei progetti. Gestiamo il servizio interpreti, come vi ho già detto: abbiamo creato la formazione per le interpreti in lingua dei segni e tutt’ora gestiamo il servizio interpreti per cui una persona sorda che desidera una interprete per un colloquio, una visita medica, un congresso si rivolge a noi. Collaboriamo con le associazioni, questione molto importante soprattutto per un territorio piccolo come il nostro, anche perché è solo collaborando con le associazioni che effettivamente si può portare avanti un discorso che porta veramente qualcosa. Come vi ho già detto la prestazione che chiede più tempo è quella del servizio sociale, da una parte c’è qualcuno che pensa: ah, voi siete ricchi in Svizzera, questo è vero, ma anche la Svizzera non è risparmiata negli ultimi anni da seri problemi a livello socio – economico e questosi ripercuote tantissimo sulle persone audiolese. Mi sembra di avere capito prima che in Italia ci sono dei posti riservati per le persone disabili, in Svizzera non esiste niente di questo genere: per cui una persona anche sorda profonda che in Svizzera cerca un posto di lavoro, si deve candidare esattamente come qualsiasi altra persona udente ed è chiaro quindi che in un momento di difficoltà, dove la disoccupazione sta aumentando, per le persone sorde è ancora più difficile riuscire a mantenere il posto di lavoro, ma soprattutto anche poterne trovare uno nuovo e all’interno del nostro servizio sociale penso che una delle attività principali è proprio cercare di accompagnare, di sostenere le persone sorde nella ricerca di un posto di lavoro, anche perché chi non ha un posto di lavoro questa realtà comporta chiaramente delle conseguenze non indifferenti, sia a livello assicurativo, che finanziario che familiare, per cui una persona in disoccupazione diventa una persona che spesso riscontra difficoltà in tantissimi ambiti della sua vita, per cui la presa a carico può risultare molto impegnativa. Il nostro centro ha a disposizione per fare fronte a tutta questa mole di lavoro, 270%, due tempi e mezzo, assume una psicologa, due assistenti sociali e una persona che si occupa più della parte amministrativa. Il servizio è riconosciuto dall’ufficio federale delle assicurazioni, quindi dalla Confederazione Svizzera, che copre più o meno il 60% delle nostre uscite, mentre il rimanente 40% è coperta dal Canton Ticino, pensavo che anche questa potesse essere una informazione utile perché il nostro centro viene supportato dalla confederazione e dal cantone finanziariamente. però è possibile che non saremo al riparo da tagli nei prossimi anni, quindi forse già a partire dal 2005. Ovviamente in Ticino non siamo gli unici a essere attivi, ci sono anche le associazioni: cioè associazioni di aiuto reciproco, c’è la atidu che è una associazione di persone deboli di udito, c’è la federazione svizzera dei sordi che raggruppa persone sorde segnanti e a questa associazione fanno parte due gruppi regionali, una del sopraceneri e uno del sottoceneri, che qualcuno di voi forse conosce perché a me è capitato incontrare alle assemblee persone che venivano da Como. Poi c’è una associazione di genitori soprattutto di bambini oralisti. Se qualcuno è interessato allacciare dei contatti per degli scambi con queste associazioni, io in pausa posso darvi un ospucolo informativo delle diverse associazioni affinché voi possiate avere un indirizzo a cui possiate rivolgervi. Il canton Ticino conta più o meno 315 mila abitanti, noi stimiamo più o meno il 10% della popolazione possa avere un problema d’udito, dalla persona anziana che non sente più bene e rientra perfettamente nella normalità dovuta all’età, fino al bambino sordo profondo. Se mettiamo l’attenzione sui minorenni noi abbiamo più o meno 2500 – 3000 parti all’anno in ticino quindi possiamo aspettarci che 2 – 3 – 4 bambini alla nascita all’anno nascano con un problema di udito, così vi fate un’idea con i numeri con i quali noi siamo confrontati, possiamo calcolare che più o meno 50 minorenni in Ticino hanno un problema di udito, quindi un numero relativamente esiguo. Prima si parlava dei test ai neonati: in Ticino dal 2001 tutti gli ospedali effettuano questo screening neonatale al terzo o quarto giorno di vita del bambino, per cui effettivamente è stato possibile anticipare la diagnosi per tutti i bambini e effettivamente intervenire molto presto. Una realtà con cui siamo confrontati in Ticino è che non abbiamo un centro medico specializzato, non c’è un centro universitario, non lo permette chiaramente la popolazione relativamente ristretta, ma abbiamo dei medici orl, che sono dei medici generalisti che si occupano di orecchio, naso e gola e visto proprio l’esiguo numero di bambini non possono neanche crearsi quell’esperienza che sarebbe tanto utile nel caso di bambini sordi. Si stanno proponendo dei progetti in questa direzione a livello nazionale, però è difficilissimo portarli avanti. Ho visto che in Svizzera tedesca e francese vengono portati avanti un po’ meglio, da noi si fa fatica perché essendo generalisti non si può avere nessun centro per dire: chi, come, quando e perché. I genitori che intendono approfondire l’argomento dell’impianto cocleare sono costretti a andare in Svizzera tedesca o francese perché nessun medico in Ticino effettua l’intervento dell’impianto cocleare. Qui chiaramente ci troviamo di fronte a un aspetto dove le alpi si fanno sentire parecchio, più in là il bambino quando farà i controlli si troverebbe in un universo dove parlano il tedesco e per noi sarebbe più facile trovarci su Varese o su Milano perché condividendo la lingua sarebbe tutto più facile. Una volta posta la diagnosi l’aspetto fondamentale è l’informazione ai genitori, che in quel momento si trovano in una situazione molto difficile, non sanno da che parte andare, mancano completamente d’informazione perché probabilmente non si sono mai occupati del problema d’udito fino allora, e per questo motivo noi, come centro di informazione, siamo anche un punto di riferimento per i genitori. Se vi parlo di genitori di un bambino sordo che hanno intrapreso una via e solo 10 – 15 anni più tardi sono venuti a sapere che ci sarebbero state altre possibilità, non vi parlo di niente di nuovo, almeno penso. L”obiettivo del nostro centro di informazione è quello di accogliere i genitori accompagnarli soprattutto all’inizio dandogli delle informazioni, delle informazioni generali, per cui su tutte le possibilità che ci sono, proponiamo, se lo desiderano, quindi reagiamo sempre a un loro desiderio, bisogno, se vogliono conoscere delle persone sorde adulte e, se vogliono conoscere le associazioni o desiderano approfondire l’argomento dell’impianto cocleare o del bilinguismo o oralismo, reagiamo a quelle che sono le loro richieste, mettiamo in contatto per approfondire determinati argomenti. Il nostro centro è neutrale per cui se guardiamo il servizio sociale ci sono sia delle persone sorde oraliste che delle persone sorde segnanti che si rivolgono a noi e questa neutralità si mostra nell’informazione che cerca sempre di essere il più neutrale possibile, proprio perché riteniamo che come abbiamo già sentito più volte stamattina la famiglia è centrale, quindi è giusto che sia la famiglia a potere decidere quale strada intraprendere con il loro bambino perché sono solo loro che se e hanno avuto la possibilità di scegliere potranno portare avanti con più motivazione, con maggiore possibilità di identificarsi con quella strada lì, piuttosto che sono stati obbligati o quasi costretti a prenderne un’altra di strada. Per quello che riguarda la terapia abbiamo terapiste in Ticino che hanno fatto formazione in Svizzera e altre hanno fatto la formazione a Milano, questa circostanza comporta degli approcci a livello di logopedia leggermente diversi dall’una all’altra, comunque anche per la terapia vale lo stesso discorso che abbiamo fatto prima per i medici: essendo il numero dei bambini relativamente esiguo non abbiamo questo centro otologopedico altamente specializzato, che forse poi ha un sistema molto rigido di affrontare la terapia, però sono più specializzati, da noi hanno un sistema leggermente diverso e si cerca nella situazione con i genitori e con tutte le altre persone che fabbo parte dell’equipe che segue il bambino audiolese di trovare la via migliore. A livello scolastico noi in Ticino siamo un po’ l’eccezione per quel che riguarda la Svizzera, nel senso che se in Svizzera francese e tedesca esistono delle scuole specializzate per i bambini audiolesi noi in Ticino questa possibilità non l’abbiamo. C’è stata una scuola per i bambini sordi, il sant’Eugenio a Locarno fino agli anni 70 ma poi questo istituto è stato chiuso non tanto per la volontà dell’autorità politica o scolastica, ma piuttosto perché non c’erano genitori interessati e disposti a mandare i loro bambini audiolesi nella scuola che era un istituto privato lontano da casa, comportava che il bambino già a 6 – 7 anni dovesse stare via 7 giorni alla settimana etc.. non essendoci più bambini la scuola è stata chiusa: quindi in Ticino i genitori, contrariamente al resto della Svizzera, non hanno la scelta se mandare il loro bambino nella scuola specializzata o nel luogo del domicilio, nel suo contesto sociale quindi giocare con i bambini che ha già conosciuto etc.. per quel che riguarda il programma scolastico questi bambini che sono integrati in una classe di bambini udenti devono seguire il programma scolastico normale uguale a quello di tutti gli altri bambini, ma non sempre questo è facile perché se il bambino è sordo profondo seguire le lezioni diventa in alcuni casi difficile. E’ per questo che in Ticino abbiamo la figura dell’assistente di sostegno che fa lezioni individuali con il bambino cercando di anticipare gli argomenti che verranno trattati in classe e riprenderli dopo per vedere dove il messaggio non è passato completamente per riuscire a ripetere affinché il bambino audioleso possa seguire il programma scolastico. Ovviamente ci sono delle grandissime differenze da bambino a bambino, a livello di capacità etc., per cui le ore di sostegno possono andare da un bambino che ne ha forse 4 fino a un bambino che ha metà tempo, passa la metà del suo tempo scolastico individuale con una docente di sostegno solo per lui. Anche qui noi partiamo dalla situazione, per cui sarebbe assolutamente fuori luogo dare a un bambino che ha bisogno di più ore, poche ore, piuttosto che dare d’ufficio 15 ore a un bambino che riesce a cavarsela benissimo con quattro, rimanendo più integrato nel contesto sociale della sua classe. Succede che non tutti i bambini sordi malgrado questo sostegno riescono a stare dietro al programma scolastico, in questi casi i bambini devono passare a una scuola speciale, a effettivo ridotto, con un programma molto più individualizzato, si ritrovano in una classe con bambini che hanno altri tipi di handicap, a livello fisico, comportamentale o psicologico, però sempre direi che non è la regola per bambini solo sordi, solitamente se un bambino è solo sordo con il sostegno riesce a seguire il programma della classe, quella normale. E direi che i bambini che hanno come soluzione la scuola speciale, sono solitamente dei bambini che oltre al problema d’udito hanno comunque un altro tipo di problema. E’ comunque importante che anche la scuola speciale non è un posteggio, cioè anche lì viene sviluppato per ogni bambino un progetto e anche lì ancora, se l’equipe lo ritiene necessario, può beneficiare di ore in individuale proprio per potere meglio rispondere a quelli che sono i bisogni del singolo bambino. Il sistema di cui ho parlato può essere sia di orientamento oralista che bilingue, questo sempre a seconda della comunicazione che e per il bambino è più facile. Oltre alla docente di appoggio nel caso dei bambini bilingui può intervenire l’operatore culturale che serve un po’ da modello di identificazione per il bambino sordo ma anche modello di riferimento per gli altri bambini, trasmette la lingua dei segni in modo tale che il bambino sordo bilingue può utilizzare la lingua dei segni nel contesto scolastico, con i suoi compagni di classe che e hanno una infarinatura, anche se solo rudimentale, di lingua dei segni. Noi come centro collaboriamo molto a stretto contatto con la scuola, anche organizzando per esempio delle giornate informative per i docenti perché è chiaro che un docente che non ha mai avuto un bambino sordo in classe, forse non ha mai avuto contatto con una persona sorda, e da un giorno all’altro si ritrova un bambino sordo in classe, anche lì cerchiamo di accompagnarli e facendo parte dell’equipe allargata che segue il bambino e prima dell’anno scolastico con delle giornate informative in parte teorica e pratica di dargli una informazione di base. per quello che riguarda le prestazioni assicurative mi limito qui a qualce accenno: l’assicurazione invalidità perché da noi è l’ente che paga tutte le questioni legate all’handicap, paga l’apparecchio acustico, l’impianto cocleare, pagano le batterie e pagano anche tutti quei mezzi di cui una persona sorda può avere bisogno o a casa, il fax, il telescript o per il bambino a scuola questo impianto fm. per quello che riguarda una rendita, non so com’è regolato qui in italia, però generalmente le persone sorde in Svizzera non hanno diritto a una rendita perché una persona sorda, è vero, non può fare qualsiasi tipo di lavoro, però ci sono dei lavori che anche una persona sorda può fare benissimo e anche con grande successo e soddisfazione, perché anche questo è un aspetto molto importante. Se volete il concetto che sta alla base della rendita, almeno in Svizzera da noi, è il corrispondere una somma perché la persona non è capace, non è in grado di lavorare per riuscire a guadagnarsi la vita, visto che le persone sorde questo non è il caso, è difficile che possano beneficiare di una rendita. Solo in gravissimi casi l’assicurazione può dare una rendita parziale ma questo capita a persone che oltre alla sordità contano altri tipi di difficoltà. Io credo che come prima infarinatura sia sufficiente, sono sicura che per alcuni aspetti vi siete ritrovati in quello che racconto quindi vedete che anche se siamo al di là di una frontiera siamo diversi ma non troppo. > Slides in pdf QUI
Arianna Caccaro, direttrice ISISS Padova e Pres. Casa di Riposo Opera Pia Raggio di Sole – Vicenza < … io sono qui per parlare dell’Opera Pia Raggio di Sole che è un’istituzione che ha sede legale e amministrativa a Padova, invece la struttura operativa, la casa di riposo, è a Barbarano Vicentino in provincia di Vicenza. L’opera pia raggio di sole è un’ipab il cui scopo principale è di quello erogare servizi residenziali a persone anziane autosufficienti e non autosufficienti. Complessivamente la struttura ha 130 posti letto, di cui 100 per anziani non autosufficienti e 30 per anziani invece autosufficienti. Com’è organizzata la struttura? la struttura accoglie gli anziani presso tre nuclei residenziali al fine di rispettare necessità e caratteristiche del richiedente stesso, tali nuclei sono organizzati diversamente in base alla fascia di bisogno assistenziale dell’utenza. Presso ogni nucleo è presente, per gran parte della giornata, un responsabile socio assistenziale che prende in carico la persona sin dalla fase di pre- ingresso e riceve informazione sulla vita quotidiana del proprio familiare accolto presso la casa soggiorno. Il responsabile, in collaborazione con l’equipe della struttura, è promotore di progetti di miglioramento sia per quanto riguarda il lavoro all’interno del nucleo, sia per ambiti di recupero e riabilitazione degli ospiti assistiti. il momento dell’accoglimento è seguito in particolar modo dall’assistente sociale e dal responsabile di nucleo al fine di conoscere e accogliere adeguatamente ogni nuovo ospite. L’equipe, formata da tutti i professionisti della casa, quindi medici, infermieri, operatori assistenziali, logopedista, fisioterapista, l’animatrice, tutta l’equipe interagisce in base a ciò che viene definito in sede di unità operativa interna, quindi dal piano assistenziale costruito sulle necessità sanitarie assistenziali e riabilitative dell’ospite. ho descritto un po’ com’è organizzata la attività della struttura e arrivo ora al progetto specifico per anziani sordi: circa due anni fa, in sede di consiglio di amministrazione, è stato proposto questo progetto il quale ha come finalità la realizzazione di un nucleo operativo all’interno della casa soggiorno Achille de Giovanni, preparato e sensibile alle problematiche relative alla sordità, con particolare riferimento ovviamente a quelle degli anziani sordi. Già conosciamo la rilevanza sociale del problema degli anziani, i problemi di non autosufficienza, i problemi di isolamento, di solitudine etc., l’anziano sordo si trova a vivere queste problematiche doppiamente in modo amplificato perché si sommano le problematiche degli anziani in generale e quelle legate al loro handicap uditivo, anche i sordi già inseriti in case di soggiorno per anziani molto spesso si trovano ad essere l’unico sordo della casa di riposo e molto spesso gli operatori non sono preparati alle problematiche della sordità, ecco perché si è pensato a questo progetto: partiva da una constatazione dell’effettiva necessità di strutture con specifiche competenze, è stato fatto anche un questionario a livello locale sull’u.s.s.l. 6, che è l’u.s.s.l. di Vicenza, a tutta la popolazione sorda oltre una certa età e il questionario ha rilevato un interesse d avere nel territorio una struttura specializzata in questo senso. Non solo, il progetto è stato pienamente condiviso dall’ENS, sia a livello nazionale che regionale che provinciale, con la provincia di Vicenza. Successivamente è stato approvato da parte della regione Veneto e anche parzialmente finanziato ed è stato pienamente inserito nei piani di zona dell’u.s.s.l. 6 di Vicenza. Il progetto prevede quattro livelli di intervento: innanzitutto la formazione del personale. Abbiamo organizzato un corso che non possiamo dire un corso di lis, perché sarebbe stato un po’ troppo complicato, ma certamente un corso che sensibilizzava gli operatori della struttura ai problemi comunicativi e ai problemi psico- socio relazionali delle persone sorde e degli anziani. Questo corso è stato tenuto da un docente con una buona esperienza in questo campo, il quale è stato coadiuvato da due persone sorde che in questo modo mettevano in contatto gli operatori fin da subito con il modo di esprimersi, il modo di pensare, gli atteggiamenti, a conoscere insomma il mondo della sordità. Quindi, successivamente a questo corso base, vengono e verranno organizzati bimestralmente degli incontri specifici per approfondire certe tematiche e per riprendere sempre il problema comunicativo. Il secondo livello ha riguardato la ristrutturazione degli ambienti, occorreva adeguare alle necessità dell’utenza sorda delle stanze in modo che ci fossero dei segnali luminosi sia per quanto riguarda l’allarme ma anche la semplice presenza di un operatore all’esterno che deve entrare nella stanza, bussare sarebbe inutile perché la persona non sente, quindi un campanello luminoso che segnala la presenza di un operatore in stanza, o all’interno dei servizi o nell’anticamera dove c’è un piccolo salottino, quindi ci vorrebbero questi segnali che possono aiutare a sentire la presenza di chi sta per avvicinarsi alla loro stanza. inoltre si prevedeva il recupero di strumenti e servizi adatti alle persone sorde, per esempio una televisione con uno schermo sufficientemente grande e dotata di televideo nonché del videregistratore e lettore dvd per vedere dei film, inoltre delle interpreti per contatti con i medici, se l’anziano o la famiglia lo richiedesse abbiamo avuto modo di avere convenzioni con alcune interpreti del territorio che potessero intervenire. L’ultimo livello di intervento è qulo che ci proponiamo: di diventare una struttura polo per una rete di strutture, a livello nazionale, quindi per ogni regione o provincia che volessero percorrere il nostro percorso di formazione e di preparazione, quindi di creare una rete di strutture che possano accogliere a livello territoriale le persone anziane sorde che richiedessero questo servizio. Qui ho scandito le varie fasi del progetto, il progetto è iniziato più di due anni fa, solo l’anno scorso siamo riusciti a arrivare alla individuazione, abbiamo individuato i locali che dovevano essere attrezzati in questo modo, abbiamo organizzato il corso di formazione e abbiamo cominciato a pensare all’attività per la divulgazione di questo progetto. Nella seconda fase abbiamo adeguato materialmente la struttura, abbiamo acquistato gli strumenti e abbiamo preso i contatti con gli interpreti e abbiamo attivato il corso di formazione. In ottobre e in giugno abbiamo fatto due convegni, uno a livello più locale e uno a livello più esteso, per divulgare, sono state invitate tantissime persone sorde affinché venissero a conoscenza di questa realtà e ora siamo nella fase esecutiva, poco fa a ottobre abbiamo inaugurato questo nuovo settore della casa di riposo e siamo aperti alle persone che volessero richiedere la residenza da noi. Per ora siamo a una fase iniziale, abbiamo avuto vari contatti e vedremo in futuro di mettere a frutto questo nuovo servizio. >
Slides in pdf QUI
Alla ripresa dei lavori del Convegno dopo la pausa pranzo, la dott.ssa Rèpaci invita Chiara Giroldi e Alberto Sassi, autori dei due poster, ad intervenire. L’invito li ha colti di sorpresa …
Chiara Giroldi < io sono qua semplicemente perché mi hanno "fregato", comunque io ho 20 anni, studio grafica pubblicitaria a Milano, non so da dove cominciare, diciamo che riguardo il mio problema sin dalla mia formazione, quando ero piccola sia a scuola, non ho mai avuto dei problemi, alla scuola elementare, nella relazione con i compagni e con i professori o comunque con altre persone perché mi sono sempre stati vicino e mi hanno sempre aiutato nella comprensione, mi guardavano sempre in faccia, facevano in modo che io capissi e così via. Invece quando sono andata alle medie è stato il periodo più brutto della mia vita perché nessuno mi aiutava e tutti mi trattavano come una persona da isolare, non capivano il mio problema e io non sapevo come esprimermi per farmi capire. Quindi gli anni delle medie sono stati quelli più isolati, diciamo, e il fatto che mi mettevano sempre al primo banco è stata un’altra cosa che non mi ha aiutato a relazionare con i miei compagni perché ero davanti alla professoressa e dovevo concentrarmi per essere attenta. Dopo invece la mia vita è cambiata completamente anche grazie alle nuove protesi della Linear, grazie al mondo piu’ aperto delle superiori ho conosciuto il mondo della musica, della discoteca, il mondo serale, sono cambiata anche di carattere, sono diventata una persona più aperta a socializzare e non ho avuto difficoltà anche a spiegare qual era il mio problema a chi non lo conosceva, quando prima cercavo di nasconderlo il più possibile. Adesso che sono all’università non ho problemi a socializzare e a rispondere alle domande che scaturiscono dai curiosi per queste "scatolette" che mi vedono nelle orecchie. >
Alberto Sassi < io non mi sono preparato il discorso, devo dire che mi sono laureato in architettura l’anno scorso e ho avuto tanti problemi di sordità, la comunicazione con i miei compagni dalle elementari alle medie, perché avevo delle protesi che non mi permettevano di sentire bene, da quando ho acquistato gli apparecchi Linear il mio udito è migliorato, diciamo che ho trovato l’occasione di trovare contatto con i compagni universitari. A parte i problemi di sordità, io ho fatto l’università dell’architettura perché era piccola ed eravamo 20 studenti per cui ho avuto pochissima difficoltà per parlare con gli studenti, i professori e i compagni mi aiutavano a capire perché avevo difficoltà di sentire. Basta, non so dire altro. >
La dott.ssa Rèpaci invita a parlare Alberto La Bella ringraziandolo per le illustrazioni che le ha regalato. Le commenta lui stesso. Alberto ha studiato all’Accademia delle Belle Arti di Milano ma svolge un lavoro tutt’altro che adeguato alle sue capacità.
Alberto La Bella < … sono contento della nostra visita, mi fa piacere, sono una persona semplice, come voi, questi disegni sono riflettuti e aperti in altri problemi però ho sempre affrontato i miei problemi nel passato come comunicare da bambino alla madre, dalla madre comunicare al bambino. Sono divertenti questi disegni, simpatici, vivaci, aperti, però la mia abitudine sono un po’ forzate, non è facile pensare alle persone udenti, non è un problema per i sordomuti, io sono più aperto, ma noi siamo sempre più aperti, mi piacciono questi disegni perché possono aiutare a capire meglio e vedremo come: una madre è una donna forte e anche un padre forte può dimostrare a un bambino normale quando vuole in strade più aperte, però non è facile in questo mondo e per conoscere ostacoli la madre è importante per capire a un bambino, ma non vuole sentire la madre di abbandonare un bambino perché è più importante. Per esempio lui guarda all’esterno, gli piace, è curioso, la madre dice: "non guardare questo, questo è brutto" oppure per esempio a Milano, i movimenti sono brutti, diciamo, è un punto di riferimento. Il secondo disegno è più comunicativo: c’è la madre che non vuole che il bambino faccia tutto, ha paura, un figlio invece deve fare e dice alla madre: guardami sulle labbra perché devi capire che non lo devi fare, è un ordine di comunicazione. Lui pensa: non ti arrabbiare. La madre può arrabbiarsi ma capire tante cose diverse, ma se rispetta il bambino deve guardare in faccia una persona. Questo è un punto difficile da affrontare per un bambino apertamente. Quando una madre è contenta perché ha fatto tutto il possibile, quindi è stata felice, il bambino può capire in un attimo e poi riprende la strada della sua vita. Questo disegno vuole dimostrare che nessuno sapeva l’abitudine di un bambino, tu parli e lui se ne va, ma se vuoi parlare con un bambino non devi litigare, non va bene, l’importante è l’abitudine del bambino: mi parla, mi rispetta, mi guarda in modo chiaro, forse sente parlare chiaramente. Questa immagine parla dei problemi di scuola, lavoro, quello che è più furbo guarda sempre il quaderno di chi invece segue, quindi è uno stress. L’importante della comunicazione in prima persona non è facile perché in strada non si devono dimenticare dei rumori, questo disegno è un modo simpatico per fare capire la comunicazione. Qquesto disegno dice che il rispetto per una persona vuole dire parlare con questa persona ed essere disponibile. >
Federica Pea, psicologa, testimonianza < mi chiamo Federica Pea, sono di Brescia, vivo e lavoro a Torino come psicologa. Riguardo al mio percorso ho trovato alcuni punti di incontro con l’esperienza di vita che ha presentato stamattina Martina Gerosa. Quindi molto spesso e volentieri mi sono inventata qualcosa sul momento o, peggio ancora, pensavano che ero straniera. Poi come lei ho vissuto un particolare rapporto con la lettura, anche per me il carattere scritto ha rappresentato un punto di partenza per conoscere il mondo sotto certi aspetti, ho imparato a amare, a capire, a rappresentarmi tutto ciò che mi circondava. Sono stata molto stimolata dalla famiglia sia per quanto riguarda gli aspetti educativi che gli altri aspetti relazionali, sono sempre stati molto attenti per quanto mi riguardava e soprattutto tengo molto a sottolineare questo punto, avevano e hanno sempre avuto una grandissima fiducia nelle mie capacità e questo mi ha aiutata moltissimo a realizzare il mio percorso nella massima sicurezza. Per quanto riguarda il mio vissuto di persona sorda anche io l’ho vissuta in maniera molto serena, mentirei se dicessi che non ho avuto i miei problemi e le mie difficoltà, io sapevo di essere appoggiata, sapevo di avere delle capacità, sapevo di farcela, quindi sono riuscita a andare oltre, a superare la difficoltà e le varie problematiche che si presentavano. Sicuramente un supporto viene anche dalla presenza degli ausili tecnologici informatici, senz’altro hanno contribuito moltissimo a avere autonomia personale e anche professionale nel lavoro. L’ incontro con le altre persone sorde non è avvenuto in un momento preciso, ma nello stesso tempo posso dire che oggi ho una immersione dal momento che mi sono trovata ad affrontare un percorso di studi. La tesi, la mia tesi aveva appunto come oggetto il pensiero divergente delle persone sorde, il pensiero divergente riguarda il pensiero laterale, creativo, la cognizione artistica e qualcosa del genere, riguardante le persone sorde. Ho viaggiato per Padova, Roma, Parigi per realizzare le mie ricerche, l’ultimo anno di università l’ho fatto a Parigi, per me questa è stata un’esperienza molto grande per le mie possibilità. Sinceramente non avrei mai potuto immaginare, prima di questa esperienza, di potere riuscire a realizzare uno studio, una ricerca condotta in collaborazione con dei parigini, parlando e muovendomi solo e esclusivamente con la lingua francese. All’inizio ho fatto fatica a capire la lettura labiale, perché non si trattava solo di ascolto ma anche di lettura labiale diversa, chi parla francese o comunque chiunque non è italiano ha delle posizioni, delle vocali, delle consonanti diverse, quindi anche lì mi sono trovata a dovere interpretare diversi modi per tradurre il labiale, come un udente io mi trovavo invece dall’altra parte a sapere interpretare la lettura labiale delle parole. Martina stamattina ha parlato di barriere architettoniche, di barriere comunicative. Forse può essere divertente ascoltare la mia esperienza riguardo alle barriere comunicative: a Parigi, fra le altre cose, seguivo un corso di ergonomia, un giorno avevo bisogno di parlare con un segretario del corso, era al piano superiore della scuola, salgo e non vedo nessuno, provo a bussare alla porta dove c’era scritto "segretariato del corso", ovviamente non potendo sentire qualcuno mi ha risposto, ho provato a entrare timidamente, un po’ imbarazzata. Entro e non vedo nessuno, poi, osservando meglio, mi accorgo che c’è un uomo seduto al computer, ma questo uomo non mi prestava attenzione più di tanto. In quel momento ero lì che dicevo: cosa faccio, questo non mi presta attenzione, forse sto disturbando. Ho provato a chiedere qualcosa e quell’uomo ha percepito la mia presenza, quell’uomo mi ricordava il dio del mare, era grande, grosso, con la barba folta folta e non riuscivo a vedere la bocca! poi mi ha ripetuto ancora qualcosa, io gli ho detto: mi scusi, non ho capito. Questo uomo era cieco e mi sono detta: santo Dio, come ho fatto a non accorgermene, ero lì e lui ancora non mi aveva dato competenza comunicativa per farmi capire. Quindi alla fine siamo riusciti a cavarcela da questa divergenza di comunicazione tramite il computer, io scrivevo sul computer e lui essendo cieco ascoltava il computer e riusciva a interpretare le mie parole non scritte correttamente, mi rispondeva con il computer man mano. Quindi con queste piccole divergenze voglio dire che sicuramente molti di noi in un momento ci troviamo persi, non sappiamo se andare avanti o indietro, però io voglio dire: siamo uomini, siamo persone, perché non provare a fare un passo in avanti? bisogna sempre provare. Io vorrei illustrarvi che in qualità di ricercatrice ho incontrato durante il mio lavoro di tesi e anche dopo, ho lavorato per circa un anno per conto del centro nazionale delle ricerche a roma, durante questo lavoro di ricerca ho incontrato diverse realtà, vale a dire diverse persone sorde: bambini, adolescenti, adulti, quindi di età diverse con esperienze, percorsi e vissuti molto diversi fra di loro. Cosa voglio dire? per esempio c’erano sordi impiantati, con protesi o senza protesi, oppure altri tipi di diversità, ma il problema era quando si manifesta questa cosa? nella comunicazione e anche qui si parla di diversità. Chi è veramente bilingue vuol dire che ha una padronanza linguistica in questo caso i sordi hanno padronanza nell’italiano e la padronanza nella lingua dei segni. Questo è veramente bilinguismo. Ma a mio avviso non credo che non si possa parlare di bilinguismo per chi è bravo in una ma l’altra non riusce a gestirla in maniera competente. Il panorama è veramente molto vario: questo problema per quanto riguarda le competenze linguistiche è molto sentito nell’ambito delle ricerche. Io mi sono trovata in difficoltà nel valutare i bambini, gli adolescenti, gli adulti sordi perché utilizzavo dei test in italiano parlato e scritto. Ho provato a sottoporre questi test in lingua dei segni e vi posso dire che ottenevo delle risposte veramente molto diverse. Con questo voglio sottolineare che è fondamentale che chi fa ricerca o chi deve valutare una persona sorda deve tenere conto della sua lingua d’origine, quale essa sia, e aiutarlo a dare una risposta, corretta e dare veramente una risposta e non invece essere vincolata alle difficoltà. come dicevo prima l’incontro con gli altri sordi in senso stretto per quanto mi riguarda è avvenuto in tarda età, avevo 24 anni, prima di allora avevo conosciuto diverse persone e anche famiglie sorde, ma non avevo mai avuto occasione di approfondire un’amicizia, una relazione. La sordità si manifesta in modo ibrido, non è possibile identificare il sordo, non credo che sia eticamente corretto farlo, come si può ridurre il tutto all’essenza della sordità? come fare dal momento che è impossibile ignorare la presenza o meglio la vastità delle diversità che caratterizzano le persone sorde? diversità nella comunicazione, nel background familiare, percorso didattico, educativo, riabilitazione logopedica per tipo di perdita uditiva, vissuti della propria identità dell’essere sordo, insomma ci sono tanti diversi punti da considerare, quindi come rappresentare il sordo? e nello stesso tempo potremmo dire che all’interno della sordità esistono diversi gruppi appartenenti a diversi gruppi di pensiero aventi una differente filosofia, spesso e volentieri si sottovaluta che invece esiste un punto di incontro comune di scuole di pensiero. Questo potrebbe portare a un arricchimento reciproco. Ritornando alla mia esperienza colgo l’occasione per riflettere insieme a voi: che cosa mi ha portato il convegno? prima di tutto mi ha dato la possibilità di effettuare un confronto di esperienze che mi ha aiutata a dare luce ad alcuni aspetti che mi ponevo: per esempio io mi sono sempre chiesta fin da bambina, altrettanto mia madre con il mio fratellino rispondeva quando il bimbo piangeva durante la notte e anche quando era nell’altra stanza, e io mi chiedevo: ma io come faccio? Martina stamattina ha parlato di questo problema, appunto, potrebbe per voi sembrare un esempio di poca importanza, ma non potete neanche immaginare il riscontro che ha su di me l’ansia e l’angoscia da gestire delle madri di fronte al primo figlio. E queste problematiche sono degli esempi, ma ci sono altre esperienze da parte di altre persone sorde che vorrei conoscere e condividere, illustrare, un confronto è fondamentale. Poi per quanto riguarda la lingua dei segni l’ho appresa quattro anni fa, è da circa quattro anni che la sto imparando, averla appresa mi ha dato la possibilità di avere in primo luogo un supporto, un sostegno linguistico per partecipare alle varie manifestazioni pubbliche che prevedono la figura dell’interprete, altrimenti per me inaccessibili. Inoltre mi dà anche la possibilità di lavorare per e soprattutto con i sordi, "con" voglio dire insieme ai sordi, guardando le cose dal loro punto di vista, dal mio punto di vista, perché anche io sono una persona sorda. Io sono dell’idea che dovrebbe esserci una maggiore consapevolezza da parte dei professionisti che si occupano dei sordi, insegnanti, psicologi e quanti altri, che la lingua dei segni italiana potrebbe essere uno strumento relazionale, molto potente e efficace alla fine della buona riuscita dell’intervento. Io dico questo dal momento che non credo che una relazione mediata possa favorire e agevolare lo sviluppo delle competenze comunicative della persona sorda e non si tratta solo di comunicazione, in parallelo vengono chiamati in causa anche altri aspetti: quelli relazionali, quelli psicologici, quelli sociali etc.. se la persona sorda vede che riesce e soprattutto può relazionare direttamente con l’interlocutore sarà anche più sicuro e quindi anche più propensa a comunicare con gli altri. Attraverso la lingua italiana o attraverso la lingua dei segni, non ha importanza, non è il come, ma “che” si comunica. il discorso che ho fatto precedentemente punta sulle capacità del bambino sordo per fare di lui un adulto che sa utilizzare le diverse risorse comunicative, relazionali, sociali che ha a disposizione: promuovere la costituzione dell’autostima del bambino è fondamentale, credere in lui. E chi lo fa in primo luogo? la famiglia. La famiglia, dunque, ma da sola? non è possibile, non può farcela, ha bisogno dell’aiuto, del sostegno di altre realtà, ma chi la può supportare e coinvolgere? il discorso va affrontato, ma chi lo debba affrontare e come? allora vengono chiamati in causa servizi sociali e gruppi di psicologi e di lavoro scolastico e altri familiari: ma sono proprio queste diverse realtà che collaborando fra di loro, nel loro insieme, possono far funzionare un progetto, un intervento di un bambino, ma chi può coordinare, chi può supervisionare un intervento di rete? la persona, il gruppo indicato dovrebbe avere delle competenze sociali, più che direttamente attinenti al campo medico. Con questo voglio dire che stiamo parlando di un piano riabilitativo che deve essere seguito e per farlo bisogna tenere conto di una visione d’insieme che non trascuri nessun aspetto. Uno di questi aspetti è che non si tratta di intervenire solo sull’aspetto fisico, sarebbe molto riduttivo. Quello che manca è mettere in atto concretamente, parlando, una collaborazione di rete che sappia coinvolgere e coordinare l’appoggio di diversi operatori e appartenenti a diversi ambiti coinvolgendo anche persone sorde, coinvolgendo le testimonianze e le loro esperienze di vita, e collaborare per la buona riuscita di questi progetti. Io credo che sarebbe interessante parlare di queste problematiche anche attraverso internet, proponendo dei forum tematici, realizzando dei siti, un sito d’incontro tra gli specialisti del settore e le persone sorde per comunicare direttamente, scambiare realmente dei vissuti, delle esperienze, delle domande e ottenere delle risposte. Inoltre credo che sia fondamentale tentare un servizio di sostegno e di supporto psicologico per le famiglie, per accompagnarle nel loro percorso, sarebbe molto bello se qualcuno tentasse di promuovere dei gruppi costituiti da genitori di bambini sordi e dall’altra parte da persone sorde per scambiarsi fra di loro informazioni. Bi ringrazio dell’attenzione nella speranza che il mio appello non rimanga inascoltato. >
Repaci < Grazie ragazzi, potete accomodarvi. Io spero che il prossimo convegno lo possano organizzare direttamente questi giovani che sono cresciuti. Vorrei invitare Daniela Rossi. E’ uscito un libro a luglio quest’anno: "Il mondo delle cose senza nome" e l’autrice di questo libro è Daniela Rossi che ne presenterà uno spaccato. >
Daniela Rossi, psicologa, giornalista, scrittrice < … da questo libro che ho scritto, nel quale racconto le vicissitudini con mio figlio nell’arco di 9 anni, dalla sua nascita fino a oggi, voglio estrapolare una piccola questione che riguarda il mondo degli impianti cocleari. Quando io ho ricevuto la diagnosi di sordità di mio figlio mi è stato detto in due minuti che era un bambino sordo profondo senza possibilità di sfruttare gli apparecchi acustici, mi è stato detto tra l’altro che per il suo grado di sordità avrebbe potuto lavare i cessi con lo scopino. L’alternativa unica che mi è stata offerta è stato l’impianto cocleare, il tutto nell’arco di 5 minuti. Io in un mese e mezzo mi sono presa il tempo di valutare la veridicità di questa diagnosi, a Ginevra, Pisa e Roma sono state fatte tre diagnosi concondanti di sordità medio grave con ottimi residui uditivi, quindi diciamo che mio figlio che oggi vive con delle piccole protesi acustiche digitali della Linear, è un bambino che a sentire il primo otorino che l’ha incontrato poteva campare esclusivamente con l’impianto cocleare. Dall’uscita del mio libro io ho ricevuto almeno 100 mail di mamme disperate che si sono riconosciute in questa situazione, che ancora non hanno preso la decisione di fare l’impianto cocleare, ma alle quali la notizia della sordità del figlio è stata data con parole altrettanto brusche, è stata fatta una pressione psicologica enorme perché decidessero al più presto per l’impianto cocleare e si parla di bambini che sono quasi lattanti ancora. Io rispondo a queste mamme che e quando ho saputo della ricersa sugli impianti non ho potuto che gioirne come tutti perché la tecnologia ci aiuta in tutti i campi, ma qui il discorso è diverso: ho ricevuto qualche morbida contestazione da mamme che hanno preso la decisione di fare impiantare i loro figli, per il rispetto di queste mamme che hanno fatto una scelta irreversibile io non ho scritto sul libro tutto quello che ho visto e che so. Io auguro a queste mamme una vita serena e felice con tutto il cuore, ma mi domando: anche questa donna avrebbe potuto andare da un produttore di protesi digitali e fare vivere suo figlio senza handicap motori, che è importantissima per il futuro e anche per il suo futuro sessuale, perché la percezione del nostro corpo è importante perché quando tu cresci con una mamma che deve dirti: attento, non ti tuffare, vediamo se l’acqua è fredda, a calcio non ci giochi… Queste mamme vengono sbattute lì e non c’è uno psicologo che spiega a queste mamme come fare, questi bambini proprio nello sport possono trovare una loro forza e una loro sicurezza. Allora devo rispondere alle poche mamme che non mi hanno contestato, ma fatto sapere che sono felici per questo impianto, che anche io ho conosciuto tante mamme felici dei bambini con apparecchi digitali. Quindi va bene se il genitore prima di decidere si prende il tempo di informarsi prima di tutto sulla diagnosi perché dopo 10 anni sono tornata nello stesso posto dove la diagnosi fatta a mio figlio era stata sbagliata, voglio sperare innocentemente, ma non lo credo, ed è stata ripetuta la stessa identica diagnosi: "un bambino sordo profondo ma così profondo che questi apparecchi non gli servono a niente." Nell’ora in cui mi sono intrattenuta nella sala d’aspetto in questo centro ho visto altri casi di questo genere, mamme che entravano pensando di avere un figlio debole d’udito e uscivano piangendo con l’indicazione di effettuare questa operazione chirurgica. Io penso che sia un fatto gravissimo, che meriterebbe una inchiesta, ho ricevuto email di otorini che si sono informati, che si sono dispiaciuti e resi disponibili perché sono persone che valutano l’impianto per quello che è: una risorsa in casi estremi. Adesso che si voglia fare passare come la soluzione alla sordità quando sappiamo – e se i genitori non lo sanno ci vorrebbe sempre uno psicologo che glielo ricordasse – che il linguaggio non è attivare un interruttore, quindi una volta che tu hai rovinato fisicamente tuo figlio ma lo hai messo magari in condizioni di sentire, sei al punto zero perché comunque devi fargli piacere il linguaggio, amare il linguaggio, imparare a comunicare con gli altri, ci vuole una intregità di tanti aspetti che forse un bambino sbattuto in un ospedale, operato e tenuto sotto osservazione da gente con il camice, non ha, perché la sua serenità può essere compromessa pesantemente. Vorrei sottolineare questo aspetto: ci vorrebbero maggiori controlli e dei periodi di osservazione del bambino trascorsi con la collaborazione di persone che non siano esattamente quelle che fanno parte dell’equipe del chirurgo, perché queste naturalmente non fanno che osannarlo. E, ripeto, non ho scritto una parola contro l’impianto cocleare, non era quella la mia intenzione perché anche quando ho saputo che è stata ideata la telecamera che permette al cieco totale di vedere, se poi pero’ tolgono il bulbo oculare al neonato che e’ miope non me ne compiaccio più. Quindi spero che il discorso dell’arcipelago e la comunicazione, una mamma deve essere messa in condizioni di sapere tutto dell’impianto cocleare, di conoscere questi bravissimi chirurghi e sapere se ci sono delle alternative, una mamma può scegliere che cosa vuole per suo figlio, non essere costretta perché il figlio lava i cessi con lo scopino o come è stato detto alla mia amica: tu adesso non vuoi fare l’impianto, tornerai in ginocchio a chiedermelo e io non te lo farò, oppure il tale chirurgo che ha detto di me che io voglio fare di mio figlio un sordomuto, e mio figlio è un logorroico e lo sanno bene i miei familiari quanto parla. Certo con calma, senza fretta, nelle scelte delle sue possibilità, quando gli è permesso di parlare. >
Repaci <invito al tavolo Luigi Mattiato, consulente dell’ENS Milano che sarà con me il moderatore di questa seconda parte dei lavori. >
Luigi Mattiato, consulente dell’ENS di Milano < Nel 1994 ho cominciato a conoscere i sordi organizzati, prima li avevo conosciuti come persona che condividevano la mia esperienza lavorativa, pochi mesi dopo abbiamo provveduto a disdettare come ENS una convenzione che non esisteva più da diversi anni con l’Università di Milano che impegnava l’ENS a mettere un intero piano a disposizione dell’università per realizzare il centro di bioacustica, il nostro presidente non lo sapeva che da anni non esisteva più questo centro per mancanza di finanziamenti, mentre esisteva una attività volta a garantire la canalizzazione verso taluni professionisti delle forniture protesiche. Noi non abbiamo mai avuto un’informazione all’ENS resa da cattedratici, da persone che si presume facciano business, sull’impianto cocleare. Cioè i sordi hanno appreso così, da fornitori, da persone più o meno interessate, da medici più o meno convinti che cosa fosse un impianto cocleare. Che cos’è che manca nel rapporto civile della nostra regione? una informazione istituzionale che inquadri esattamente le soluzioni anche ai problemi della sordità. Quindi, benché ci separino abissi dal modo di dire e di pensare forse della nostra stimata amica Rossi, io ho apprezzato molto che lei abbia messo nero su bianco la sua indignazione per un trattamento che neanche nelle caserme delle legioni straniere si usa quando una persona ha dei problemi. Quindi si dovrebbe partire da una sensibilità che è di tutte le persone appartenenti al genere umano per fare chiarezza, per fare luce e eventualmente per aprire alle soluzioni più moderne le terapie, le cure, le riabilitazioni, le più sofisticate possibili perché è chiaro che chi ha un bambino sordo o con sordità, è bene che punti alla sua massima integrazione, punti a farne una persona che accetta la sua condizione, ma che non si senta assolutamente un’appendice del mondo degli udenti, non si appiattisca acriticamente a quello che noi non possiamo pensare che sia il modello dominante. Io ho accettato di lavorare di buon grado alla buona riuscita di questa associazione perché sono convinto che l’associazione più anziana in Lombardia abbia maturato competenza in materia di sordità che può essere utile alla fine di una ridefinizione dei rapporti perché penso che ognuno debba fare la sua parte veramente. E noi abbiamo l’obbligo e il dovere verso chi rappresentiamo di studiare per il terzio millennio la loro più dignitosa collocazione e cogliendo quello che ha detto la psicologa di Brescia e quello che ha detto la signora Martina, simpatica e brava, noi abbiamo l’obbligo di inserire ai massimi livelli decisionali le persone che sono appartenenti a questa galassia della sordità, non perché tutti i sordi possono puntare a queste brillanti performance, ma perché sono diventati dei professionisti e sono paritariamente in condizioni di dire la loro. La nostra Marisa Bonomi è invitata a prendere posto, psicologa a Brescia, collaboratrice a livello professionale dell’istituto delle Canossiano di Mompiano ma anche animatrice della associazione Monsignore Marcoli che è nata per realizzare sul piano del volontariato dei servizi rivolti alle persone con sordità specie nell’esercizio della funzione genitoriale.
Marisa Bonomi – psicologa psicoterapeuta < … ho preparato un discorso che farò un po’ fatica a contenere, spero comunque di non divagare troppo e spero soprattutto di fare un discorso chiaro. Mi è stato chiesto fondamentalmente di parlare dei genitori nel mio lavoro, i genitori che io seguio nell’associazione che ho fondato intitolata a questo personaggio di origine svizzere che è stato importantissimo nella storia del cattolicesimo bresciano agli inizii del 900. C’è una serie di premesse che voglio fare brevemente allo specifico di questi miei interventi presso l’associazione, perché l’associazione non è nata dal nulla: innanzitutto una riflessione su cosa significa avere un bambino o una persona sorda all’interno della famiglia. E’ in dubbio che la presenza nel nucleo familiare di un bambino sordo rappresenta una situazione difficile, che esige la mobilitazione di molte risorse perché la sordità rende sempre molto più complesso il processo comunicativo tra genitori e figli, interferisce con quella spontaneità e distensione, piacere che invece dovrebbero esserci nella comunicazione tra adulti e bambini, inoltre la sordità rende più difficili – e questo i genitori lo sanno bene – sia la percezione dei bisogni del bambino che il fornirvi risposte adeguate e questa difficoltà la vivono sia i genitori udenti, di bambini sordi, che i genitori sordi. Queste difficoltà possono essere anche talmente forti da superare le capacità e le risorse dei genitori, questo capita quando il genitore stesso ha ricevuto troppo poco, non ha creato quella base sicura sulla quale partita e fondare la propria vita, oppure può anche capitare quando il destino si accanisce crudelmente contro qualche famiglia, presentando una serie di problemi, di danni, di deficit a carico della stessa persona il che complica il rapporto tra adulti e bambini. Quando questo succede, che i genitori non hanno un serbatoio sufficiente di risorse dentro di sé, oppure quando la situazione è molto complessa per la presenza di più deficit, è indispensabile, sarebbe – meglio usare il condizionale perché purtroppo si parla di ipotesi – necessario che queste famiglie ricevessero un aiuto particolare, magari partendo addirittura dalla gravidanza del bambino per evitare in una ottica di prevenzione disturbi e funzionamenti devianti che con il passare del tempo diventano sempre più gravi. Non sto a indicarvi perché credo che sia un dato scontato come la letteratura sulla necessità di intervenire sulla famiglia, a favore della famiglia per aiutare il bambino, questa letteratura ormai è ampia, sappiamo che la presenza di una persona con un deficit all’interno di una famiglia rende questa famiglia chiamata "una famiglia a rischio nello sviluppo psicopatologico nel futuro". E in questa categorie di famiglie rientrano le famiglie dei sordi sia che la sordità sia a carico dei bambini che dei genitori stessi. Purtroppo sappiamo che il rischio di maltrattamento, di abuso, di gravi devianze aumenta se la famiglia presenta degli elementi a rischio nel proprio interno. Questa è la premessa che fa da sfondo al discorso sulla necessità di aiutare questo tipo particolare di famiglie. Devo fare ancora una premessa prima di parlarvi del mio lavoro nell’associazione Marcoli, è nata a Brescia da pochi anni perciò è molto giovane, le persone hanno alle spalle una lunga esperienza con i sordi, con le persone, con i bambini sordi. La Marcoli è nata un po’ come Eva dalla costola di Adamo: è nata dalla scuola audiofonetica di Brescia che è una realtà che credo tutti voi conosciate, abbastanza anomala, nel senso positivo e che risponde modificandosi e adattando i propri strumenti alle necessità, alle esigenze dei bambini sordi nel corso degli anni, perché la scuola credo che sia stata istituita ancora nella prima metà dell’800. Io ho fatto la consulente in questa scuola che ormai da 30 anni unisce bambini sordi con gli udenti, fa questa operazione della integrazione, lavoro in questa scuola dal 1985 – e, anzi, ringrazio pubblicamente la fiducia che la scuola, i dirigenti, le suore mi hanno sempre mostrato permettendo di mettere alla prova la mia formazione psicoanalitica sul campo della sordità che è stato l’argomento sul quale io ho concentrato i miei sforzi prosfessionali. Proprio attraverso il lavoro alla scuola audiofonetica ho capito sul campo, e non solo sui libri, l’importanza della famiglia per i bambini sordi, cioè per tutti i bambini ma in particolare con delle esigenze particolari e proprio grazie all’esperienza che io ho fatto alla scuola audiofonetica ho pensato con altre di dare vita a questa associazione Marcoli, che non va a sovrapporsi ovviamente né alla scuola audiofonetica né agli altri servizi che esistono sul territorio, ma dovrebbe andare incontro alle esigenze di quella fascia d’età e di quelle famiglie che non sono curate, tra virgolette, da nessuna istituzione pubblica sul territorio. Cioè lo sforzo dell’associazione Marcoli è offrire, in un’ottica di prevenzione, aiuto alle famiglie che abbiano i bambini da 0 a 3 anni, questa è la nostra fascia d’età sulla quale riversiamo i nostri progetti, i nostri sforzi e le nostre conoscenze. L’associazione eroga esclusivamente servizi di tipo psicologico, non ci occupiamo di lopogedia, di rieducazione, di problemi linguistici, ma la nostra operazione è sostegno alle famiglie. In questa associazione e tutta la progettazione di questa entità è fatta da un ristretto grupto di psicologhe tutte terapeute infantili che hanno larga esperienza nel settore o addirittura o attraverso un lavoro di equipe che è stato svolto anche negli anni passati. L’associazione lavora gratuitamente, senza scopo di lucro, su tre filoni, in tre direttive: il filone della ricerca (abbiamo organizzato tre convegni all’università Cattolica in tre anni sempre legati alle problematiche affettive della famiglia); lavoriamo, secondo filone, nella formazione degli educatori, nell’ottica di uno strumento di formazione psicoanalitica, e lavoriamo con le famiglie, sia singolarmente prese, se qualcuno chiede una consulenza, ma soprattutto con il gruppo dei genitori, ripeto con bambini 0 /3 anni, che abbiano bambini molto piccoli. E voglio parlarvi, tralasciando tutto il resto, di come viene svolto questo lavoro con famiglie che hanno bambini nella primissima infanzia. La prima cosa che mi è venuta in mente pensando a questa relazione è subito un flash tra due popolazioni di genitori che sono diverse, i genitori udenti e i genitori sordi loro stessi. I genitori udenti io li ho conosciuti, seguiti e, per quanto mi è stato possibile, aiutati nella scuola audiofonetica perché lì in pratica il 99% dei genitori di bambini sordi sono udenti, mentre alla Marcoli si sono raggruppati, questo esiguo gruppo di una decina di coppie di sorde che hanno bambini per lo più udenti e qualcuno ha anche bambini sordi. Voglio fare un flash che un po’ si ricollega a quanto diceva la dottoressa Rossi, riprende un po’ il suo argomento, sulla differenza di queste due popolazioni, come le ho esperite io, magari una collega che lavora a Reggio Calabria potrebbe riportare esperienze diverse. La mia esperienza è stata questa: in questi ultimi tempi dove io lavoro nella scuola audiofonetica con i genitori ho visto questi genitori più disorientati e più in difficoltà ad andare incontro ai bambini sordi, in difficoltà a focalizzare questi bisogni e la spiegazione che mi sono data è sull’onda di quello che diceva la dottoressa Rossi: cioè l’irruzione sul campo delle tecnologie ultime, soprattutto l’impianto cocleare, ha messo in grossa confusione i genitori. Perché? questo ausilio tecnologico che indubbiamente è una grossa scoperta, in certi casi probabilmente è l’unica cosa effettivamente necessaria o è la cosa più utile per un bambino sordo, queste innovazioni tecnologiche ormai sempre più nella nostra zona, parlo del bresciano ma credo che a Milano non sia per niente diverso, vengono presentate ai genitori immediatamente a seguito della diagnosi. Cioè il medico dice: il bambino è sordo etc. etc., c’è l’impianto cocleare che può permettere al bambino e qui varia la comunicazione perché c’è un medico che dice: il bambino non è udente e quell’altro che spiega l’impianto cocleare non come uno strumento risolutivo ma come un aiuto. Allora che cosa succede? che l’ultima generazione di genitori non ha neanche il tempo per metabolizzare, per elaborare il lutto di questa ferita narcisistica, che subito gli viene proposto qualcosa che in teoria dovrebbe cancellare quella roba terribile che è il deficit del bambino. Vissuto ovviamente da qualsiasi genitore come una cosa estremamente grave e invalidante per se stesso e per il bambino. Allora, questo tipo di comunicazione e la diffusione dell’impianto cocleare a tappeto, secondo me hanno messo molto in confusione i genitori e rende il lavoro dello psicologo molto più difficile rispetto agli anni passati perché i genitori non sono per niente sicuri di essere genitori di un bambino sordo e hanno tutte le loro difese sul considerare il bambino sordo o magari sanno dire: sì, mio figlio è sordo perché se gli tolgo l’impianto cocleare non sente più. Però nei fatti c’è un rifiuto della lingua dei segni, addirittura la proibizione per il bambino di frequentare altri bambini sordi e nei casi più estremi, lì a scuola, per esempio, assistiamo al fatto che seguendo i consigli o gli ordini dei medici il genitore pensa che per dare tutte le chance possibili al proprio figlio impiantato lo deve togliere dove c’è la integrazione come la nostra e portarlo nella scuola pubblica. Questo è il grosso problema che i genitori udenti affrontano con una sofferenza credo molto forte e che li rende diversi dal gruppo di genitori sordi. Non credo che in Italia, almeno per quanto conosco io, ci siano dei sordi che abbiano fatto l’impianto cocleare ai propri bambini sordi, mentre invece mi risulta che in Olanda ci sono stati dei casi e probabilmente saranno anche destinati a aumentare numericamente. Che cosa facciamo noi alla Marcoli per i genitori sordi che hanno bambini nel 90 per cento dei casi udenti e qualcuno anche sordi? quello che noi proponiamo è un pacchetto di incontri annuale (intendiamo per anno da settembre a maggio – giugno dell’anno successivo), gli incontri sono più o meno mensili, stabiliti in forma elastica e concordati un po’, si fa un calendario non rigidissimo. Chi partecipa e come si svolgono gli incontri? innanzitutto ci sono le figure fisse: io, che funziono da terapeuta, c’è l’interprete dei segni, una educatrice, che può essere una maestra del nido o della scuola materna e quasi sempre, a seconda, però, del programma che viene scelto, è presente una pediatra. Dall’altra parte ci sono il gruppo dei genitori sordi: una cosa che mi ha meravigliato è che io mi aspettavo le mamme e invece regolarmente arrivano in coppia, cioè le coppie sembrano molto motivate sulle problematiche dei bambini. Ci incontriamo in una stanza che non è per niente un ambiente medico (ci sono poltrone imbottite con piccoli divani con dei tappeti in mezzo) dove vengono lasciati i bambini con del materiale di gioco e da qui la necessità anche di avere l’educatrice perché può permettere in questa maniera ai genitori di partecipare meglio ai discorsi che si fanno insieme. L’atmosfera è estremamente informale e rilassata, ovviamente il genitore può interrompere, può chiedere, si può stabilire un argomento o introdurne un altro, c’è sempre l’interprete LIS perché qualche genitore ha difficoltà e credo che un po’ per tutti i sordi sia molto più semplice recepire il mio discorso o quello della pediatra attraverso un linguaggio che è più vicino a loro. Abbiamo fatto tre anni di incontri con dei genitori con dei programmi diversi: il primo e il secondo anno la presenza della pediatra era costante insieme alla mia, l’abbiamo dedicato a discutere, parlare, esemplificare la crescita dei bambini, si è parlato di allattamento, svezzamento, problemi di educazione sfinterica, i problemi del sonno, cioè tutti i problemi che qualsiasi genitore sordo – udente deve affrontare con i bambni. Il secondo anno per la verità abbiamo fatto una cosa ardita, cioè abbiamo introdotto non solo questi discorsi e questi problemi, che sono fisiologici nella crescita dei bambini, abbiamo cercato di affrontare questi problemi attraverso anche delle fiabe, non so se voi conoscete le fiabe per genitori della Alba Marcoli, e abbiamo introdotto qualche fiaba e abbiamo visto una certa rispondenza e interesse da parte di genitori che forse non sono abituati a sentirsi raccontare delle fiabe proprio per la difficoltà di comunicazione. Quali sono i problemi che sono emersi da parte dei genitori in questi due anni? i genitori hanno evidenziato delle necessità di essere informati sulla crescita del bambino e di essere aiutati a capire un po’ le tappe di sviluppo del bambino, e fino qua sono le esigenze di tutti i genitori. Una difficoltà che è emersa e che i genitori vivevano fuori, e qua ci sarebbe un lungo discorso e secondo me nessuno l’affronta, ma sarebbe una cosa bellissima poterlo risolvere o perlomeno tentare di risolverlo, è che i genitori portavano nel gruppo la loro difficoltà di capire e di farsi capire dal pediatra di base o dal medico della mutua, dell’a.s.l. che in teoria doveva seguire il bambino. Per cui per loro era una motivazione molto forte anche venire al gruppo perché c’era la presenza della pediatra alla quale il genitore poteva chiedere: ma il mio bambino fa questo, devo dargli questo alimento? perché ha i puntini in faccia, non sono riuscito a capire cosa mi ha detto il dottore. Ci sono dei casi dove i genitori (che avevano i nostri numeri di cellulari) in caso di ansia particolare del bambino sono andati nello studio medico della pediatra dell’associazione per chiedere un parere riguardante il bambino. Qui sulla sensibilità e la preparazione a interagire con i sordi da parte del personale medico, tralascio il discorso, ognuno può immaginarsi tutte le difficoltà, i sordi qua presenti lo sanno. Un problema che è emerso in questo gruppo, un altro problema tipico legato alla sordità, era la preoccupazione dei genitori sordi di avere un bambino udente. Per esempio mi ricordo un giovane padre molto sensibile che mi aveva parlato con dolore – direi – del fatto che la sua bambina guardava i cartoni animati, una cassetta di Walt Disney alla televisione e lui mi diceva che si sentiva tagliato fuori perché non essendo la cassetta sottotitolata non riusciva a seguire in contemporanea quello che in realtà seguiva sua figlia e poi erano saltate fuori una serie di riflessioni, anche da parte degli altri, sul chiedersi: come faccio a comunicare, mio figlio è diverso, uso la LIS? non sono tanto capace di parlare. Tant’è che quest’anno noi abbiamo organizzato un convegno all’università sui figli, sui problemi dei figli udenti dei genitori sordi. Questi sono stati gli argomenti presenti nei primi anni del gruppo. L’ultimo anno, a giugno, abbiamo affrontato un tema abbastanza temerario: la presenza della pediatra era solo a richiesta perché in realtà il corso, diciamo così, questi incontri, erano gestiti, oltre che dalle solite figure c’era una giornalista dell’"Avvenire" che si occupa è responsabile di una collana di libri delle Paoline fatta per i genitori che devono affrontare problemi particolari di un bambino: la separazione, la morte di un genitore o problemi scolastici. E con questa amica abbiamo basato degli incontri sul dare ai genitori libri adatti ai bambini 0 /3 anni, partendo dai libri più semplici, sensoriali, per arrivare alle prime fiabe. E questo è stato un programma temerario. Cosa non volevamo fare? non ci interessava minimamente, non avevamo nessuno scopo di arricchiere il lessico dei genitori, insegnargli a leggere etc., ma lo scopo fondamentale di questo intervento era aiutare il genitore a scoprire e a utilizzare uno strumento divertente, rilassante, per mettersi in contatto con il proprio bambino, cioè leggere il libro, sfogliare il libro con il proprio bambino, alla sera, prima di cena, a letto, volevamo aiutare il genitore a scoprire questo piacere. Non sto a indicarvi, perché lo sapete per esperienza, quanto la persona sorda sia in difficoltà di fronte allo stampato e al discorso perché è molto più facile parlare che leggere, l’impresa della lettura viene sempre vissuta con notevole ansia dai bambini sordi e dalle persone sorde, per cui proporre la lettura sembrava proporre qualcosa per definizione difficile per questi genitori. Abbiamo puntato, proprio per dimostrare al genitore che non ci interessava che lui parlasse bene o conoscesse o imparasse parole nuove, come se fosse a scuola, abbiamo puntato dei libri che esistono che hanno delle illustrazioni sulle quali il lettore può inventare delle storie. Per esempio una volta abbiamo portato dei piccoli libretti cartonati dove erano raffigurate molto bene scene di boschi con animaletti che vivevano nel bosco e uno, di volta in volta, poteva inventare la storia immagine per immagine. E noi abbiamo osato stimolare i genitori a inventare lì, mentre eravamo tutti insieme, una possibile storia semplicemente guardando le immagini. Questo è un po’ il tipo di lavoro che abbiamo fatto. Lavoro che aveva come fine quello di rafforzare, perché poi è questo lo scopo di tutto il nostro intervento, il legame tra genitore e bambino, creare, aiutarlo a scoprire e a portare avanti dei momenti di condivisioni piacevole di qualche attività, che non ha lo scopo dell’apprendimento, ma è semplicemente dello stare bene insieme. Questa attività poteva essere lo strumento per il genitore di insegnare anche la LIS al bambino, tenuto conto che molti erano udenti, è un’attività che rende tranquillo il bambino, normalmente i genitori si lamentavano della vivacità dei loro figli, leggere qualche cosa insieme può aiutare il bambino a contenersi, ci sono dei libri che possono essere utili sia al bambino che all’adulto. Qual è la difficoltà che è uscita da parte dei genitori? e qua bisogna riflettere: la difficoltà di cui i genitori si sono lamentati è stato un senso di inadeguatezza loro. Per esempio una signora mi dice, a proposito del libretto con gli animali sul quale bisognava inventare la scuola, chiede la parola e dice: "io posso inventare una storia, però posso sbagliare il nome dell’animaletto che è disegnato, allora mio figlio quando andrà a scuola e scoprirà il nome giusto dirà mia mamma è una stupida perché non sa neanche insegnarmi bene". Questo era, per fare un esempio, il senso di inadeguatezza che i genitori sordi possono tirar fuori – e questo è anche positivo perché si può anche porre rimedio – io ho cercato di porre rimedio dicendo che suo figlio, anche se lei sbagliava il nome dell’animale, si sarebbe ricordato per tutta la vita che aveva una mamma gentile e attenta a lui, che si divertiva leggendo con lui un libro e addirittura inventandogli la storia. Ll’ultima cosa che noi abbiamo fatto – non l’ultima per importanza – abbiamo seguito due casi molto difficili a casa, cioè abbiamo fatto visite domiciliari: queste visite sono state effettuate secondo il metodo dell’infant observation, abbiamo fatto dei filmati che sono stati presentati al nostro convegno e anche a un convegno internazionale di quest’anno a firenze europeo sull’infant observation, questi filmati fatti a casa di genitori sordi ci hanno fatto vedere come il genitore sordo è facilitato a accettare la sordità del proprio bambino rispetto al genitore udente, però per altri settori (l’andare dal medico, rivolgersi a delle strutture pubbliche, affrontare una difficoltà del bambino) per altri aspetti ha bisogno di aiuto. Con ciò chiudo e mi ricollego a quanto diceva la Federica Pea: il nostro lavoro testimonia la necessità che ci sia un intervento di rete, che ci siano più poli e possibilità che vengano coordinate fra di loro sennò gli interventi sono frammentari e frammentano l’immagine del bambino e del genitore, ma per queste famiglie, come tutte le famiglie a rischio, c’è la necessità di pensare, al di là della singola istituzione, a un supporto molto più allargato che oggi si dice di rete. Un’ultima informazione, gli ultimi convegni li pubblichiamo e sono già stampati. Potete richiederli all’associazione, sito internet: www.associazionemarcoli.it. >
Mauro Spadavecchia – lopogedista e insegnante specializzato, è una risorsa, oltre che del ministero dell’istruzione, anche dell’ENS di Milano. E’ un consulente dell’ ENS. < … vorrei congratularmi con l’organizzazione perché ho apprezzato davvero gli interventi, che mi hanno emozionato, interventi di persone sorde soprattutto, e anche della psicologa Ossola che ha fatto un discorso che io condivido in pieno; come condivido il discorso di Pea, noi dobbiamo accogliere quello che è il suo suggerimento: occorre che noi udenti, che pensiamo di lavorare con i sordi, per i sordi, che dobbiamo sentire da loro, dai sordi quelli che sono i reali bisogni che scaturiscono appunto dalle loro esigenze. Io vi devo parlare di una sperimentazione che ho potuto fare insieme sa altre persone grazie all’iniziativa dell’ENS. Pima di parlare di questa sperimentazione vorrei dire due cose riguardo alla mia esperienza nella scuola. E’ iniziata nel 1969 nella scuola speciale per sordi di piazzale Arduino e da allora io ho sempre insegnato ai sordi. Sapete bene che quella era una scuola speciale, però nella scuola speciale non si insegnava la lingua dei segni ma si insegnava a parlare perché il nostro compito di docenti era quello di dare la parola ai sordi. Ovviamente sappiamo tutti, chi conosce i sordi, che quando i sordi si trovano tra di loro emettono, creano, tirano fuori il loro linguaggio, che io chiamo il loro linguaggio naturale, quello dei segni. Che cosa è successo poi? lasciamo stare la mia esperienza di questo tipo, andiamo sul concreto oggi: che cosa avviene oggi nella scuola? nel senso che io sono passato dalla scuola speciale alla scuola normale, quindi sono attualmente un docente di sostegno, sostegno solo per i sordi. La casistica che si è presentata nella mia esperienza è varia: ho avuto da seguire come sostegno sordi solamente oralisti, sordi con il bilinguismo, sordi prevalentemente segnanti perché figli di genitori sordi, quindi esperienze diverse: esperienze di fronte alle quali ho dovuto volta per volta adattare le mie competenze ai bisogni di ciascuno dei ragazzi. Cioè, voglio dire, quando mi è capitato un sordo semplicemente oralista ho, sì, suggerito, cercato di suggerire alla famiglia che con la lingua dei segni si sarebbe potuto ottenere qualcosa di diverso, però ho solo suggerito, nel senso che ho seguito quella che era la volontà della famiglia. Vi dico, però, che ci sono delle differenze sostanziali sulla base della mia esperienza: quali sono gli obiettivi che si possono raggiungere con un ragazzo sordo solo oralista e con un ragazzo segnante? gli obiettivi sono diversi. Vi dico solo l’esperienza di quest’ultimo anno: con un ragazzo sordo segnante io riesco a far sì che questo ragazzo possa seguire il piano degli studi della scuola esattamente come i ragazzi udenti. Ci sono io come insegnante di sostegno, c’è anche una facilitatrice della comunicazione, vi assicuro che questo ragazzo svolge lo stesso programma della classe, è in grado di comprendere molto bene il linguaggio verbale. E questo lo voglio puntualizzare perché spesso si dice che la lingua dei segni annulla il linguaggio verbale. Io vi posso assicurare che non è vero, credo che abbiate avuto anche oggi qui la presenza di persone sorde che usano tranquillamente la lingua dei segni e parlano perfettamente bene con il linguaggio verbale, quindi non ci sono problemi di questo tipo. Quello che invece ho notato per i ragazzi che usano solamente il linguaggio orale è che spesso succedono queste situazioni, cioè i ragazzi che vengono molto aiutati dagli insegnanti o dagli assistenti alla comunicazione, che non sono in grado di seguire tutto il programma della classe, fanno fatica a seguirlo, che spesso presentano dei compiti di scuola che in realtà non hanno fatto loro, sui quali sono stati aiutati, e che poi vengono presentati agli insegnanti di classe come il loro compito e che vengono giudicati come compiti fatti molto bene, con 7 e 8. Secondo me questo non è il modo migliore di aiutare il sordo, comunque voglio dire che ciascuno segue la sua strada, chi ha scelto di seguire il metodo del linguaggio orale può tranquillamente andare avanti, ma deve anche sapere che ci sono dei problemi nello sviluppo del programma. Pochissime cose prima di passare al "dialogo attivo": quando un bambino viene iscritto a scuola si presenta con una diagnosi funzionale. Io vi posso dire che purtroppo anche nel campo medico non c’è molta competenza per quanto riguarda il sordo, noi abbiamo avuto esperienza di diagnosi funzionali fatte da neuropsichiatri dell’a.s.l. da cui emerge che il sordo ha potenzialità cognitive scarse o nulle. Ecco, io dico che questa è una dichiarazione assurda perché: come si arriva a dichiarare che il sordo ha delle potenzialità cognitive nulle? ve lo spiego io il perché: perché quella persona che ha fatto i test sulla persona sorda non li ha fatti sulla base del suo linguaggio, ma sulla base del linguaggio verbale, che probabilmente in quel momento il sordo non era in grado di sviluppare, di recepire. Pertanto la conseguenza di questo errato metodo di test porta alla conclusione da parte del neuropsichiatra che il sordo è praticamente un incapace. Il problema è che poi quando queste diagnosi funzionali arrivano a scuola gli insegnanti di sostegno dovrebbero essere in grado di saperle leggere, a volte non si accorgono neanche di questi errori e quindi vanno avanti con il loro programma che non tiene conto di quello che è scritto nella diagnosi funzionale. E questo perché avviene? perché gli insegnanti di sostegno, anche se specializzati, conoscono quasi per niente il problema dei sordi. Chi ha fatto dei corsi di specializzazione biennali sa benissimo che a proposito dei sordi si parla ne più né meno di una ventina di ore e si dice che esistono dei linguaggi alternativi e non esiste più nulla. io mi devo fermare perché la tematica è vastissima e occorrerebbero tanti convegni per trattare tutti questi argomenti che sono fondamentali perché se a scuola gli insegnanti non sanno queste cose i sordi non vengono trattati per quelle che sono le loro reali necessità. Yorno alla sperimentazione di dialogo attivo: questa sperimentazione alla quale ho preso parte attivamente è avvenuta grazie all’iniziativa all’ens che sa benissimo che i sordi hanno bisogno di parlare e quindi ha appoggiato sicuramente questa ricerca – azione che mira proprio a migliorare lo sviluppo del linguaggio verbale. Io salto la parte di premessa di tutto quanto e vi racconto quella che è stata la mia esperienza diretta a proposito di dialogo attivo: i primi contatti tra il sistema di dialogo attivo, che è ovviamente un programma informatico modernissimo, e il mondo dei sordi ha suscitato impressioni positive sia tra gli stessi sordi che tra noi operatori. Indubbiamente si può affermare che dialogo attivo soddisfa il bisogno primario del sordo, vedere il prodotto della propria espressione verbale, dato che la vista è per lui il senso vicariante dell’udito ai fini dell’apprendimento del linguaggio verbale. Nella nostra lunga esperienza di educatori dei sordi, nonché di logopedisti, abbiamo sempre fatto ricorso a strumenti che chiamiamo "visualizzatori della voce" perché consapevoli che i nostri ragazzi avevano bisogno di vedere la loro voce, cioè il prodotto della loro attività fonoarticolatoria. Per chi ha lavorato nelle scuole speciali si ricorderà l’enne- indicator, l’esse indicator, che servivano per visualizzare la voce emessa dal sordo in modo che la potesse controllare. La visualizzazione di cui sopra serviva al sordo per verificare il rispetto di alcuni parametri vocali, gli aspetti sopraegmentali del linguaggio come il ritmo, l’accentuazione, la tenuta della voce e l’intensità, non serviva certamente a vedere il risultato del prodotto finito, cioè la parola o la frase così come noi la pronunciamo e scriviamo. Invece con dialogo attivo questo ostacolo non c’è più e quindi il sordo può effettivamente vedere e eventualmente correggere il suo prodotto vocale sotto gli aspetti sia segmentali, cioè della parola, sia soprasegmentali quindi della tonalità, della tenuta di fiato soprattutto. Il sordo, quindi, in questo modo può sicuramente avviarsi verso una autonomia della comunicazione attraverso il canale del linguaggio verbale, però occorre seguire una procedura specifica. Per seguire meglio il discorso della autonomia voglio dire che noi sappiamo tutti che il sordo pur protesizzato non è comunque – lasciamo stare i nuovi apparecchi acustici modernissimi che penso funzionino meglio di quelli di prima, come c’è stato detto da molti di voi – rimane il fatto che c’è la sordità e il sordo non riesce a controllare il suono della propria voce e a correggersi. Noi quando commettiamo degli errori mentre parliamo lo sentiamo con il nostro feedback uditivo, ci fermiamo e ci correggiamo, per il sordo è impossibile per cui automaticamente il linguaggio sfuma con certi maggiori errori. Il dialogo attivo gli permette di verificare se ci sono degli errori nella sua pronuncia. Il sordo, quindi, non ode la propria voce né quella degli altri, pertanto non può seguire le fasi dell’apprendimento del linguaggio come normalmente avviene per una persona udente: non ode, non può ripetere ciò che non ode, non può avere il controllo dell’apparato fono- articolatorio, perciò occorre che al sordo venga affiancato un logopedista, in tal modo si potranno impostare i primi fonemi, che debitamente associati, permetteranno la formulazione della pronuncia o di alcune parole significative e quindi di una frase minima. Sarà questa la base sulla quale l’utente sordo potrà poi esercitarsi facendo ricorso all’autocorrezione. Per essere chiari: quando abbiamo questo apparecchio informativo e il sordo presente, al sordo si dice di pronunciare una determinata parola che viene visualizzata sullo schermo del computer, vediamo che questa parola non viene pronunciata bene ecco perché occorre una persona specializzata o il logopedista, il logopedista suggerisce alla persona sorda la correzione per poter pronunciare nel migliore modo possibile la parola: una volta corretta e pronunciata correttamente, questa parola viene memorizzata dal computer, quindi viene memorizzata e pronunciata nel modo corretto, io dico la parola ma dico anche una frase. Questo cosa permette? che quando il sordo è a casa da solo può ritornare su quella parola, su quella frase che ha memorizzato correttamente e verificare se ha dimenticato di pronunciarla correttamente, quindi autocorreggersi. Questa secondo me è l’importanza fondamentale di questo prodotto, l’autocorrezione. ..
Luigi Mattiato < Tutte queste spiegazioni tecniche ci portano un pochettino lontano, mentre la cosa interessante che abbiamo attivato a Milano e che si può fare qui a Varese è proprio la sede dove si sono svolte queste prove, è stata una scuola, ci siamo messi d’accordo con il Provveditorato agli Studi, abbiamo stipulato un accordo con il preside, abbiamo messo a disposizione la nostra segreteria, abbiamo avuto 100 contatti e 22 incontri dove è stato fatto una specie di bilancio delle capacità di fonazione. La questione era completamente distaccata da un valore aggiunto che non c’era, diciamo di tipo venale, perché si consigliava, e ci si metteva a disposizione come associazione, qualora l’apparecchiatura fosse considerata valida, di attivare la procedura della legge regionale 23/99 che permette di acquistare alle famiglie apparecchiature tecnologicamente avanzate. Questa è stata una delle apparecchiature che l’ens ha voluto mettere in campo e qui subentri tu perché con questa privacy noi non sappiamo che i 350 bambini che a Milano sono assistiti poi sanno parlare, riescono a distinguere, noi ci siamo fatti un’idea di quello che è il livello di riabilitazione sui casi che abbiamo potuto verificare. Dunque ci siamo fatti l’idea che si potrebbe fare molto di più in questo campo, perché lui che è un logopedista di lungo corso, antico, ha riscontrato che in molti bambini la riabilitazione ha appena sfiorato alcuni aspetti che sono assolutamente fondamentali, se mancano quelli sarebbe come a dire: giocare a pallone e chiedere a uno di fare il dribbling senza essere in grado di stoppare la palla. >
Mauro Spadavecchia continua il suo intervento < … durante questa breve esperienza che abbiamo avuto con dialogo attivo abbiamo potuto contastare che sordi adulti in possesso di buona articolazione e capaci di controllare la propria emissione vocale, sono stati in grado di autocorreggersi confrontandosi con la macchina, che è un grande risultato, senza chiedere aiuto allo specialista della comunicazione. Perché una volta immagazzinati i dati del sordo con le corrette pronunce lui può dialogare da solo con il computer, diverso è stato il rapporto tra sordi di età scolare e dialogo attivo perché in tal caso è stato necessario l’intervento del logopedista per correggere le errate impostazioni di un fonema o della voce o di un aspetto soprasegmentale. Cioè: se al sordo veniva corretta la pronuncia della parola "io", poi la pronuncia della parola "mangio", poi la pronuncia della parola "la", poi la pronuncia della parola "mela" singolarmente, nel momento in cui queste parole vengono messe insieme per la pronuncia della frase il sordo si perde perché non abituato a usare l’apparato fonorespiratorio non ha il controllo del diaframma però il computer gli dice che sta sbagliando perché quando il sordo dice: io – mangio – la – mela fermandosi, il computer non riconosce questa frase, con il logopedista, il sordo prende il fiato giusto e la pronuncia tutto d’un fiato: io mangio la mela e la parola viene riconosciuta, quindi questo aiuta il sordo a comunicare in un modo vicino al nostro. …
chi fosse interessato a verificare questo sistema di funzionamento di stimolo a parlare corretto, sappia che la nostra associazione è a disposizione. >
Daniela Zaniboni, logopedista e formatrice di assistenti alla comunicazione, Milano
Introduce Luigi Mattiato < Ci sono centinaia di ragazzi e ragazze che hanno incontrato Daniela nell’ambito dei loro rapporti con le famiglie dei bambini con sordità, perché hanno incontrato Daniela? perché lei è stata una figura centrale nei piccoli corsi, adesso siamo arrivati a 56 ore, che facciamo annualmente per la provincia di Milano, inoltre quest’anno ha iniziato anche a partecipare a corsi dell’assistenza della comunicazione che abbiamo attivato, d’intesa con due scuole, nell’ambito della professionalizzazione a cui vengono sottoposti i ragazzi che fanno il quarto e il quinto anno degli ististuti professionali. L’ENS di Milano nel suo proporsi anche all’attenzione del Ministero della Pubblica Istruzione ha voluto verificare che cosa significa dare delle competenze comunicative ai ragazzi di 17 /18 anni che potrebbero successivamente implementarle facendo corsi universitari orientati verso il sociale, che possono essere il rieducatore, l’assistente sociale, il logopedista, oppure che cosa può significare per una persona realizzare attività di animatore o di assistente nelle comunità, negli asili. Siamo al primo anno e possiamo dire che alcuni di questi ragazzi sono venuti qui a Varese oggi, questa è stata la loro conferenza, io penso che sarà stato una mattonata per cui mi odieranno per il resto dei loro giorni, però io penso che comunque i messaggi che specialmente le persone sorde che hanno voluto parlare li hanno sicuramente colti e colpiti. Quindi nella vita chissà che loro non possano essere utili. Comunque ci sono delle persone che la microfono rendono molto di meno di quello che in realtà rendono tutti i giorni, noi abbiamo delle figure tra cui viene annoverata Daniela Zaniboni, che non sono dei retori, però tutti i giorni militano, per loro la vita è una milizia, hanno il piacere di essere utili e l’orgoglio di essere molto amati. Daniela ti do’ la parola perché tu possa illustrare la tua attività. >
Daniela Zaniboni <… praticamente ha detto tutto lui. Comunque io sono una logopedista, arrivo da una scuola oralista, poi nel mio percorso professionale ho incontrato dei bambini che con l’oralismo non funzionavano e quindi ho proposto di utilizzare la lingua dei segni per vedere se questo modo di comunicare poteva sbloccare in qualche modo la situazione. Questa situazione si è effettivamente sbloccata, abbiamo avuto risultati con queste persone, con questi ragazzini che adesso ormai vanno alle superiori, che non parlavano, invece con la lingua dei segni hanno acquisito un linguaggio non solo in segni ma anche in orale, per cui parlano tranquillamente, sono bilingui, questo ha fatto in modo che si aprissero dei problemi: il primo problema è quello di inserire un bambino sordo segnante in una scuola di udenti, dove non c’è un interprete, una persona in grado di aiutarlo con i segni. La reperibilità di queste persone è ovviamente molto difficile, molto spesso queste persone cambiano lavoro, per cui dopo poco vengono abbandonati questi bambini, quindi ho cominciato a collaborare con l’ENS per cercare di sensibilizzare gli assistenti alla comunicazione, che sono le persone che poi stanno più vicini ai bambini sordi, alla lingua dei segni, nel caso in cui la lingua dei segni è strettamente necessaria. Cioè non mi permetterei mai di assegnare una assistente alla comunicazione segnante con un bambino sordo lieve o sordo medio. Chiaramente il grado di sordità mi fa ipotizzare un certo tipo di percorso che deve essere fatto sia con l’assistente alla comunicazione, sia con la famiglia e con la scuola e gli insegnanti di sostegno. Non nego che spesso inserire un assistente alla comunicazione in una scuola è molto difficile perché il ruolo dell’assistente viene confuso con quello dell’insegnante di sostegno e questo crea problemi perché nella nostra esperienza abbiamo visto che assistenti alla comunicazione finivano per fare le insegnanti di sostegno oppure erano sulla classe e non seguivano il bambino sordo, cioè venivano usati come dei collaboratori senza un ruolo ben definito. L’esperienza con le assistenti alla comunicazione è una esperienza limitata nel tempo, io non voglio fare un corso di lingua dei segni, non ho la pretesa che escano segnando e sapendo tutto, ma almeno con un dubbio, cioè il dubbio di dire: la lingua dei segni può essere un valido aiuto e una integrazione a varie tecniche per portare il bambino a esprimersi in maniera corretta, perché il bambino possa essere autonomo in un futuro? cioè non avere la mamma vicino sempre che gli spiega come funziona una cosa oppure riuscire in qualche modo a fare capire all’assistente alla comunicazione che la lingua dei segni è una lingua, non sono dei gesti, non è qualcosa di molto napoletano per cui i sordi sono delle scimmie che segnano e muovono le mani, ma è un qualcosa che può aiutarli non solo nella comunicazione ma nello sviluppo cognitivo. Questa esperienza la stiamo portando in due scuole superiori nella speranza che anche questi ragazzi, avendo un monte ore più ampio, arrivino prima o poi a riuscire a segnare e essere utili, perché l’assistenste alla comunicazione non è solo quella che insegna la storia e la geografia ma quella che insegna a essere autonomo, i bambini sordi di solito sono dipendenti dall’adulto, imparando a utilizzare un canale naturale quale la lingua dei segni io mi auguro che i bimbi siano dei sordi autonomi in modo di cavarsela in modo proprio…
Luigi Mattiato < una piccola precisazione: sia Spadavecchia che lei, quando parlate di "persona sorda" non fate riferimento a persone che compensano con l’apparecchio la sordità almeno in parte, avete presente un target di persona sorda che è estremamente in difficoltà nell’affrontare il linguaggio verbale, difficoltà che poi, attenzione, è anche la difficoltà della famiglia, questo è un aspetto che noi non possiamo trattare, però lei ha accennato, l’idea che noi ci siamo fatti come persone che vogliono essere utili alla società, è proprio di aiutare la famiglia a insegnare al bambino a parlare. Dunque, vedere in un sistema di servizi che metta la mamma in condizione di parlare la sua lingua al bambino e la mediazione non c’è in questi casi perché il bambino parla la lingua della mamma e la mamma parlerà la lingua che il bambino può intendere e per gradi la famiglia deve essere messa in condizione di trasmettere anche la lingua della famiglia al bambino, noi parliamo sì l’italano, ma c’è una lingua della famiglia, il linguaggio è qualche cosa di estremamente complesso che tocca, e dunque la sperimentazione che ha dato risultati sottoposti ai medici di più discipline, di introdurre elementi di lingua dei segni all’interno di una verifica, ha superato verifiche ed è di grande soddisfazione per coloro i quali hanno inteso osare. Poi si potrebbe anche dire che le categorie professionali hanno, oltre che il diritto di presentarsi alla fine del mese a riscuotere lo stipendio, anche il dovere di ispirare la propria azione a un’etica della responsabilità. Dunque, non si tratta di essere fedeli per un logopedista a quello che hanno appreso dal logopedista capo, ma hanno il diritto di essere fedeli alla loro missione e la loro missione può portarli a adottare dei sistemi e alla fine non stiamo a vedere di che colore sia il gatto l’importante è che acchiappa i topi. Lei non appartiene a quelli che dicono: se lo porta da me il bambino sentirà frusciare le foglie, no. >
Daniela Zaniboni continua il suo intervento < … c’è anche da considerare che il mondo dell’assistente alla comunicazione si trova ad affrontare una difficoltà di tipo linguistico, i sordi fino a qualche anno fa studiavano in maniera assolutamente mnemonica, io vedo assistenti alla comunicazione che si devono inventare di sana pianta dei segni significativi per studiare le scienze, la fisica, la chimica, quindi tutto un mondo linguistico che si sta sviluppando piano piano ed è interessante vedere come questi ragazzini inseriti nelle scuole superiori ottengano degli ottimi risultati studiando attraverso la lingua dei segni e non sono più esclusi da quello che è l’apprendimento, che oltretutto è un apprendimento che non è mnemonico per cui concerne il fatto che questi bambini capiscono quello di cui stanno parlando, perché molto spesso in passato i ragazzi sordi studiavano a memoria, ripetevano la lezione a pappagallo e questo faceva prendere loro degli ottimi voti ma poi dimenticavano tutto. Quindi la loro capacità di apprendere e sviluppare il loro pensiero è migliore. >
Lucio Vinetti, presidente FIACES e direttore della scuola di Mompiano (BS) < … io mi rendo conto che contribuirò a questa sorta di accanimento terapeutico a cui siamo tutti sottoposti oggi e che rende faticoso il riuscire a seguire interventi così concentrati e così ricchi, quindi cercherò di essere rapido, anche se le cose che avrei da dire sono tantissime. Io sono qui sia come direttore della scuola audiofonetica, che in parte vi presenterò, ma anche come presidente della fiaces, federazione italiana delle associazioni e dei centri educativi per sordi, una federazione appena nata, ci siamo costituiti in maggio, e che ha il compito di federare, cioè riunire tutte le esperienze che in Italia hanno fatto un po’ riferimento alle scuole speciali, a quelle esperienze che poi nel tempo si sono trasformate. Il motivo dominante per il quale ci siamo costituiti è generato dal fatto di proporre a livello italiano, quindi a tutti i centri, un modello di scuola che possa essere un modello di integrazione vera e questo modello, che è proprio strutturato anche all’interno di un protocollo di lavoro che stiamo condividendo fra tutti i centri che aderiscono alla fiaces, è un po’ calibrato sull’ esperienza della scuola audiofonetica di Brescia, ecco perché nell’intervento di oggi illustrero’ la scuola audiofonetica perché quello è il punto di riferimento dal quale stiamo partendo per costruire la federazione. La prima cosa importante che devo segnalare è una cosa un po’ particolare che tengo a riportare qui: il fatto che l’esperienza della scuola parta da una intuizione di tipo carismatico, cioè l’intuzione di una persona che a metà dell’800 ha deciso di istituire una scuola a Brescia nel 1856 che si occupasse di sordi. Una scelta che una fondatrice di una congregazione religiosa ha fatto per dare corpo a una scelta educativa e per andare incontro ai bisogni di quella che lei definiva nel linguaggio ottocentesco "i bisogni delle più sprovvedute" all’interno di questa scelta educativa le più sprovvedute delle più sprovvedute venivano considerate le ragazze sorde. Perché faccio riferimento a questo, io non sono un canossiano, sono laico, e non lo faccio per piaggeria nei confronti del mio datore di lavoro, ma lo faccio perché oggi questo è valido come elemento di riferimento che giustifica e legittima una attenzione complessiva che la scuola ha ai reali bisogni di ogni singolo bambino o bambina sorda, quindi al centro della nostra azione c’è il bisogno: il nostro problema non è quello di essere fedeli a uno o a un altro metodo, ma l’unica fedeltà a cui ci rifacciamo è la fedeltà a una lettura congruente e realistica del bisogno educativo del bambino e dalla necessità di ricercare le strategie più opportune per dare una risposta adeguata a quel bisogno. Questa affermazione, che è una affermazione di principio, la vedremo realizzata nella presentazione che svilupperà il tema della scuola. La scuola oggi si presenta così: abbiamo 381 bambini nella scuola, di questi 49 sono sordi, suddivisi dal micronido, dai 2 anni fino a quella che oggi si chiama "la scuola secondaria di primo grado", quindi la scuola media, con questa proporzione che potete vedere nella slide. Ho segnato quali sono i bambini con impianto cocleare perché è una delle realtà con le quali ci stiamo misurando e che offre alla scuola una occasione formidabile per ripensare al proprio progetto educativo e ricalibrarlo su nuovi bisogni che i bambini sordi con impianto e i bambini protesizzati hanno, senza entrare nel merito di alcune critiche che come scuola muoviamo al come la parte medica propone o impone tante volte alle famiglie l’impianto cocleare. Quindi è una realtà piuttosto articolata che si rivolge a diverse età, con l’idea di fare un progetto unitario di azione nei confronti dei bambini sordi. In sostanza gli elementi che noi mettiamo al progetto d’integrazione per noi si può ridurre a tre affermazioni, innanzitutto un‘integrazione alla rovescia che per noi quest’anno si realizza dopo 30 anni di esperienza ed è quello di realizzare l’integrazione facendo in modo che siano le persone udenti a essere integrate all’interno di un modello scolastico che è specializzato e quindi è rivolto in modo prioritario ai bambini sordi, al centro c’è il bambino sordo ma non c’è solo il bambino sordo, ma c’è tutto il sistema che gravita attorno al bambino sordo e in particolare alla famiglia del bambino. Marisa Bonomi prima mi ha preceduto quindi non sottolineo l’importanza particolare che ha la cura, il sostegno alla famiglia, ai genitori ma complessivamente a tutto il sistema familiare che diventa poi un servizio. Le condizioni necessarie per potere realizzare tutto questo noi le abbiamo individuate in queste affermazioni, innanzitutto al fatto che per potere realizzare un processo di integrazione sia necessario, quindi non è un optional, ma una necessità dei soggetti protagonisti di questo progetto: gli alunni, gli insegnanti, i genitori, ma anche le istituzioni, tutti coloro che a diverso titolo partecipano a un processo complesso che non può essere considerato nella scuola settorialità altrimenti si correrebbe il rischio di intervenire parzialmente quindi di non ottenere quello che è un risultato generale sull’esperienza di vita di questi bambini. Rapporto solidale significa lavorare naturalmente sulla corresponsabilità, ma non solo fra i soggetti, la coerenza e la solidità, l’essere responsabili in solido, è anche fra gli elementi che caratterizzano la scuola, quindi richiedere ai soggetti di essere solidali è accompagnata da una richiesta forte di congruenza fra tutti gli elementi che caratterizzano la scuola, le scelte pedagogiche, gli spazi, i tempi, le iniziative, quindi una progettazione che tenga conto di questi aspetti come non secondari rispetto al processo d’integrazione. Un processo che richiede una continua qualificazione e continua attività di ricerca, se in questo secolo e mezzo ormai di vita della scuola, la scuola audiofonetica è riuscita in qualche modo a essere una risposta valida ai problemi dei bambini sordi è perché non ha mai messo di interrogarsi, di qualificarsi e anche di cercare, di scommettere sul fatto che le certezze acquisite non sono certezze assolute, ma sono elementi da cui partire per trovare nuovi stimoli alla realizzazione di processi sempre più adeguati. In questo c’è poi una specifica attenzione agli aspetti organizzativi. Il dato organizzativo è importante soprattutto all’interno della scuola perché si è sempre data importanza alle finalità e alle mete e poco a quali sono le condizioni oggettive all’interno delle quali si realizzano i diversi processi, qui dobbiamo fare attenzione alle gambe che diamo alle varie iniziative che abbiamo altrimenti rischiamo di fare solo buone intenzioni che poi rischiano di non realizzarsi. Dal punto di vista degli alunni per noi il fattore prioritario è considerare che ci sia una solidarietà intrinseca nel rapporto fra gli alunni, significa mettere al centro i processi relazionali e qualificativi, è vero che la nostra è una scuola, un’entità che si occupa di istruzione, ma l’istruzione per i bambini sordi è una conseguenza anche di una condizione generale che è generata da un clima relazionale e dai processi comunicativi conseguenti. Quindi l’attenzione ai processi comunicativi diventa una delle attenzioni prioritarie che noi abbiamo. Il fatto di considerare i bambini reciproca risorsa e anche qui senza usare slogan, ma concretamente, considerare adeguatamente quanto i bambini udenti sono risorsa per i bambini sordi, ma anche, viceversa, quanto i bambini sordi sono risorsa efficace per l’apprendimento anche degli udenti. E’ da questo principio che nasce anche complessivamente l’efficacia che poi una scuola è in grado di misurare sul proprio percorso di apprendimento. Un particolare rapporto numerico tra alunni sordi e normodotati. La nostra è una scuola che accoglie all’interno delle stesse classi almeno due bambini sordi o tre, questo per consentire – Marisa Bonomi potrebbe spiegarlo molto meglio di me – la realizzazione di un ambiente, un contesto relazionale in cui il bambino sordo che abbiamo visto per il 90% è figlio di genitori udenti possa trovare dei riferimenti simili a lui che quindi lo sostengano in questo delicato percorso di crescita anche del sé personale che quindi ha bisogno di trovare delle persone simili a lui, altrimenti crescerebbe interiorizzando sempre la differenza dagli altri e mai ciò che l’accomuna. Quindi in questo senso l’importanza di potere contare su un rapporto numerico calibrato e naturalmente dal punto di vista degli alunni lo sviluppo delle autonomie come uno degli elementi fondamentali sui quali l’intero processo educativo si sviluppa. Per questo è importante che i percorsi siano continui e stabili, non occasionali e in questo purtroppo il sostegno alla famiglia gioca un ruolo importantissimo perché nel disorientamento generale, soprattutto in questi ultimi anni, spesso capita che i genitori si trovino nella difficoltà di assumere una prospettiva di lavoro continuativa e quindi oggi sono lì, domani fanno l’impianto cocleare, ma proviamo a portarlo fuori, poi dopo rientrano, cioè questo andare e venire che è segno di incertezza non facilita lo sviluppo di un pieno programma di integrazione. Dal punto di vista degli insegnanti, qui tocco alcune cose che riguardano propriamente la scuola, ma che vale la pena riprendere, innanzitutto il principio della contitolarità: nella nostra scuola non c’è un insegnante di sostegno, esistono degli insegnanti tutti corresponsabili nello stesso momento sia dei bambini sordi che dei bambini udenti, tutti specializzati o in via di formazione, perché questa contitolarità è il principio dell’unità. L’insegnante di sostegno rischia di creare all’interno della scuola, anche dal punto di vista relazionale delle esclusività che vanno esattamente contro il principio dell’integrazione, quindi noi rischieremmo di realizzare un processo di integrazione con uno strumento di per sé disintegrante. La contitolarità prevede perciò dei meccanismi e dei supporti molto forti dal punto di vista della formazione del personale, della specializzazione, ma soprattutto delle condivisioni di competenze. Noi oggi abbiamo un personale composto complessivamente da 65 persone, di queste 57 sono insegnanti, abbiamo 4 logopediste che lavorano nella scuola a stretto contatto con le insegnanti, abbiamo due persone sorde adulte che ci aiutano nella mediazione culturale, quindi che fanno un lavoro preziosissimo proprio nei confronti dei bambini ma anche nei confronti dei colleghi insegnanti che hanno bisogno di avere riferimenti nel mondo sordo, abbiamo due assistenti alla comunicazione che intervengono su dei progetti specifici che si realizzano all’interno della scuola. Tutta questa pluralità di competenze, permette attraverso una condivisione, continua, ricercata, attraverso momenti di scambio, di confronto, di coordinamento, di realizzare quel supporto di progettualità educativa che è indispensabile per potere realizzare la scuola. Quindi il nostro obiettivo è costruire dei team, delle equipe di insegnanti e operatori che lavorino contestualmente insieme, in continuità fra i diversi gradi scolastici perché anche se i bambini cambiano e cambiano alcune modalità di intervento nei confronti dei bambini, la progettualità deve essere unica. Dal punto di vista delle famiglie è importante richiedere un intervento che non sia di pura erogazione di servizio, quindi noi partiamo dal principio di corresponsabilità chiedendo in modo molto esigente di partecipare al gruppo della scuola, non solo anche ai genitori di bambini non udenti. Quindi una cura particolare dei rapporti fra le famiglie, secondo principi di solidarietà oltre che di partecipazione, quindi l’idea che la scuola diventi un luogo nel quale effettivamente si sperimentino questi percorsi di incontro fra famiglie. I presupposti che poi portano anche allo sviluppo in chiave terapeutica che avete sentito prima dalla dottoressa Bonomi. Infine una solidità, una integrazione fra i diversi specialisti, questo è un tema molto delicato ma importante che più volte è ritornato nelle comunicazioni di oggi: noi oggi ci troviamo a vedere i diversi interventi, soprattutto gli interventi un po’ scollegati che viaggiano su binari diversi, paralleli che non si incontrano mai, per noi il principio di integrazione passa attraverso l’integrazione delle competenze, l’integrazione non è solo un fatto legato alla presenza di bambini sordi e udenti insieme all’interno della stessa classe, ma è soprattutto quello di potere realizzare all’interno di un unico ambiente il contributo specifico che ogni disciplina, che ogni competenza può dare, e però farlo in maniera integrata. Quindi il compito della scuola è sviluppare un costante coordinamento fra i diversi approcci, quello medico, psicologico, riabilitativo, pedagogico, anche quello esterno alla scuola e che contribuisce al processo di vita. Naturalmente facendo in modo che il coordinamento non sia un semplice accostamento in cui le diverse parti vengono semplicemente affiancate le une alle altre, ma avvenga una elaborazione, una sorta di circolo virtuoso che sia in grado di orientare unitariamente tutti i diversi interventi, quindi realizzare un progetto comune. Questa scommessa si realizza all’interno della scuola grazie a una serie di protocolli d’intesa e convenzione che noi realizziamo sia con la parte medica che con alcuni specialisti che vengono a lavorare all’interno della scuola pur mantenendo la propria autonomia. Per fare questo la scuola deve diventare, se vuole essere un nodo della rete, un punto di riferimento importante anche per le istituzioni, le istituzioni pubbliche che hanno delega a occuparsi dei sordi, ecco perché dal 91 abbiamo una convenzione con la Provincia, con il Comune per la primissima infanzia, dal 97 abbiamo un protocollo con la Provincia e con il CSA, ex provveditorato agli studi, per un supporto alle scuole della provincia che accolgono i bambini sordi, perché non tutti i bambini sordi della provincia di Brescia vengono alla scuola audiofonetica, abbiamo un servizio di supporto a quegli insegnanti che hanno nelle scuole normali bambini sordi, per garantire quel passaggio di competenze, di esperienze e sviluppo di una ricerca che consenta a tutti i bambini sordi e non solo a quelli presenti a scuola di avere opportunità di crescita e di sviluppo. In questo senso la scuola si pone come un centro di risorsa per il territorio, ecco perché la fiaces ha assunto il modello della scuola audiofonetica per andare a definire sul territorio italiano dei centri di risorse che siano al servizio dell’integrazione dei sordi dei diversi territori. Nel 2000 siamo arrivati a una convenzione con l’azienda ospedaliera che garantisce un servizio di un audiologo e di un audiometrista all’interno della scuola, che quindi accompagna il lavoro degli insegnanti attraverso una continua osservazione dei bambini sia dal punto di vista audiologico che foniatrico, questo anche per favorire l’accesso di alcuni servizi che per bambini che vengono da molto lontano diventerebbe un ulteriore aggravio per la famiglia. I bambini vengono a scuola attraverso un servizio di trasporto garantito dalla scuola stessa, questo facilita l’arrivo a scuola e il rientro a casa, però per quello che riguarda alcune attività diagnostiche e logopediche, il fatto di poterle avere direttamente a scuola dagli stessi soggetti istituzionali che normalmente si occupano della cosa sul territorio, facilita anche nei confronti della famiglia un servizio più completo. Nel 2004 nasce quindi la fiaces con questo obiettivo di raccogliere questa eredità e questa storia in continuo mutamento e crescita e farla diventare una proposta di carattere nazionale. Stiamo ragionando attorno a questi temi, approfitto il prossimo sabato 4 dicembre a Roma faremo un primo seminario di questa federazione in cui chiameremo tutte le nostre realtà associate a venire a presentare qual è la situazione dei loro centri e delle loro scuole rispetto ai bambini con impianto cocleare, quanti sono gli inseriti, che tipo di problematiche danno, com’è cambiata la modalità didattica di intervento, quali sono gli interventi particolari etc.. quindi se qualcuno volesse è ben accetto, se qualcuno poi avesse interesse a approfondire le cose che sto dicendo rapidamente, ho portato qualche brouchre che ho messo sul tavolo della segreteria. Alcune cose interessanti sono state oggetto di dibattito da chi mi ha preceduto: dal punto di vista pedagogico per noi quello che è importante (qui ho messo tutto insieme così faccio più rapidamente) se al centro ci sono le relazioni una scuola deve garantire dei percorsi di soscializzazione e di integrazione, cose che vanno al di là del semplice discorso scolastico, però deve garantire l’individualizzazione dell’insegnamento, cioè la calibratura dei bisogni didattici del singolo bambino. Questo non si traduce in un rapporto individuale separato, ma si traduce in una progettualità specifica sui bisogni dell’alunno. Naturalmente l’intervento precoce, come presupposto fondamentale di una scuola che si occupa di integrazione, ecco perché l’apertura del micronido e interventi anche verso la primissima infanzia o lo sviluppo com’è successo con l’associazione Marcoli di supporto alle famiglie addirittura alle fase precedenti alla nascita del bambino. La centralità del concetto di esperienza e il ruolo dell’ educazione naturalmente per chi si occupa di scuola questo diventa importante come modalità didattica. Dal punto di vista metodologico la scuola non sceglie, pur avendo avuto un trascorso rigorosamente oralista com’era per tutte le scuole speciali di un tempo, noi non facciamo distinzione e non vogliamo scegliere in modo pregiudiziale o preconcetto sull’uno o sull’altro metodo, diciamo che interveniamo secondo un approccio che abbiamo denominato comunicazione totale come l’approccio fondamentale allo sviluppo dei linguaggi. Comunicazione totale che cosa vuole dire per noi? che mettendo al centro il sistema comunicativo del bambino. Sta alla scuola scegliere quali sono i processi più importanti e gli approcci metodologici più efficaci che riguardano quel bambino. Ci sono bambini che possono essere educati in modo oralista, ci sono bambini che hanno bisogno del segno come supporto semantico, ci sono bambini che hanno bisogno della lingua dei segni codificata per sviluppare una certa padronanza anche del linguaggio verbale, quello che è importante è che comunque i bambini siano messi prioritariamente in condizioni di comunicare e successivamente di sviluppare i codici che poi possono spendere nelle relazioni quotidiane, quindi un codice verbale e anche un codice segnico, senza contraddizione e senza fare di questo tipo di scelta una pregiudiziale di tipo ideologico. In questo quindi è l’apprendimento, l’imparare a apprendere più che l’aspetto metodologico in sé che diventa importante. Dal punto di vista organizzativo lascio perdere perché c’è il depliant, quello che volevo sottolineare per ultimo era il dato della flessibilità organizzativa: in che misura noi possiamo riuscire a individualizzare i percorsi? evidentemente facendo in modo che il principio dell’organizzazione della scuola, il tempo degli insegnanti, degli specialisti, l’articolazione oraria, possa essere il più possibile flessibile, possa essere organizzata in modo tale da consentire alla bisogna di avere diverse modalità didattiche che possono essere redatte contestualmente, questo è uno sforzo forte che chiede una progettazione organizzativa e didattica molto forte. Io mi fermo qui perché sull’aspetto della ricerca abbiamo già detto qualche cosa. >
Luigi Mattiato < Sei stato veramente bravo, noi abbiamo convinto l’afabi senza grandi difficoltà a considerare importante che quello che ha espresso la scuola audiofonetica e quello che sta esprimendo venisse raccontato perché sono corrette attualizzazioni con possibilità anche di esperienze in futuro eroiche dell’insegnamento tradizionale della chiesa cattolica nei confronti di questa categoria. Io spero che tutte le vecchie istituzioni che hanno erogato servizi educativi aderiscano a fiaces, e che tu possa essere in condizione di mettere in moto un’offerta scolastica educativa, mettendo debitamente in circolo le decine di miliardi che giacciono tradotti in bot, che giacciono tradotti in insediamenti immobiliari senza produrre alcunché per le persone per le quali queste ricchezze vennero conferite a suo tempo quando non c’era l’educazione. Mentre il sistema a Brescia noi l’abbiamo analizzato dà dei risultati ottimi a un certo punto per l’inserimento nella scuola media superiore, perché il ragazzo con sordità effettivamente è molto seguito fin da piccolo, penso che questi ragazzi che provengono dall’audiofonetica e che trovano poi, grazie agli accordi che quest’ultima ha fatto con la Provincia, i Comuni, il CSA, etc., una accoglienza diversa nella scuola media superiore bresciana, sono ragazzi che vanno velocemente all’università, sono ragazzi che spendono le loro competenze acquisite a scuola correttamente sul mercato del lavoro. Vengono messi in una condizione di privilegio rispetto a tanti altri ragazzi della Lombardia che non trovano nella loro provincia quel tipo di offerta perché voi sapete che offrite soltanto ai residenti in Brescia la possibilità di potere frequentare questa scuola, non è un’ingiustizia, ogni provincia regola i suoi rapporti come crede. Noi, nel potere scegliere un modello che potesse essere di riferimento per tutte le province della lombardia, abbiamo individuato nel modello Varese, molto partecipato e molto collegato a una presenza della famiglia al centro dei processi educativi, piuttosto che quello di Brescia, perché non c’è una scuola come quella audiofonetica altrimenti avrebbero potuto convivere più offerte formative. Siamo proprio nella bocca del drago, questi ragazzi che entrano in una scuola, quando verranno sputati fuori dove andranno? noi vediamo dei fallimenti nell’integrazione lavorativa, noi non possiamo che essere contenti e orgogliosi di avere tanti ragazzi che sono laureati, che si sforzano di realizzare un’attività professionale, ma io purtroppo mi confronto con la realtà di tutti i giorni, con i numeri spietati, io so che il sistema formativo medio – superiore non porta tutti i ragazzi sordi a avere un diploma, è un sistema permissivo che incentiva le buone volontà. Diceva qualcuno svizzero che una famiglia svizzera è stata contenta di avere trovato una compiacente istituzione italiana che diplomava la figlia, mentre in Svizzera la indirizzavano verso contenuti molto pratici. Quindi noi da un lato rischiamo di fare sbattere contro un muro le persone sorde in un mondo diverso, il mondo degli affari, del business, noi dobbiamo attrezzarci per questo. Questo convegno termina a questo punto per la parte illustrativa con il dottor Di Tullio il quale è uno delle gambe su cui si poggia l’offerta formativa per i ragazzi sordi in italia, è la gamba attuale, quella del presente, delle vecchie istituzioni specializzate statali.
Vinetti < io aggiungo soltanto, perché prima si è parlato del modello base, questa è una esperienza aperta, il motivo per cui sono venuto qui oggi è perché se riusciamo a trovare comunque la possibilità di condividere le esperienze, magari di fare qualche cosa insieme, magari di metterci in rete in modo più efficace, questa offerta formativa che oggi è articolata, variegata ma spesso frammentata, potrebbe diventare un punto di riferimento più importante.>
Francesco di Tullio, preside Istituti ISISS di Roma, Padova e Torino < io mi avvalgo della mia direttrice della sede di Padova come interprete per dare un po’ di tregua alle interpreti che hanno lavorato fino adesso. Nell’ambito del dimensionamento scolastico su iniziativa del dipartimento scuola educazione universitaria dell’ENS le province di Padova, Roma, Torino e il Comune di Roma hanno siglato una convenzione che ha consentito l’emanazione del decreto definitivo con il quale a decorrere dal primo settembre del 2000 è stato istituito il nuovo istituto statale di istruzione specializzata per sordi che si chiama ISISS. Che cosa significa? è un’istituzione unica in Italia che riunisce più scuole di istruzione specializzate per sordi, materne, elementari, medie e superiori, tutte statali e funzionanti da oltre 40 anni. La specializzazione dell’istruzione dei sordi è ciò che caratterizza principalmente, rispetto alle scuole ordinarie e a quelle speciali vecchia maniera, infatti la parola specializzata si riferisce al fatto che la didattica attua metodologie specifiche per i sordi e nel contempo persegue l’integrazione fra sordi e udenti mediante il bilinguismo e l’inserimento alla rovescia che prevede che le classi possono essere formate con un numero di alunni udenti pari al massimo ad un terzo di quelli sordi. L’ISISS è in contatto con altri paesi europei ed extraeuropei al fine di migliorarne continuamente la qualità delle tecnologie e è dotata di metodologie specifiche per l’educazione dei ragazzi sordi. L’obiettivo primario dell’ISISS è un’istruzione qualificata. Gli obiettivi del metodo sono: per quanto riguarda la lingua, lo sviluppo delle capacità di comunicare con il potenziamento delle competenze in lis e in italiano, per quanto riguarda la cultura, la conoscenza della cultura italiana e di quella della minoranza dei sordi, della loro storia e della loro letteratura, biculturalismo, rispetto della diversita. Competenza: capacità di organizzare le conoscenze per l’esecuzione dei compiti e la risoluzione dei problemi, l’autostima e l’identità che è la coscienza ed espressione delle proprie identità e apertura alle proprie culture. Questa è la struttura dell’istituto, c’è un’unica direzione generale, un’unica direzione servizi generali amministrativi, un consiglio d’istituto e ci sono le tre sedi a Roma, Torino e Padova. A Roma c’è il 173 esimo circolo che sta a via Nomentana dove c’è la scuola elementare e materna, poi c’è la scuola media, a Torino c’è l’ipssa Magarotto e a Padova l’istituto tecnico commerciale per geometri Magarotto. Le varie sedi sono organizzate con una serie di sedi di cui la dottoressa Caccaro dirige il personale docente e i direttori di sede si riuniscono con il dirigente scolastico periodicamente ogni due mesi per fare il punto delle situazioni delle varie sedi. Ma come si struttura l’ambiente didattico specializzato? una diversa attenzione che pone come protagonista l’alunno sordo nel percorso scolastico educativo proposto dall’isiss ha richiesto un ripensamento della didattica scolastica, si tratta di una riflessione metodologica siccome deve essere monitorato il processo di insegnamento e apprendimento tenendo conto delle caratteristiche strutturali e funzionali dell’alunno sordo nonché del riconoscimento dei suoi bisogni e delle sue possibilità. La nostra esperienza di oltre 40 anni di didattica specializzata ci ha fatto considerare in modo nuovo la doppia dimensione della clinica e della didattica per configurare un modello integrato d’intervento che parte dalla valutazione di quanto abbia influito la storia del singolo per arrivare alla proposta di attività didattiche a esso congruenti. Ci si è posti come obiettivo quello di creare un ambiente didattico che mette al centro dell’attenzione l’allievo e come vedete l’integrazione noi la intendiamo come un adattamento reciproco: cioè l’alunno è inserito in un sistema che si modifica nell’accoglierlo. come? nel modo delle comunicazioni e nelle aspettative repiproche. Praticamente si passa dallo sfruttamento delle proprie capacità alle integrazioni di capacità e possibilità diverse, praticamente la complementarietà e si fonda prioritariamente sulla flessibilità dell’impianto di programmazione didattica. E gli obiettivi che debbono essere perseguiti, nella formulazione del progetto individuale, sia per la valorizzazione delle competenze dell’allievo che per lo sviluppo della consapevolezza di sé e della capacità di prendere decisioni. Quindi i programmi delle varie materie vengono progettati in modo da consentire le competenze definendoli in standard e dividendoli in aree e quindi strutturandoli in modo da consentire percorsi altamente personalizzati, articolati e non sequenziali, adattabili alla scuola individuale di ciascun allievo. Vediamo nel dettaglio come è stato possibile modellare questi enunciati nella didattica specializzata, senza entrare nel merito dei singoli contenuti didattici mirati a produrre conoscenze tecniche, la progettazione didattica è rivolta a individuare i compiti apprendimento. Nella progettazione del percorso didattico specializzato si introduce la flessibilità, un ordine di complessità crescente tra i compiti di natura imitativa dove viene fornito a priori il modello e le procedure da seguire, i compiti di natura esecutiva nei quali è presente il modello, ma ciascuno è libero di scegliere la propria strategia di esecuzione, e il compito creativo nel quale si è liberi di utilizzare le procedure che si vogliono e lo stesso risultato non è soggetto a regole. La naturale attività di programmazione didattica dell’insegnante deve in questo caso arricchirsi di un’analisi di dettaglio che richiede uno sforzo considerevole nella fase di preparazione del materiale. Docenti, psicologi, pedagogisti hanno concepito molto materiale didattico a questo scopo, ciò che noi ci proponiamo e’ di utilizzarlo in una logica di compatibilità. Ssecondo tale prospettiva, scelta del materiale didattico e scelta delle attività, deve tenere conto delle caratteristiche dell’allievo a cui è destinato. Ogni individuo possiede un profilo funzionale che nel caso dell’alunno sordo può contenere elementi deficitari, diversi nella sfera della percezione, nella memoria, nella comunicazione e nei codici linguistici. Se è vero che tutti questi dati assumono un’importanza assoluta per un clinico che deve impostare un programma riabilitativo, è altrettanto vero che gli stessi dati sono di grande rilevanza anche per un docente che deve decidere a quale livello di difficoltà proporre un compito e quali aiuti e facilitazioni eventualmente prevedere, quindi fare uno studio di compatibilità. Per quest’ultimo non si tratta certamente di acquisire una competenza da esperto, ma di acquisire una cultura dell’osservazione. Di tale metodologia fa parte una particolare prospettiva che noi chiamiamo analisi dell’errore. L’impegno a studiare l’errore per evitare la sua insorgenza e/o a limitarne gli effetti ha da sempre accompagnato le sperimentazioni didattiche, in realtà noi ci proponiamo di conoscere gli errori che gli allievi fanno non per eluderli, ma per utilizzarli nell’esperienza riabilitativa. Noi abbiamo esperienze pluridecennali e abbiamo osservato come la maggior parte dei sordi abbiano fatto una specie di camuffamento dell’errore che li porta nella propria vita quotidiana a negare i propri insuccessi proprio rinunciando a cogliere l’errore. Sbagliando si impara, si tratta di volgere al positivo la conoscenza degli errori sistematici che un allievo compie nel risolvere i problemi che può presentare una metodologia didattico – educativa vincente. Evitare l’insuccesso anziché cercare il successo porta l’allievo sordo a non sviluppare i processi di risoluzione dei problemi rifugiandosi in quello che già conosce, cercando di evitare strategie su compiti nuovi per paura dell’errore, al tempo stesso ripetute esperienze di fallimento dovute alla limitazione del suo bagaglio strumentale, soprattutto in ambito scolastico, riduce i suoi gradi di libertà verso autonomie progettuali. Tale condizione è bene evidente ogni qualvolta il nostro allievo inizia un percorso dove gli si propone un chiaro contratto formativo: con la definizione degli obiettivi che si intendono raggiungere, le risorse che si intendono mettere a disposizione sia da parte della scuola che da parte dell’allievo, la fase della negoziazione tra scuola e allievo e la sua famiglia richiede un tempo e un’attenzione maggiore di quanto se ne attribuisce normalmente. In questa fase è utile prevedere uno o più colloqui motivazionali a opera di un formatore esperto o di un tutor, l’accordo sulle modlità di verifica degli obiettivi in corso d’anno poiché è imprenscindibile fornire all’allievo in concreto il riscontro dei suoi progressi e delle sue difficoltà. La possibilità di migliorare la capacità di contrattazione e i processi decisionali dell’allievo è un processo lungo che viene definito con il nome di potenziamento delle capacità personali e riguarda l’acquisizione di una serie di abilità sociali. l’individuo, così preparato, è una persona aperta ai cambiamenti, responsabile, capace di scegliere, capace di confrontarsi e di imparare dagli errori, dotata di autostima e al tempo stima realistica, in grado di pensare in modo relativo. Ho avuto modo di leggere qualcosa circa la vostra associazione di famiglie di bambini sordi ed è proprio dalla famiglia, come questa mattina ha detto la dottoressa Repaci con la quale concordo in tutto quello che ha detto, che si deve partire, alla quale oggi le istituzioni non danno un corretto supporto a mio modo di vedere. Credo che una proposta concreta potrebbe essere quella che una volta diagnosticata la sordità del proprio figlio, il più precocemente possibile, alla famiglia dovrebbe essere offerto un supporto a casa, cioè ci dovrebbe essere un automatismo per cui vanno a casa, non è la famiglia che si deve spostare a cercare le istituzioni, ma è l’istituzione che va a cercare la famiglia e dare fin da subito una assistenza psicologica e la possibilità di apprendere la lingua naturale dei sordi con la quale essere in grado di comunicare sin da subito con il bambino come qualunque madre o padre fa con il proprio figlio. Questo aspetto che copre il primo anno e mezzo di vita del bambino potrebbe essere decisivo per il futuro del bambino e potrebbe ottenere un risultato importante, cioè quello di avere una famiglia forte intesa come primo nucleo operativo in grado di affrontare una situazione inevitabilmente difficile con la consapevolezza, però, di essere in grado, come normalmente accade, di potere comunicare con il proprio figlio percorrendo le stesse tappe di un bambino udente. Infatti è molto importante non dimenticare che proprio nel periodo che va da circa un anno di vita e fino a 3 /4 anni, quindi in età prescolare, che il bambino, attraverso l’apprendimento della lingua naturale, cioè quella che si impara naturalmente, acquisisce inconsapevolmente la struttura della lingua. Impedirgli di usare la lingua naturale lo mette in difficoltà e gli crea un danno grave, anche se invisibile, quello di non avere di fatto acquisito in questo periodo magico e irripetibile nessuna struttura di una lingua da utilizzare per apprendere sia per lo studio successivo della prima che delle altre lingue. Ma c’è un punto importante che voglio evidenziare, il successo o l’insuccesso di una buona comunicazione in una dinamica familiare è legato alla comunicazione tra i componenti della famiglia e quindi al grado di accettazione della sordità da parte dei genitori che trasmettono questo sentimento al bambino che non solo si sente accettato a sua volta ma l’aiuta ad accettare se stesso pur nella diversità. Molti genitori dei bambini sordi ci pongono la domanda: in quale modo utilizzare la lis come modo di insegnamento in classe? questa è una domanda sbagliata, mai nell’educazione di bambini udenti di lingua italiana i genitori chiedono: in quali modo utilizzate l’italiano come lingua d’insegnamento? sarebbe molto più corretto che si domandasse quali metodi vengono utilizzati per insegnare scienze, fisica, matematica, ragioneria o altre discipline. In definitiva dobbiamo analizzare la questione della lingua dei segni come lingua d’insegnamento, contro la lingua dei segni come metodo di metodologica dell’educazione. Capite bene che l’uso della lingua è fondamentale… tentare di chiarire su quello che ritengo sia un equivoco che ci ha sempre accompagnato e che purtroppo, condizionandoci, ci accompagna ancora. Una lingua come l’italiano, l’inglese. La lis non è un metodo, i metodi non si acquisiscono in modo naturale come le lingue, non hanno regole, non si modificano in modo naturale e in più sono inventati da singoli insegnanti e rivolti a specifici gruppi di persone per scopi specifici, per esempio posso ideare un metodo per facilitare l’apprendimento della matematica, della geografia, ma il metodo per insegnare la matematica non è la matematica così come un metodo per imparare l’italiano non è l’italiano, voglio dire che un metodo non può sostituire una lingua. La lingua dei segni non è un metodo didattico, è una lingua indipendente dall’italiano che vanta proprie caratteristiche strutturali nel suo lessico, una sua grammatica, una sua sintassi, le proprie regole di conversazione. Nelle classi ordinarie un insegnante non specializzato si trova in difficoltà oggettiva alla presenza di un bambino sordo che condiziona in qualche modo la sua azione verso la maggioranza degli alunni, l’alternativa è: o ignorarlo, con l’alibi che intanto ci pensa l’insegnante di sostegno, oppure strutturare il proprio programma più dal punto di vista patologico che dal punto di vista culturale. L’opinione, purtroppo ampiamente condivisa, purtroppo non solo in Italia, che i sordi siano soprattutto un problema sanitario – abbiamo sentito qui oggi che si dice persona affetta da sordità, come se la sordità fosse una malattia – impedisce la accettazione della loro lingua e della loro cultura. Dobbiamo considerare che dalle ricerche effettuate sul bilinguismo in generale emergono molti dati che sostengono che i bambini e gli studenti bilingui hanno necessità di padroneggiarne bene una prima di iniziare l’apprendimento della seconda. Passando all’istruzione superiore, se il bambino adolescente è forte con una decisa autostima e supportato da una famiglia forte con un indirizzo ben preciso, può affrontare qualsiasi situazione di integrazione; altrimenti non c’è l’integrazione, ma annullamento di se stesso a vantaggio della maggioranza. Se lo Stato considerasse i sordi come una minoranza linguistica non territoriale, diventerebbe fondamentale preservarne, oltre che la lingua, l’identità culturale che darebbe potere e la vera autonomia dei sordi. Vi voglio ricordare che verso lo scadere dell’ultima legislatura, a dicembre del 2000, è stata approvata una legge sulle minoranze linguistiche dove è stata approvata anche la legge sui rom. Io non ho nulla contro i rom, ma che si preservi la cultura e la lingua dei rom e non quella dei sordi, mi sembra pazzesco! questo obiettivo può essere perseguito se le organizzazioni dei sordi, anche attraverso le scuole speciali, si uniscono e combattono verso il governo. In Italia la comunità dei sordi, anche grazie all’incessante opera della presidente nazionale che recentemente è stata riconfermata alla guida dell’ente, sta vivendo un processo di evoluzione molto simile a quello delle altre minorenze linguistiche, praticamente si sta liberando da situazioni e da meccanismi al limite dell’oppressione e questo per vari motivi, il più importante degradante è la negazione del riconoscimento della lis come lingua e del rifiuto di accettarla. Il risultato è che centinaia di migliaia di sordi italiani devono conoscere la propria lingua e la propria cultura. La lingua è potere, quelli che conoscono quanto una lingua sia potere e vi ricordo che tutti i dominatori impongono ai popoli conquistati la propria lingua, sono consapevoli che i cambiamenti nella politica della lingua comportano mutamenti di potere, per oltre 100 anni in italia la lingua dell’istruzione ai sordi è stata l’italiano e il potere dell’istruzione è stato nelle mani degli udenti per i quali l’italiano è la prima lingua. Quello che come scuola specializzata vogliamo è che i sordi comincino a occupare posizioni nuove all’interno di programmi di istituzione che sono posizioni di potere. Questo cambiamento intimorisce chi è abituato alle precedenti strutture del potere e crea delle situazioni attraverso le quali si protreggono loro stessi, e i loro stessi interessi che desiderano nominare per esempio l’integrazione forzata nelle classi ordinarie come obiettivo falsamente democratico ottenuto continuando a confondere la lingua dei segni declassificandola a semplice metodo, mettendola alla pari con il metodo oralista facendo fare alla lingua dei segni un ruolo secondario. Facendo questo, continuare a considerare la lingua come un metodo, mette in secondo piano il reale problema dei sordi, di decidere da soli cosa sia meglio per i sordi stessi. L’isiss è propria a intraprendere, assieme a tutte le organizzazioni che ritengono che l’istruzione sia un punto importante per affrontare il problema dell’integrazione alla pari in questo percorso, che è attuabile e possibile all’interno di un istituto specializzato che ha la possibilità di progettare assieme ai sordi programmi aperti alle loro esigenze e metterli in attuazione. Questo è uno dei modi per migliorare la qualità dell’istruzione dei sordi nella convinzione che una persona istruita è libera da condizionamenti e è in grado di affrontare la propria vita. In effetti nel secolo passato l’obiettivo del nostro Stato è stato quello di dare la scuola a tutti, oggi la nuova sfida che dobbiamo affrontare è quella di dare l’istruzione a tutti e in quest’ottica. L’isiss è pronta a affrontare questa sfida. In definitiva voglio dire: è più importante quello che c’è in mezzo alle orecchie, piuttosto che le orecchie, la testa. >
Luigi Mattiato < Con il dottor Di Tullio e con la professoressa Caccaro abbiamo avviato una collaborazione anche per sordi adulti anche perché sono disponibili sia a livello umano e personale, ma hanno voluto sovraccaricarsi di compiti di fronte a delle situazioni di oggettivo abbandono in cui si trovano le persone sorde quando volevano progettare percorsi di apprendimento. Noi a Milano con la loro collaborazione abbiamo effettuato bellissimi corsi di apprendimento per adulti, delle competenze informatiche, abbiamo fatto gli esami per la patente europea per il computer in quel di Padova. Ci siamo avvalsi della collaborazione dell’istituto per mettere in piedi un convegno e per potere fornire dei frammenti di specializzazione, quello che era possibile fare in tre giornate, l’anno scorso, e sono cose che si cercheranno di replicare. Questo è un cantiere, e tutti i muratori, non necessariamente liberi, possono portare la loro pietra al cantiere, pertanto, con questo spirito di grande disponibilità reciproca penso che noi ci dovremmo confrontare con i tanti impegni che ci aspettano perché genitori ormai stremati, cinquantenni e ultracinquantenni che hanno dato vita a questa comunicazione, posso portare la loro bontà a supporto dell’ENS. Faccio un piccolo inciso: c’è stata una disposizione del tribunale di Milano che ha nominato l’ENS amministratore di sostegno di un adulto sordo in gravi difficoltà di relazione con il mondo esterno. Questa persona parla, non è che non parla, è entrato tra il gatto e la volpe, è finito male, Gliene sono successe di tutti i colori, noi vogliamo che questa persona non venga interdetta, ci siamo fatti avanti per dire: ci pensiamo noi per dargli un aiuto. Castelnuovo è il primo sordo di tutta italia che è amministratore di sostegno di un’altra persona, mentre abbiamo l’architetto e lo psicologo sordo, a noi fa piacere che l’ex alunno dei sordomuti è una persona. >
Altri contributi
Repaci – io vorrei invitare chi volesse portare un contributo, una riflessione, qualche domanda, a esprimersi, a farlo adesso, perché la Provincia ci consente ancora un po’ di tempo. >
Marco Luè nella duplice veste di dirigente ENS Milano e di giornalista impegnato con più testate.
< Scusate, il signor Mattiato ha detto che sono giornalista, perciò proprio sotto questo punto di vista vorrei fare notare a tutti voi, molti sono insegnanti, purtroppo i media non sanno niente del mondo dei sordi, i giornali non parlano mai di noi sordi, voi potete fare qualcosa di più nelle scuole, istruire che i sordi sono esattamente uguali a tutti gli altri, se hanno una istruzione adeguata sono a livello degli altri, l’importante è che questa istruzione sia data a noi in modo che possiamo capire cosa ci viene detto. Questo vi raccomando a tutti. >
Luigi Mattiato < Penso che sia stremato, ma produrrà come sua abitudine un ottimo prodotto giornalistico, vedremo di farvelo pervenire. >
Repaci < Come possiamo constatare, i sordi hanno voce e gran voce. >
Nicola Ruggiero < Sono consigliere comunale al Comune di Busto Arsizio nello stesso tempo sono genitore di un bambino audioleso e marito di una donna audiolesa. Io volevo portare i saluti dell’amministrazione comunale di Busto, la quale è attenta soprattutto anche ai risultati e alle proposte che vengono fuori da questo convegno. Come amministrazione comunale cercheremo di tradurre in atti concreti delle proposte nell’ambito sia della legge 328 e sia utilizzando i finanziamenti attraverso le risorse dell’amministrazione comunale di Busto. Quindi questo è un obiettivo che il consiglio comunale si è dato soprattutto per quanto riguarda alcuni tipi di problemi che vogliamo portare a soluzione. Per quanto riguarda l’aspetto personale io vorrei dire che oggi sono stato in un ambiente eccezionale, mi sono sentito in famiglia, in una comunità, pur non conoscendoci sembrava di essere a casa mia, perché il clima e l’entusiasmo che ci ha accomunati in questo dibattito e incontro per me è stata veramente una cosa gioiosa, grazie per quello che mi avete dato! volevo dire un’altra cosa: forse io nella mia sfortuna sono stato anche fortunato perché, avendo avuto una moglie audiolesa, questo ci ha permesso di aiutare mio figlio tantissimo, avete parlato prima di diagnosi precoce, noi purtroppo questa non l’abbiamo avuto perché l’ipoacusia del ragazzo non ci permetteva soprattutto di individuare in modo preciso il tipo di problema che lui aveva, quando l’abbiamo scoperto il dramma non ci ha preso perché abbiamo trovato una struttura lì alla Fondazione Ricci di Castellanza che ci ha permesso di sostenerci sia sul piano psicologico e sia di averci dotati di strumenti adeguati in modo che noi potessimo proporre soprattutto a nostro figlio un percorso giusto che non lo facesse sentire diverso. Oggi questo ragazzo ha 18 anni, va a scuola tranquillamente, non ha problemi, lui mi dice sempre che i problemi ce li hanno gli altri e non lui, lui non si è mai sentito diverso e ha una grande voglia di riuscire soprattutto a raggiungere la meta che lui si è prefissato: ha detto che vuole diventare un grande cuoco, mi auguro che questo lo possa fare tranquillamente. Grazie di vero cuore! >
Repaci < Grazie Ruggiero, ringrazi da parte nostra l’amministrazione comunale di Busto Arsizio e l’assessore. >
< Scusate, io in questo ambiente mi sono sentita veramente piccola, non solo per la statura, ma perché sono due anni che mi occupo seriamente di questo problema incontrando Luigi Mattiato dell’ENS della provincia di Milano. Con loro abbiamo cominciato una collaborazione che io trovo eccezionale che considero, come è, un inizio. Abbiamo fatto alcune esperienze significative di cui parlava prima Luigi, che sono dei corsi serali d’informatica per le persone sorde che sono arrivate a Padova a conquistare la patente europea del computer, la nostra associazione nasce nell’ambito della scuola e della professionalità dell’insegnamento, diciamo che abbiamo esperienze nella professionalità dell’insegnante e anche in alcune professionalità mediche come l’infermiere. Quindi abbiamo fatto delle esperienze legate, da un lato, a una ricerca sulle reti per mettere in rete le istituzioni che si occupano dei problemi della disabilità, e un’altra esperienza che io ritengo estremamente significativa è quella della professione dell’interprete dell’assistente alla comunicazione. Abbiamo fatto un corso che abbiamo riproposto quest’anno, non sappiamo ancora l’esito, e una delle ragazze che ha aiutato qui era una ragazza che ha fatto il nostro corso di operatore della comunicazione, interprete. Io penso che lavorare sulle professioni che sono di supporto al problema dei sordi sia una delle strategie importanti, a parte questo di potere collaborare. >
Di Tullio < volevo sapere com’è andata la nascita di questo progetto? in base a che cosa è nato?>
Caccaro < Questa mattina essendo l’ultimo intervento ho accelerato e effettivamente non sono stata così precisa e analitica su alcuni punti. Il consiglio di amministrazione da me presiediuto non è che un certo giorno si è svegliato e ha detto: facciamo un progetto per i sordi. A parte la mia esperienza nell’ambiente dei sordi che ho già richiamato questa mattina che poi è stata sottolineata dal professore Di Tullio come direttrice della scuola dei sordi a Padova, direi che è stata fondamentale un’esperienza che ho avuto che deriva da un gemellaggio che ha l’isiss in tutte le sue sedi, di Padova, Roma e Torino, in un gemellaggio per sordi americana, nell’Ohio che vengono da noi in Italia e reciprocamente vanno i nostri lì. L’OSD ha fondato parecchi anni orsono una associazione che ha una casa di riposo di accoglienza per gli anziani ex allievi di questa scuola. Non solo, sono due le strutture: una per autosufficienti e sono degli alloggi protetti, ma comunque possono essere completamente indipendenti, e una al di là della strada per non autosufficienti. Ovviamente anche questa visita a questa struttura ha scaturito in me a pensare a qualcosa non posso dire nemmeno simile perché ovviamente quella è una struttura che è nata apposta, è costruita per i sordi, quindi avere le pareti dei corridoi che danno sul giardino completamente di vetro, per potere comunicare con le persone, la mia struttura non è stata creata per persone sorde, è stata adattata per un piccolo gruppo di sordi che riceveremo in futuro. L’idea è nata da questa esperienza di contatto con questa realtà. ringrazio il professore Di Tullio che mi ha dato la possibilità di chiarire questo aspetto. >
Repaci < Io vorrei invitare qui al tavolo Elsa tuia e Renzo Forza, Castelnuovo e l’assessore Bongini naturalmente che forse è uno dei rari politici che è rimasto presente dalla mattina fino a questo momento. Grazie, assessore. >
Castelnuovo < io vorrei dire grazie all’assessorato, agli altri funzionari amministrativi, dalla mattina fino alla sera seduti a ascoltare la situazione importante qual è quella dei sordi, nella scuola, nel sociale, nel lavoro, la legge 328, collocamento al lavoro, hanno parlato di situazioni dei disabili dimenticando i nostri sordi, l’importante è sottolineare la categoria dei sordomuti. E’ antipatica la parola ma il termine resta così, situazione particolare è importante ricordare sempre perché noi abbiamo handicap invisibile. Grazie soprattutto a chi è stato seduto dalla mattina fino alla sera perché di solito ai convegni si va un’ora o due ore e si va via. >
Elsa Tuia < Grazie a tutti e soprattutto alla dottoressa Repaci e a tutti i presenti. >
Forza < Vi ringrazio tutti di aver partecipato e l’augurio dell’Associazione AFaBi che in 30 anni di associazione è cresciuta è che la "a" piccola di AFaBi che è cresciuta possa continuare il suo percorso in questo Arcipelago con il contributo degli adulti con sordità e con tutti quelli che a partire da questo Convegno vorranno partecipare ai lavori con la speranza che siano sempre più numerosi. >
Assessore Bongini < Qualcuno poco fa mi ha ringraziato, non lo merito, io devo ringraziare voi per la giornata che mi avete fatto passare oggi, grazie. >
Repaci < Buon ritorno a casa e buona riflessione! Chi ha voglia di lavorare si rimbocchi le maniche e si metta in rete, noi ci siamo. Un grazie agli interpreti che tutto il giorno sono stati qui ed anche agli stenotipisti che ci hanno offerto i sottotitoli così necessari alle persone con sordità per poter seguire i lavori del Convegno. >
Tutto il Convegno è stato videofilmato e le cassette sono visionabili presso AFaBI.
L’Articolo sul Convegno apparso su Suono&Vita, pdf QUI